Letture sopra la mitologia vedica. Angelo De Gubernatis. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Angelo De Gubernatis
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066068608
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o, se un principale vi ebbe ad essere, esso fu, lo ripeto, necessariamente il cielo o il celeste per eccellenza, coi più splendidi animatori del cielo, il sole e la luna. S'intende che noi parliamo ora della primitiva mitologia, e non di quella che si svolse non solo nei periodi della vita brâhmanica, ma nello stesso ultimo periodo vedico, in cui incominciano a disegnarsi, col sistema delle caste nella società umana, per opera di riflessione, le teogonìe e cosmogonìe celesti.

      Come sarebbe dunque temerario il giudicare tutta la mitologia vedica dalle ultime rappresentazioni della divinità che s'incontrano negli Inni vedici, così sarebbe ora per noi temerario non meno il rappresentare tutti i miti vedici secondo la loro sola forma più elementare originaria. Senza che abbiamo bisogno di ricorrere al Brâhmanesimo per ritrovare una mitologia diversa, nella stessa letteratura vedica è agevole lo scorgere la esistenza di parecchi strati mitologici, sebbene il determinarli in modo preciso sia lavoro non solo difficile, ma quasi impossibile. La loro esistenza tuttavia non può essere messa in dubbio, come non si mettono più in dubbio, dopo i dotti lavori de' professori Weber e Max Müller sopra la storia della letteratura vedica, i diversi periodi percorsi da questa letteratura. Degli Inni vedici, gli uni non sono altro se non canti di entusiasmo o di terrore innanzi alle forze benigne o maligne della natura. In altri inni, queste forze sono divenute vere persone poetiche, col loro dramma e col loro carattere. In altri abbiamo il Nume ora immagine d'una realtà poetica, ora astrazione ideale nata sopra l'immagine, invocata dal cielo a proteggere il suo devoto, intervenendo ne' suoi sacrificii, nelle sue opere pie, nelle sue imprese terrene. In altri finalmente il Nume in persona od in ispirito ideale è disceso in terra, passa nel fuoco sacrificale, nell'ostia consacrata; l'idolatria incomincia. Perciò si può dire che la mitologia vedica può offrire armi a tutte le dottrine, a tutte le credenze, quando si voglia ammettere che sia lecito isolare in uno studio storico un'idea secondaria dalle cause e dalle forme anteriori, dalle quali si svolse, per giudicare sopra quella sola idea una civiltà molto complessa e due volte millenaria. Ma, non potendo definire i multiformi strati mitologici dell'età vedica, anco perchè non incomincia l'uno dove l'altro cessa, ma spesso, invece, si frammettono, si concatenano, si confondono insieme, gioverà solamente avvertire come la mitologia vedica si rappresenta a noi in due larghe forme distinte, secondo che i miti sono nati o meditati. Suolsi chiamare spontaneo il periodo inventivo, poichè il mito si crea in esso involontariamente e quasi inconsciamente; nel secondo periodo, invece, sebbene l'uomo segua ancora un suo istinto che lo porta a meditare il creato, in quest'opera egli è più attivo che passivo. Sorge in questo periodo su basi mitiche umiliate fino all'uomo un edificio religioso, nel quale l'uomo suo autore, in parte consapevole, inalza sè stesso e si solleva a concepire e ad operare il divino. Chè se poi il tempio si popola di ciechi idolatri, i quali, incurvandosi, non ne vedono più le cime, ciò basta a provarci come le religioni, al pari delle mitologie, hanno un periodo poetico ascendente, ed un periodo fatale di discesa, nel quale il cielo luminoso si restringe e si chiude. Negl'inni troviamo il mito che principia e che finisce, e la religione brâhmanica che dove questa età mitica finisce, incomincia a disegnarsi. Ma, lo ripeto, sarebbe un errore il domandare a quel solo momento che possiamo dir postumo, l'interpretazione di tutti i miti vedici, come il domandare la soluzione di tutte le formole religiose brâhmaniche ai primi idillii figurati da un popolo di pastori nell'Olimpo vedico.

      Io vorrei dunque, in questa nostra ricerca, entrare in materia seguendo i metodi adottati dal Preller ne' suoi eccellenti trattati di Mitologia greca e latina, e la stessa sua distribuzione di capitoli, a fine di rendere più agevoli a quelli di voi che volessero quindi istituire un confronto fra le tre mitologie, i riscontri. Ma, come non si può, almeno per ora, insegnare la lingua indiana con lo stesso ordine con cui s'insegnano le lingue classiche, poichè la grammatica sanscrita è retta da una fonetica bene distinta, perfettamente analitica, ordinata, rigorosa, completa, motivo per cui questo singolare carattere di perfezione la fece, al primo suo manifestarsi in Europa, stimare la lingua madre di tutte le così dette indo-europee, non mi sarebbe, all'incontro, possibile descrivervi l'Olimpo vedico, con quell'ordine, con cui potrei rappresentarvi il greco, e, sebbene più indeterminato, il latino; poichè, oltre i caratteri nazionali che distinguono le due mitologie indiane, la vedica che ci occupa e la brâhmanica che potrà occuparci un giorno, vi sono nella mitologia vedica come nella lingua sanscrita i caratteri di un mondo che l'Ascoli chiamò proto-ariano, per rintracciare i quali ci è necessario uscire da' soliti sistemi della mitologia scolastica. I trattati di mitologia suppongono l'Olimpo come fatto d'un solo pezzo, nel quale ogni divinità è un essere compiuto. Vi sono Dei maggiori e Dei minori; vi sono genealogie molto minute, sebbene, secondo le fonti, alle quali si voglia attingere, molto spesso fra loro contradittorie; i poeti greci e latini conoscono perfettamente le gerarchie e i cerimoniali dell'Olimpo e li cantano, e spesso li adornano con la loro vivace fantasia; e i nostri trattatisti pigliano talora la fantasia d'un solo poeta, greco o latino, come sicuro indizio di una singolare forma mitologica. Nel numero di questi non è il Preller, il quale, erudito e critico, reca ed ordina le notizie de' miti greci e latini, secondo che le trova riferite negli scrittori dell'antichità, ma più tosto per farci conoscere quello che l'antichità pensasse o dicesse de' suoi miti, che per indagarne egli stesso la vera natura o abbellirli a noi col prestigio di una eloquenza artificiosa. È questo il pregio principale, per quanto ne pare a me, di que' suoi dotti lavori, ed è, per questo riguardo, ch'essi mi paiono degni d'esservi raccomandati. Ma la poesia vedica, nella quale tutta la primitiva mitologia indiana, di cui sia a noi giunta notizia, è contenuta, non ci permetterebbe, ripeto, un metodo conforme a quello seguito dal Preller. La mitologia greca, per mezzo degli artisti e poeti greci, diventò un'opera d'arte. L'Olimpo, malgrado le ire, le gelosie, le vendette, le passioni elleniche, in somma, che dividono, fra loro, gli Dei, presenta, per mezzo dell'arte, un carattere estetico d'unità morale che lo governa tutto. L'Olimpo vedico manca di questo carattere estetico, che regge invece in età posteriore, per mezzo della teologia, l'Olimpo brâhmanico. E, con ciò, non intendo argomentare che l'Olimpo brâhmanico sia più alto o più perfetto del vedico, ma solamente ch'esso è più sistematico, e che si lascia perciò meglio esporre, poichè il suo quadro essendo più limitato, per quanto vi appaiano figure mostruosamente gigantesche, può essere minutamente descritto in un trattato scolastico, come in un catechismo religioso. La casta dei Brâhmani, come ne fu l'autrice, così volle essere l'artigiana, o l'artista che si abbia a dire, della seconda mitologia indiana. E questa si va quindi ancora insegnando nell'India; e questa udrete spesso ancora rammentare in Europa, ove divenne popolare la famosa indica Trinità, col suo Brahman creatore, col suo Vishnu conservatore e proteggitore, e col suo Çiva distruggitore; e per quanto incomplete, e in parte false, siano tali nozioni, s'accettano, si ricordano, si divulgano, perchè chiare, facili ed assolute.

      Nell'Olimpo vedico, invece, vi è un po' d'anarchia. Il Dio più eroico, Indra, riceve da' suoi devoti molte lodi, ma la sua potestà in cielo non gli costituisce ancora alcuna beatitudine; egli è lodato, è grande, quando opera, ossia quando esso è congiunto col fenomeno fisico, da cui si svolge; ma, dov'egli non opera, il suo prestigio cessa. Nel periodo brâhmanico invece, nel quale Indra non opera quasi più, i poeti si occupano a descriverci il paradiso, in cui il Dio Indra, disoccupato, siede e regna glorioso. Negl'Inni vedici i miti si fanno; ne' poemi brâhmanici in parte si disfanno, in parte si incrostano e determinano con formole precise; il mito diventa dogma; e il dogma, com'è infallibile, così diviene immobile. Negl'Inni vedici non abbiamo ancora nè formole artistiche, nè formole religiose; gli Dei vi si muovono tanto più liberi, quanto più lieve e mobile è la persona che assumono. Talora abbiamo il semplice fenomeno fisico nel suo aspetto più naturale; talora il fenomeno che passa, piglia una forma personale; passa il fenomeno, anco la persona scompare e nessuno più la ricorda, e nessuno pensa più a venerarla, finch'essa non si ripresenta in un modo conforme ed analogo; ed è solo nella frequenza delle sue epifanie che si disegna una figura mitica, alla quale si dà un nome che col tempo diviene un nume. Con tale sembianza che i miti ci danno per lo più di sè negl'inni vedici, sarebbe egli lecito a noi fissare in modo preciso i contorni di quegli Dei, illustrarli, colorirli, animarli, come persone complete? Questo non ci sembra il dritto nostro. Questo fu bene il dritto di quel popolo stesso che avea creato i miti, il quale, associandoli fra loro, collegandoli, appassionandoli e raccontandoli, ridusse i fatti mitici all'unità dell'epopea, e coi frammenti delle molteplici figure assunte dal fenomeno luminoso celeste compose e foggiò lo splendido eroe che fa cose straordinarie. Questo, se non fu il diritto, fu almeno