Letture sopra la mitologia vedica. Angelo De Gubernatis. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Angelo De Gubernatis
Издательство: Bookwire
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Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066068608
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metodo che egli aveva deriso, trattava distesamente della Thiersage, in uno scritto che fu compreso testè nel secondo volume de' suoi Kleinere Schriften, ed ove, se con erudizione un poco superficiale si tocca delle tradizioni epico-zoologiche orientali, si riconosce pure la necessità di ricondurre all'Oriente le tradizioni dell'Occidente e di far risalire all'epopea la favola.

      Ora udiamo il Wackernagel: — «Dicesi qui in Basilea di un uomo, il quale arriva col detto o con l'opera in ritardo quando tutto è già passato, o d'una cosa, d'un avvenimento che arriva in ultimo, quando non c'è più tempo: «ei viene» oppure «è come il cagnolino di Bretzwil.» Bretzwil è un villaggio nel territorio di Basilea. Presso il cagnolino di Bretzwil se ne trova un altro, divenuto esso pure proverbiale, il cagnolino di Bretten; Bretten è una piccola città del Palatinato. Di quest'ultimo Heberer nella sua Servitus Aegiptiaca (stampata nel 1610 ad Heidelberga) narra la seguente storiella che subito ci colpisce:

      «Viveva in Bretten un uomo, così poveraccio, che avrebbe dovuto morire di fame, se un cagnolino ad un tempo fedele ed accorto non gli avesse prolungata la vita. Esso, ogni giorno, correva ora presso l'uno, ora presso l'altro macellaio della città, sottraeva ogni volta una salsiccia e la portava al suo padrone. I macellai, i quali per lungo tempo non aveano avuto sentore nè del furto, nè del ladro, si posero finalmente sopra le tracce del cagnuolo e stettero in agguato. Alfine, sul punto in cui il cagnolino voleva afferrare una salsiccia, il macellaio colse il cane, gli tagliò la coda e gliela pose trasversalmente in bocca, così com'esso era solito a portar via le involate salsicce; quindi lo lasciò correre. Il cagnuolo tornò a casa, pose, come già la salsiccia, in mano del padrone la coda, si buttò giù, e morì.» Heberer era egli stesso di Bretten, e dovremmo credere ch'egli abbia fedelmente riprodotta la tradizione locale, ed anzi esser disposti a credere che la stessa fosse letteralmente vera. Ma si affaccia il nostro canino di Bretzwil, il quale a quello di Bretten somiglia tanto pel suo essere bestiale e pel nome del luogo, e pure ne differisce tanto pel nome e pel significato, da non potersi identificare finchè si rimanga sopra il terreno storico. Quindi la necessità di lasciare intieramente da banda il terreno storico, lanciandosi piuttosto da Bretten del Palatinato e da Bretzwil del territorio di Basilea nel mondo mitico-simbolico, e dalle più solide basi ch'esso offre cercare l'idea, per la quale i due cagnolini si ritrovano uniti.» — E qui il Wackernagel incomincia la sua caricatura. Ne reco il principio, perchè si comprenda il tono dell'erudita buffonata: «Il cane troviamo nella credenza e nell'uso dell'antichità e del Medio Evo ed anche ora in parecchi senza dubbio non più intesi e male adoperati proverbi come il costante simbolo riproducentesi della morte. Cerberus, il janitor Orci, è un cane, un cane più insigne, poichè esso ha tre, anzi cinquanta, anzi cento teste; contro Odino, che nella Vegtamskvida cavalca verso Niflheim e ad Hel, la Dea della Morte, abbaia un cane feroce, precipitato giù dalla casa della Dea; naturalmente il cane, mentre infuria, lascia la porta aperta; quindi il proverbio: cani e villani lasciano la porta aperta. Ed ancora in uno de' più bei rami del grande maestro di Nürnberg questa processione infernale: un guerriero cavalca uno splendido cavallo superbamente tranquillo; presso di lui, sopra una misera rozza, la Morte, fra i due corre un cane, sinistro nel suo silenzio e in ogni sua espressione; evidentemente di nuovo il cane funebre, ed il cavaliero, non già (codesto può credere solamente un cervello limitato) il signor Francesco di Sickingen, ma sempre ancora il vecchio Odino in uno de' suoi non so quanti avatar.» La buffonata si continua deplorevolmente sopra lo stesso tono per altre dieci pagine. Sì, deplorevolmente, poichè, nello studio di provocare il riso, il Wackernagel confonde le cose più gravi con le più lievi, e sacrifica scientemente il vero.

      Il proverbio sopra i cani e i villani che lasciano la porta aperta, ch'egli cita a sproposito, dopo avere ricordato il cane janitor Orci, infirma forse che il cane sia spesso nel mito il messaggiero della Morte com'è l'ostiario del regno de' morti? Certo non è il cagnolino di Bretzwil nè quello di Bretten che ci danno un'idea precisa del cane funebre; ma l'animale che si sacrifica pel suo signore, per quanto Wackernagel fosse disposto a credere la storiella di Heberer indigena del Palatinato, è sicuramente una leggenda di origine mitica, della quale numerose leggende indo-europee avrebbero potuto offrire al dotto Professore di Basilea le varianti, senza ch'egli s'avesse a dar tanta briga per mettere sossopra tutte le mitologie, e rintracciarvi le più disparate notizie tramandate da esse sopra il cane, e forzarle quindi reciprocamente ad una unità ridicola e mostruosa. Che direste voi d'un filologo, il quale trovando per esempio la parola Deus, invece di considerarla nel suo pieno organismo vivente, la scomponesse nelle sue quattro lettere, e poi, come gl'Indiani distinguevano nella mistica sillaba om (a-u-m), le tre persone della Trinità brâhmanica, Çiva, Vishnu e Brahman, perchè nella prima parola entra la lettera a, nella seconda la lettera u, nella terza la m, nella parola Deus vedessero, con lo stesso arbitrio analitico, i Domini pater, filius, spiritus?

      Scherzo contro scherzo, io non credo che quello di Wackernagel valga molto di più. Non so se esistesse nel 1856 un pazzo mitologo comparatore quale il Wackernagel lo supponeva per aver buon giuoco nel confonderlo col ridicolo. Lo Scherzo, al più, proverebbe come a nulla valga la molta erudizione, senza un metodo critico che la guidi e sostenga, e ci darebbe ragione per far voti, affinchè gli eruditi si contentassero di raccogliere materiali, e di farne l'inventario, senza porli in ordine, ch'è lavoro critico al di sopra del loro potere, senza interpretarli, chè per interpretarli bisogna prima comprenderli, e a comprendere le cose vaste occorre vastità di comprendimento. Wackernagel non era certamente uomo di piccolo ingegno, ma, per questo appunto ch'ei poteva pregiare l'efficacia scientifica della mitologia comparata, ebbe torto, quando s'accinse a seppellirla col ridicolo appena nata. Poichè lo Scherzo suo è così fatto, che non colpisce solo l'esagerazione dei singoli investigatori, ma intende ad isolare intieramente il mondo antico mitologico rivelato dall'arte, da quello che si conserva in modo frammentario nella tradizione popolare, e perchè infine deride l'unità fondamentale de' miti, come altri deride ancora l'unità de' linguaggi indo-europei.

      Nel nostro linguaggio famigliare, quando si vuole indicare una cosa che non è reale, e che lo spazio od il tempo nasconde alla nostra vista, si suol dire: è un mito. Questa singolare espressione è il primo ostacolo che trova il mitologo, quando richiama l'attenzione degli studiosi sopra il mondo mitico. Con l'indirizzo positivo dell'odierna filosofia sembra stonare od avere almeno una mediocre attrattiva qualsiasi scoperta che si presupponga non condurre direttamente a ritrovare alcuna verità di certezza matematica. Il mito per molti non è altro che la negazione del reale; fosse almeno l'ideale; ma neppur questo si concede. Come il capriccio turba il movimento ordinato ed armonico della ragione, come l'allucinazione abbaglia la vista, così il mito distrae dal vero la poesia. Si considera il Nume come un fantasma straordinario, che appare all'uomo, per caso, senza che l'uomo l'abbia evocato o prodotto; un fantasma senza corpo, quantunque assuma capricciosamente forme all'uomo ben note. E questo modo volgare di trattare anticipatamente i miti prima di studiarne la natura, prima di conoscerli, toglie ogni favore alla mitologia. Nessuno di noi vuole accusare la propria ignoranza, ed incolpare il proprio difetto d'analisi. Perciò rimane molto più vicino alla scienza l'umile volgo che crede ancora alle sue streghe, a' suoi incantesimi, che noi, gente di spiriti forti, che sorride e scote il capo dicendo: no, quello in cui il volgo crede, non esiste, non ha mai esistito.

      Dunque, mi domanderete voi, dobbiamo, ritornando superstiziosi, credere in quel soprannaturale che la ragione nostra ha rovesciato? Non è codesta fede che io domando allo studioso; ma sì invece che esso non cerchi la storia dell'uomo solamente ne' monumenti scritti, spesso ingannevoli, e che tratti le credenze popolari, le superstizioni, almeno con quella serietà con cui l'archeologo esamina i rottami d'un antico edificio; come l'archeologo ricompone dalle rovine il suo monumento antico, perchè non potremo noi concedere all'uomo vivente la stessa attenzione che non neghiamo all'opera materiale dell'uomo?

      Se le streghe non ci sono più, ci è ancora la credenza nelle streghe. Esaminiamo come questa credenza sia nata, e perchè si mantenga, invece di deriderla; e troveremo sotto l'antica strega, in cui si crede ancora, sebbene siasi staccata dal fondo reale, sopra il quale si disegnò la prima volta, una realtà molto sensibile che dura ancora, sebbene la sua forma mitica siasi ora isolata da essa ed erri perduta ed incerta nella sola immaginazione popolare. Quelle idee che a noi paiono false, quel pauroso sentimento del volgo dominato da una certa mole d'idee