ma anche figlia e madre del cielo luminoso, ossia della luce;
svâr g'anantî, ossia
generante il cielo luminoso, l'appella perciò l'inno 61º del III libro del Rigveda. E poichè abbiamo detto che il cielo luminoso è la sede degli Dei, non reca meraviglia il trovar l'aurora
la generatrice del giorno che si schiara o primo giorno (
g'anatî ahnah prathamasya;
Rigv., I, 125), chiamata non solo l'apportatrice degli Dei, ma anche la madre degli Dei (
mâtâ devânâm; I, 113), che sono per noi le forme animate del cielo luminoso. Ma, oltre il sole fratello, il sole marito, l'aurora ha pure degli amici; questi amici suoi del cuore sono i due fratelli Açvin (così l'Elena ellenica trovasi congiunta coi Dioscori); l'inno 52º del IV libro del
Rigveda ce lo dice in termini espliciti:
l'aurora fu la compagna (od
amica)
degli Açvin. Noi abbiamo già veduto come gli Açvin, con atto gentile e cavalleresco, abbiano fatto salire sul loro carro la bella aurora, perchè potesse vincere la corsa ed arrivare prima alla mèta. Ora con questo episodio è probabile che se ne debba congiungere un altro, vedico ancor esso. Noi vedemmo già di che sorta lusingatrice fosse l'aurora per i poeti vedici; e quell'epiteto di
bhuvanasya patnî o sposa del mondo che un inno le dà, ci fa nascere il sospetto che il marito legittimo dell'aurora se ne sia offeso, ed abbia preso dispetto contro la troppo lusinghiera sua consorte. L'inno 79º del V libro del
Rigveda invita l'aurora ad apparire, a non distendere troppo lungamente la trama dell'opera sua, perchè non venga il sole ad abbruciarla come si abbrucia un ladro nemico. La strofa è molto caratteristica, per la notizia che ci dà di un uso poco civile di quell'età primitiva; ma è importante anche, perchè ci permette di sospettare la ragione probabile di un atto brutale commesso dal Dio Indra nel
Rigveda, a danno dell'aurora. Indra non fu già marito dell'aurora; eroi del carattere d'Indra non possono pigliar moglie stabile; ad Indra non ispiacciono punto le donne, anzi è per cagione di esse ch'egli viene finalmente sbalzato dall'Olimpo; ma ei non si lega con alcuna Dea o donna mortale, con patto eterno; è vago di avventure, si compiace di belle forme, e sa anche, in qualche occasione, mostrare un cuor tenero. Nell'inno 80º dell'VIII libro del
Rigveda appare in relazione con Indra una fanciulla di nome
Apâlâ, che io sospetto essere la nostra aurora. L'aurora della sera si fa brutta, ossia si oscura nella notte; è Indra che compie il miracolo di ritornarla bella, passandoci sopra, dopo essere stato pregato da lei, dopo avere inteso il voto della pia fanciulla discesa alla fonte per attingere acqua, affinchè il
Soma od
Indu, o l'ambrosia (lunare) in essa trovata, scorra verso Indra sempre avidissimo del
soma ambrosiaco; Indra, passando tre volte, con la ruota, col carro, col timone sopra di essa, ossia sopra la testa, sopra il petto, sopra il basso ventre di lei, ne leva via la pelle orrida e scura, e purificandola in tal modo, le dà una pelle aurea (
apâlâm Indra trish pûtvy akrinoh sûryatvac'am). Qui Indra appare come benefattore della fanciulla aurora; ma bisogna aggiungere ancora come questa fanciulla si mostra vergine, semplice, pia e debole. Ma, quando l'aurora ardisce, come guidatrice di carri e di cavalli, emulare i guerrieri, e ribellarsi forse al potere stesso d'Indra, il guerriero per eccellenza, e contrastargli indomita, questa prima forma d'Amazzone offende il belligero Indra, che pone, come Teseo, come Siegfried, tutto il suo orgoglio nel vincere la fiera virago. Indra che squarcia le tenebre, Indra che squarcia le nuvole, non pare così potente come Indra che caccia dal cielo gli splendori talora malefici dell'aurora, rovesciandone e spezzandone il carro. I Greci trasportarono il mito del guidatore di carri che cade nel fiume, dall'aurora al sole Fetonte. Nel
Rigveda è il carro dell'audace aurora che, per la forza d'Indra, è precipitato. «Allora, o Indra (canta l'inno 30º del IV libro del
Rigv.) tu hai compiuto un atto eroico e virile (
vîryam Indra c'akartha paunsyam), quando colpisti la figlia del cielo, la donna malefica; l'aurora figlia del cielo grandeggiante tu, Indra il grande, abbattesti; dal rotto suo carro l'aurora fuggì spaventata, quando il potente Indra lo spezzò. Quel carro di lei giace intieramente disfatto e sconnesso; ed essa fuggì lontano.» Un altro inno del X libro del
Rigveda (X, 138) ci fa sapere che Indra compì quell'impresa col fulmine; e che l'aurora, per lo spavento del fulmine distruggitore d'Indra, si allontanò dal proprio carro. Qui il mito incomincia a diventare leggenda eroica; ed un mito concatenandosi con l'altro, si disegna forse nello stesso
Rigveda una specie di romanzo epico; poichè, quando gli Açvin pigliano sopra il loro proprio carro l'aurora che ha fretta di arrivare, le usano probabilmente quell'attenzione cortese, oltre che per naturale simpatia ed analogia, perchè l'aurora ha perduto il proprio carro distruttole da Indra, del quale gli Açvin come i Marut sono talora i compagni, ma qualche volta anche gli emuli. Un inno dice che l'aurora appare, quando gli Açvin aggiogano il loro carro. Ma, se la leggenda mitica si complicò, l'origine del mito dev'essere stata semplicissima. Come l'aurora, nel maggior numero de' suoi osservatori, desta un senso di grata meraviglia, così nell'infanzia della nostra stirpe potè ad alcuni osservatori inspirar terrore. Noi stessi, i quali diciamo per lo più che il rosso di sera lascia sperare il bel tempo pel giorno seguente, diciamo ancora qualche volta che il rosso di sera è segno di sangue, e che annunzia guerra. Qual meraviglia, che nella prima età patriarcale quell'aurora che gl'Inni vedici chiamano così spesso
grandeggiante, paresse voler minacciare di occupar sinistramente, come una strega perversa, tutto il cielo? Come nell'aurora vespertina vedremo nascere la fucina di Vulcano, così nell'aurora, specialmente nella vespertina, si dovette vedere alcuna volta una fata maligna, una selvaggia e sinistra virago, che, nel bisogno di pioggia, prometteva invece giorni sempre sereni, e apportava nuova siccità sopra la terra, e benedirsi perciò il potere d'Indra pluvio, che, fulminando, si scatenava nella tempesta, cacciando dal cielo le troppo ardenti aurore.
4. L'aurora dea. L'aurora sinistra, nata specialmente dall'aurora vespertina, ha la sua importanza nel mito; poichè, per essa, si possono spiegare le Elene argive, le Amazzoni, le Medee, le Crimildi, e simili tipi di donne, belle di bellezza terribile e fatale. Ma nell'aurora vespertina non si vide solamente la fucina del negromante, e la donna perfida e funesta, ma ancora, come vedremo, la porta del regno de' beati, de' morti maggiori, dove le anime de' morti cercano, morendo, il sole; onde, con pensiero tutto gentile e poetico, un poeta vedico (Rigv., VII, 76) immaginò che le anime dei poeti vedici anteriori fossero andate a rintracciare la luce nascosta, per farla risuscitare nell'aurora mattutina. E l'aurora alla sua volta, che abbiamo già conosciuta come madre degli Dei, chiamati perciò usharbudhah, ossia risvegliantisi con l'aurora, oltre le qualità ch'essa ha comune con altre divinità come liberale, splendida, benefica, ha pure come sua facoltà speciale quella di far muovere, quella di risvegliare; essa è la bodhayantî, ossia la risvegliante per eccellenza. E poichè dalla radice budh, «risvegliare,» nacque ugualmente la bodhayantî, ossia la risvegliante e la buddhi, ossia la intelligenza, ecco nell'aurora vedica mattutina (e poi, per somiglianza di fenomeni, nella primavera) che diffonde la luce, che vede tutto, perchè scopre con la sua luce tutto, che sveglia; ecco, io ripeto, disegnarsi vagamente, presso la bella aurora una Venere, presso l'aurora eroica una Pallade, e finalmente un Athênê o Minerva nell'aurora luminosa e illuminante, svegliata e risvegliante, sollecitamente operosa e ridestante dal sonno i mortali all'opera sollecita, come dice l'inno vedico, e sospingente ciò ch'è vivo a muoversi.