IV.
Sono scorsi due giorni….
I funerali del vecchio duca erano finiti.
Il sepolcro, che sembra aver l'incarico di compiere l'opera della morte, nascondendo ad ogni sguardo gli avanzi inanimati che richiamano in modo sì crudele la persona estinta, aveva accolto quelli del padre di don Francesco.
Ah! perchè un ribrezzo irresistibile allontana tosto dai cadaveri? E perchè tale ribrezzo viene sentito maggiormente dai parenti, dagli amici che dagli indifferenti?
È forse ciò effetto della disperazione che si prova in pensare come lo spirito immortale, che animava prima quelle membra, non sarà mai per farvi ritorno?… Mai!
E non vi è lagrima, non vi è preghiera, che valga a richiamarlo nemmeno un istante! Sembra quasi impossibile che non sia dato ottenere risposta veruna da chi poco prima poteva ancora comprendere, amare, soffrire!
Ecco forse perchè si fuggono abitualmente, appena la morte gli ha toccati, coloro che furono cari in vita, e che divengono quasi oggetti di terrore.
Ma non si può condannare un tal terrore, che in certe persone è davvero invincibile.
Niuna di tali sensazioni aveva però accompagnato nella tomba il vecchio duca dell'Isola. Le sue ultime parole, il segreto da lui rivelato avevano destato in tutti preoccupazioni gravissime: ed all'estinto non si pensava che per contraccolpo di esse; come cioè alla prima causa che le aveva fatte nascere.
Se egli fosse disceso nel sepolcro col suo segreto, avrebbe aumentata innanzi a Dio la propria responsabilità; ma quanti odj, quante colpe fors'anco avrebbe evitate!
Le preghiere di donna Rosalia, che chiedevano disperatamente a Dio di perdonare a suo padre, erano state le più ardenti che avessero seguito il vecchio duca.
Appena finiti i funerali, la duchessa, come lo aveva pensato donna
Maria, era ritornata al suo castello.
Quel castello era stato lasciato a donna Livia dal padre di lei, e colle vaste dipendenze formava parte delle sue cospicue sostanze. Benchè in inverno, la duchessa vi si recava sovente per più giorni insieme al suo bambino.
Questa volta aveva condotto seco lei donna Rosalia, temendo forse lasciarla in palazzo.
Il duca non aveva mostrato la menoma emozione nell'udire da sua moglie ch'ella ripartiva pel castello.
Nei precedenti giorni don Francesco aveva cercato contenersi come in un tempo di tregua; e come al benedettino, data una dilazione alla duchessa, e chiestane una per iscritto al cavaliere di Malta, perchè riflettessero meglio.
Nulla del resto,—aveva aggiunto con entrambi,—potrebbe smuoverlo dal partito preso, cioè di ottenere il silenzio con tutti i possibili mezzi.
E tale dilazione momentanea era stata accettata dal conte di San
Giorgio e da donna Livia.
Il giorno era per finire, quando la duchessa arrivò con donna Rosalia al castello. Quasi subito condusse la cognata in una sala del piano superiore: indi si assise vicino a lei senza parlare.
Donna Rosalia ruppe prima il silenzio.
—Dunque, disse, voi sperate, donna Livia, di poter giungere così a compiere il voto del mio sciagurato padre?
—Sì: non vedo via migliore di questa.
—Ma bisognerà che nessuno possa mai sospettare…
—Nessuno sospetterà, lo spero: e se, come credo, il vostro padrino asseconda il mio progetto, giungeremo presto forse allo scopo che desideriamo ottenere.
—Lo volesse il cielo!
—Basta; fra poco lo sapremo; il conte non dovrebbe tardar molto.
E donna Livia si alzò: andò a mettersi a una finestra: guardò pel vasto orizzonte che le si stendeva dinanzi.
—Nessuno! mormorò volgendosi alla cognata; nessuno ancora!
Donna Rosalia non l'intese.
Vedendo la duchessa alla finestra, aveva abbassato gli occhi, e lagrime silenziose scorrevano sulle sue pallide guance.
Donna Livia la considerò qualche tempo.
Sventurata! pensò; ah, non è soltanto la morte e la colpa di suo padre che ella piange! Quanto deve soffrire! Eppure quali angosce le sono serbate ancora! Adesso ella dubita soltanto: che sarà fra poco quando comprenderà che il principe non l'ha mai amata, o che almeno non l'ama più?—Cielo, perchè permetti che donna Maria debba, come ne sono sicura, venir preferita a questa fanciulla?… Donna Maria sì egoista, sì falsa ed insensibile!… Ah, non sono ingiusta pensando così di lei! Troppo bene la conosco.
E si passò una mano sulla fronte, mormorando: Oh! io so quanto costi rinunciare alla felicità vagheggiata!
E nei begli occhi della giovane duchessa brillò una lagrima… Ma ella scacciò tosto la sua emozione… Alfine, disse quindi tra sè, ho mio figlio, che tanto amo!… Sì: egli potrà forse farmi in parte dimenticare….
E come per non pensare a sè stessa, tornò ad esaminare donna Rosalia.
Temo, rifletteva, ch'ella non sappia sopportare il disinganno che l'attende… Vorrei incoraggiarla: vorrei dirle che so ciò che la fa soffrire:… ma no! D'altronde ora devo pensare a far quanto mi detta la mia coscienza, cercando realizzare il progetto che ho concepito.
E donna Livia tornò a guardare nella campagna.
Mentre poco prima stava considerando la giovane cognata, si sarebbe durato fatica a riconoscere in lei la donna che aveva strappato la pergamena a suo marito nella notte fatale, e che era quindi rimasta di ghiaccio alle di lui minacce.
Passò qualche tempo.
Ad un tratto la duchessa esclamò:
—Il cavaliere giunge.
Donna Rosalia alzò il capo.
—Sì, riprese donna Livia, allontanandosi dalla finestra. Egli si avvicina al galoppo. Io vado tosto a riceverlo, e vi comunicherò poi la sua risposta.
Ciò detto, sortì rapidamente.
Donna Rosalia le guardò dietro un istante.
Sì, disse tra sè; ella otterrà forse quanto mio padre desiderava…
Riescisse almeno quel progetto!
Indi a sua volta si mise alla finestra, ove stava prima appoggiata la moglie del duca. I suoi sguardi non errarono a lungo, e si arrestarono tosto nella direzione di Catania.
La notte,