—Ma come! quale ardire? Siete voi ora che interrogate?
—Sì: pensate anche che, operando come avevate divisato, non avreste potuto rammentarvi vostro padre, la sua morte, senza rimorsi amari e crudeli.
—Non colmate la misura, donna Livia, esclamò il duca impazientato.
—Chiamate voi colmar la misura parlando così? Ah no! È dirvi la verità, la sola verità!
—Ma credete voi che io sopporterò d'essere insultato a tal segno? Non sapete dunque, signora, che potrei, se lo volessi, punirvi severamente? Che ne ho il diritto?
—Il diritto? disse la giovane duchessa con amarezza: dite il potere, signore, ma non il diritto. Del resto usatene, se lo credete. Non sarà già il timore che mi chiuderà le labbra.
—La vostra temerità è grande, donna Livia: oh lo riconosco! ma non so se la conservereste sempre in faccia al pericolo….
Ed il suo pensiero ricorse forse un momento ai bravi, ai trabocchetti, ai veleni ed alle altre galanterie di simil genere, che in quei tempi di felice memoria sbarazzavano più di un nobile marito di una sposa o nojosa, od incomoda.
Ma egli non avrebbe potuto rassegnarsi a non veder più colei che gli stava dinanzi, la sola donna che avesse amata, che amasse ancora. Si sarebbe punito egli stesso. Non poteva dunque ascoltare tali tentazioni…. Soltanto se avesse creduto donna Livia infedele, sarebbe stato capace di essere crudele verso di lei; ma, benchè l'avesse sempre sorvegliata con tutta la gelosia che può suggerire la passione più viva, l'amor proprio più sconfinato, non aveva mai trovato nulla a rimproverarle.
Però in quell'istante avrebbe voluto atterrirla, perchè da ciò dipendeva in parte la riuscita di un piano ch'egli avea concepito subito dopo la distruzione della pergamena.
—Voi non parlate più, le disse ironicamente: oh dunque cominciate a temere!…
—No, signore: stavo pensando come mai ad un gentiluomo possa essere venuta l'idea di conservare un patrimonio non suo.
—Un gentiluomo deve pensare prima di tutto a sostenere il decoro della sua casa, e mio padre istesso fece per sì lunghi anni ciò che io vorrei fare.
—Ma si era pentito!
—Bene! sarò sempre a tempo a pentirmi anch'io.
—Ora non avete più prove, e….
—Perchè voi distruggeste quella pergamena! esclamò don Francesco con furore.
—Sì: e ve lo ripeto: vorrei udire da voi che mi approvate; che siete disposto a riparare la colpa di vostro padre. Fatelo, signore, ed io cercherò dimenticare questa scena dolorosa.
Ella fissò in lui il suo sguardo severo e profondo, che sembrava volergli leggere in cuore.
—Orgogliosa! mormorò egli.
—Ascoltatemi, riprese donna Livia lentamente. Voi credete davvero che il rendere al cavaliere dell'Isola quanto gli si deve possa essere di gran danno alla vostra casa?… Ebbene, riflettete che ciò non è; od almeno che essa può sopportare tal danno senza perdere nulla in splendore. La maggior parte delle sostanze che possedete vi rimarrà ancora: tali sostanze saranno considerevolissime, ed unite alle mie assicureranno sempre a nostro figlio una delle rendite più ragguardevoli della Sicilia… D'altronde la pergamena è distrutta, e voi…
—La pergamena è distrutta sì, interruppe egli con forza, ma se tutti tacessero, nessuno forse verrebbe a reclamare; anzi è probabilissimo….
—Oh mio Dio! voi pensate…
—Sì: penso che voi dovrete serbare il silenzio, come le mie sorelle… A questo patto soltanto vi perdonerò il grave oltraggio che ho da voi ricevuto…. Ve lo perdonerò perchè….
La guardò un istante con passione.
—Ma, chiese donna Livia, ed il padre benedettino, ed il cavaliere?…
—Del padre benedettino non vi preoccupate; me ne incarico io. Quanto al cavaliere, vedremo….
Il suo sguardo si fece minaccioso.
—Dunque, disse la giovane duchessa con sdegno e con dolore, voi persistete?
—Sì, rispose don Francesco con fuoco: e voi rammentatevi, signora, che guai se parlerete!
—Che io taccia? Che assecondi un simile progetto?… Ah, non sarà mai! Non lo sperate!…
Il duca fece un gesto di rabbia. I suoi occhi scintillarono di collera: e non potendo contenersi più a lungo, escì dopo aver detto a donna Livia con accento minaccioso:
—Riflettete, riflettete molto, signora: ve lo consiglio nell'interesse vostro.
E per distrarsi, pensò occuparsi del frate benedettino che aveva confessato suo padre moribondo: si proponeva correre sulle di lui traccie verso il convento dove abitava.
III.
Il convento dei benedettini, a cui ricorrevano in quell'istante i pensieri dei duca, era un vasto e comodo edifizio situato nel centro di Catania.
Là vivevano quei padri nella più completa pace, dedicandosi allo studio dei libri antichi ed alle ricerche scientifiche e storiche.
Attiguo al convento eravi un bellissimo giardino, che gli stessi monaci lavoravano, ciò che loro serviva di distrazione, di riposo.
Nella città e nei dintorni si aveva per quei religiosi grande considerazione e rispetto, e si ricorreva sovente a loro per consiglio ed ajuto.
Molte volte taluno di essi aveva consolato degli infelici, rasciugate delle lagrime ed impedita qualche prepotenza.
Anche i cavalieri avevano talora, talora fingevano avere dei riguardi per quei frati.
Malgrado tutto questo però, don Francesco credeva facilissimo ridurre il benedettino, ch'ei ricercava, al silenzio.
Era questo per lui come il primo passo che farebbe in una via la quale doveva divenire aspra soltanto procedendo.
Donna Livia, il cavaliere di Malta gli sembravano i soli, i veri ostacoli, nei quali avrebbe forse ad inciampare.
Il suo amore per la sposa gl'impediva non solo di punir lei, ma ben anche di punir donna Rosalia, come lo avrebbe voluto, come lo aveva detto. Ciò gli allontanerebbe troppo, lo sentiva, donna Livia, La sapeva capacissima di qualunque più forte risoluzione, ed anche avveduta tanto da mandarla ad effetto.
La sofferenza da lui avuta quella notte, i rimproveri sopportati dalla duchessa lo facevano arrossire di sè medesimo. Cedere, riparare la colpa del padre gli sarebbe sembrato una gran debolezza; come se fosse debolezza il saper vincere i pregiudizii creati da un amor proprio eccessivo.
Il potere, che donna Livia aveva sopra di lui, umiliava il duca; ma era grande, immenso: tale che, se ei non fosse stato sì orgoglioso, sì ostinato soprattutto, sarebbe caduto a' suoi piedi quella notte; sì, quella notte istessa in cui ella aveva sì arditamente distrutta la pergamena.
Grazie alla di lui alterigia però, colla quale in apparenza soffocava la sua passione, nessuno, donna Livia istessa, sapeva fino a qual punto egli l'amasse.
Quell'amore era una specie di tormento per un uomo del carattere del duca.
In un tempo in cui le donne non sapevano opporre ai voleri ed anche alle ingiustizie dei mariti, dei padri, dei fratelli che una barriera di eterne lagrime, il carattere eccezionale della duchessa poteva spiegare in parte l'ascendente ch'ella aveva su don Francesco. Per altro, se non ne fosse stato tanto innamorato,