Immaginate, per esempio, che i francesi raccolgano duecento mila uomini a Lione. Lo scopo è manifesto. Dovremo noi attendere che ci attacchino?
— Va bene. Riferirò al Re le vostre idee, e manderemo i regolari mandati per la stipulazione dei due trattati.
— Pel trattato sulla reciprocità nello esercizio dei diritti civili nei nostri paesi, i poteri potrete mandarli a di Launay, per l'alleanza preferirei trattare con voi.
— Va bene. Di questo argomento parlerò a S. M. il Re e prenderò gli ordini suoi.
— Vidi Andrássy, e gli dissi che eravate stato da me, e che il Governo italiano vuol vivere in una buona amicizia coll'Austria. Ne fu lieto e mi incaricò di salutarvi.
Ragionando, gli riferii che l'Italia non vorrebbe che l'Austria si prendesse la Bosnia e l'Erzegovina.
— Gli affari russi vanno male, e quest'anno la campagna è finita. L'Austria non ha intenzione alcuna di muoversi.
Fareste bene di vedere Andrássy. Troverete in lui un buonissimo amico.
— Permettetemi, Altezza, che or v'intrattenga di un argomento il quale è di vitale interesse per l'Italia.
Pio IX è avanzato negli anni e non tarderà quindi a partire da questo mondo. Avremo forse presto un conclave per la nomina del successore. È vero, che voi, Governo protestante, non siete nella posizione dei governi cattolici per preoccuparvi della futura elezione del romano pontefice, ma nella Germania avete popolazioni cattoliche e clero cattolico e non potete disinteressarvi di quello che avverrà nel Vaticano.
— A me importa poco chi possa essere il successore di Pio IX. Un Papa liberale sarebbe forse peggiore di un reazionario. Il vizio è nell'istituzione, e l'uomo, chiunque esso sia, qualunque siano le sue opinioni e le sue tendenze, poco o nulla potrà influire nell'azione della Santa Sede. In Vaticano quella che domina è la Curia.
— Purtroppo è così, e voi avete dovuto farne la prova nella acerba lotta che avete durato dal 1870 in poi col clero cattolico. Noi italiani ve ne siamo grati.
— Ma io non posso parimenti esser grato al Governo italiano.
Voi avete messo il Papa nella bambagia, e nissuno lo può colpire.[9] Sin dal marzo 1875 noi avevamo richiamato l'attenzione del governo italiano sui pericoli che contiene, per le altre Potenze, la legge sulle guarentigie della Santa Sede.
La questione è rimasta aperta.
— Come saprete, io combattei quella legge quando fu discussa in Parlamento.
Dopo lo scambio d'idee di minor importanza, ci siamo congedati con un arrivederci.
24 settembre. — Alle 8 pranzo a Potsdam — Il fidanzato della principessa Carlotta — Le fortificazioni di Roma — Principe di Sassonia-Meiningen.
25 settembre. — Pranzo da di Launay — Prima al Municipio.
«Berlino, 25 settembre 1877.
a S. M. il Re d'Italia.
Sire!
In esplicazione del mio telegramma del 10 corrente e di quello d'oggi, sento il dovere di rassegnarle come io abbia adempiuto presso S. A. il principe di Bismarck alla missione affidatami da V. M. d'accordo col Presidente del Consiglio dei Ministri.
I temi della missione, i quali furono oggetto dei colloqui avuti il 17 a Gastein ed il 24 a Berlino erano questi:
Alleanza eventuale con la Germania nel caso di una guerra con la Francia o con l'Austria.
Accordi nella soluzione delle varie questioni che potran sorgere in conseguenza della guerra turco-russa in Oriente.
Parificazione dei tedeschi e degli italiani nell'esercizio dei diritti civili in ciascuno dei due Stati.
Il Principe fu assolutamente negativo per un trattato contro l'Austria. Lo accolse volentieri contro la Francia, quantunque esprimesse la speranza che quest'ultima Potenza saprà tenersi tranquilla e non vorrà rompere la pace europea.
Anch'io dichiarai che noi nutrivamo cotesta speranza; ma feci riflettere — ed il Principe fu del medesimo avviso — che in caso di un trionfo, nelle prossime elezioni politiche, del partito reazionario, e della possibile caduta della repubblica, il governo il quale gli succederebbe avrebbe bisogno di ricorrere alla guerra per rifarsi delle sconfitte del 1870, e per avere autorità nel suo paese.
In quanto al contegno dell'Austria verso di noi, il Principe se ne disse dolente ed espresse il desiderio che fra i due governi si potesse stabilire un accordo cordiale.
Avendogli intanto fatto osservare, che se dopo il 1866 l'Austria ha bisogno di pace, essa non potrà dimenticare i danni patiti e sentirà, in un avvenire più o meno lontano, la necessità di riprendere la sua posizione in Germania, Sua Altezza rispose voler credere che ciò non avvenga. Una sola ragione vi potrebbe essere di dissidio tra i due imperi, e sarebbe quella in cui l'Austria volesse incoraggiare col suo contegno un movimento in Polonia. L'Austria — disse il Principe — solletica le ambizioni della nobiltà polacca. Nulladimeno — soggiunse — le cose non sono al punto da suscitar pericoli. Lasciatemi aver fede in quel governo. Se venisse il giorno che le mie previsioni fosser deluse, avremmo sempre tempo per intenderci, e potremmo allora stipulare un'alleanza.
La mia convinzione è che il Principe vuol tenersi stretto all'Austria, e parmi poter dedurre dalle sue parole che egli intenda esser d'accordo col gabinetto di Vienna, e vorrebbe che anche noi lo seguissimo in cotesta politica. La lontana ipotesi di una rottura fra i due imperi non mi parve conturbare l'animo di S. A. In quanto all'Italia mi dichiarò francamente che se Essa rompesse con l'Austria se ne dorrebbe, ma egli non farebbe la guerra per questo.
Sulle cose d'Oriente il Principe dichiarò che la Germania è disinteressata e che, in conseguenza, S. A. accetterebbe qualunque soluzione, la quale non turbasse la pace europea.
Immantinenti risposi, che l'Italia non potrà dirsi disinteressata anch'essa. Parlai allora delle voci in corso di mutamenti territoriali e delle proposte russe di far prendere all'Austria la Bosnia e l'Erzegovina onde averla amica.
Sul proposito ricordai le condizioni in cui ci troviamo dopo il trattato di pace del 1866 e come ogni aumento di territorio pel vicino impero sarebbe al nostro paese di danno. Le nostre frontiere, io dissi, sono aperte ad oriente, e se l'Austria si rinforzasse nell'Adriatico noi saremmo stretti come da una tenaglia e non saremmo punto sicuri.
Soggiunsi: «Voi dovreste aiutarci in questa occasione. Noi siamo fedeli ai trattati e nulla vogliamo dagli altri. Voi dovreste domani dissuadere il conte Andrássy da ogni desiderio di conquiste nel territorio ottomano».
Il Principe rispose ch'egli non voleva discorrere con Andrássy di tutto ciò, cotesti argomenti potendo essere dispiacevoli al Gran Cancelliere austriaco. Crede però che un accordo sarebbe possibile e propone, nel caso in cui l'Austria avesse la Bosnia e l'Erzegovina, che l'Italia si prendesse l'Albania, od altra terra turca sull'Adriatico.
Nel colloquio di ieri avendo discorso nuovamente delle varie materie trattate a Gastein, il Principe, mentre ero per congedarmi, mi dichiarò ch'egli aveva parlato col Cancelliere austriaco della nostra opposizione a che l'Austria prendesse la Bosnia e l'Erzegovina. E soggiunse: «Andate a Vienna. Son sicuro che potrete intendervi col conte Andrássy».
Un viaggio a Vienna è necessario per conoscere meglio le intenzioni dell'Andrássy sul problema orientale e per vedere se un accordo con l'Austria sarebbe possibile. Lo farò dopo essere stato a Londra, dove andrò domani, siccome ho già telegrafato a V. M.
Sulla parificazione dei tedeschi e degli italiani in ciascuno dei due Stati, nello esercizio dei diritti civili, il Principe non fece alcuna obbiezione, anzi l'accolse di buon animo. Il Principe mi parlò di un trattato che la Germania ha con la Svizzera, credo per i cittadini di Neuchâtel, e vorrebbe che lo prendessimo a base di quello che dovrebbe