Quel giorno era il mio turno di lavare le stoviglie e non riuscivo a pulire bene le incrostazioni sul fondo delle pentole. “Ci verseremo dentro dell’acqua e le lasceremo in ammollo. Si puliranno più facilmente in seguito”, mi disse la mamma, con la mente rivolta altrove. Appoggiò le pentole su un mobile del balcone, dietro a una tenda che proteggeva la nostra cucina dagli sguardi curiosi dei vicini. Rimasero lì per diversi giorni!
La mamma era entusiasta delle riviste che le avevano lasciato. Non smetteva di leggere la Bibbia che si era comprata in libreria: a malapena si prendeva il tempo per preparare i pasti! Da quel famoso giorno in cui mi aveva proibito di andare in chiesa da sola, lei stessa non vi era più tornata, né per confessarsi né per fare la comunione. Partecipò ancora per qualche tempo alle funzioni della vicina parrocchia, ma poi abbandonò del tutto le consuetudini religiose. Restavo solo io ad accompagnare il papà. Lui aveva un’aria piuttosto depressa e neppure io mi sentivo a mio agio. Nemmeno la bella musica dell’organo serviva a risollevarmi il morale. E ora, per di più, la mamma sembrava non sapesse più cucinare! “Legge troppo!”, dicevo tra me.
Una sera, mentre stavo per prendere sonno, sentii i miei genitori discutere. Tesi le orecchie il più possibile per captare le loro parole. Di certo avevano un segreto e io volevo assolutamente carpirlo. Sgusciai nel corridoio per ascoltare la loro conversazione. Il papà aveva un tono insistente. La voce della mamma era più dolce, ma molto ferma, e parlava della libertà di scegliere la religione secondo coscienza.
“Noi siamo cattolici!”, rispondeva continuamente il papà.
“Certo che lo siamo! Che bisogno ha di ripeterlo?”, mi domandai. Non riuscii ad afferrare la risposta della mamma.
Il papà, innervosito, ribadì con fermezza: “Noi dobbiamo restare fedeli!” Aggiunse che a Roma si trovava una certa roccia, chiamata Pietro, sulla quale era assiso il Papa; poi si alzò bruscamente. Accennai un mezzo giro per cercare di eclissarmi, ma era troppo tardi: il papà mi aveva vista. Uscì dal salotto infuriato: “Fa’ come credi!” Dopo alcuni passi si voltò per ribadire: “Ti proibisco di parlare a Simone delle tue idee e delle tue letture”.
Incredibile! Parlavano di me, eppure mi ignoravano; insomma, mi trattavano come una lattante! Stavo per esplodere dalla collera. Ero così agitata che decisi di tenere testa al papà.
L’indomani le mie prime parole furono: “Mamma, che cosa leggi tutti i giorni?”
“Letteratura biblica”.
“Di che cosa si tratta?”
“Riguarda la Bibbia, la Parola di Dio”.
“La leggerò anch’io”.
“Potrai farlo quando sarai grande”.
“No, subito!”
“Simone, ho promesso a tuo padre di non parlarti né della Bibbia protestante né di altri scritti religiosi”. Mi stavano davvero nascondendo qualcosa!
“Ma ora il papà non c’è!”
“È vero, ma gli ho fatto una promessa”.
“Ma il papà non ti vede e io non gli racconterò niente”.
“Non è una buona idea, sarebbe una specie di menzogna. Figlia mia, tuo padre lavora sodo per mantenerci e per pagare l’affitto. Ha tutti i diritti di prendere delle decisioni sulla tua educazione!” Mi sentii ribollire.
“Ma perché? Perché non ho il diritto di leggere ciò che voglio?”
In casa si creò un ambiente insolito. La mamma continuava a non andare in chiesa, ma almeno non lasciava più bruciare le pietanze. Il papà quasi non apriva bocca, non menzionava neppure più il socialismo! Salutava la mamma in modo meccanico, senza calore o entusiasmo, poi iniziava a interrogarla.
“Chi hai visto? Dove sei stata?” Trovavo stupido questo modo di fare. Eppure mio padre era al corrente che la mamma vedeva solo il droghiere, il macellaio e il panettiere! Perché non la lasciava in pace? Un giorno le sue domande presero i toni di un vero e proprio terzo grado.
“Pretendi di convincermi che quegli uomini che ti hanno lasciato questa letteratura non siano più venuti a trovarti?”
“No, non sono più tornati e mi dispiace, perché avrei molte domande per loro”.
Questa risposta non soddisfece il papà, che continuò: “Allora puoi spiegarmi come ti sei procurata queste nuove riviste?”
“Le ho ordinate”, ribatté la mamma. “Ecco la prova!”, aggiunse esasperata, mostrando una grande busta marrone con tanti francobolli.
“Perché ne hai ordinate così tante e dove sono finite?”
“Ho ordinato tre diversi opuscoli e me ne hanno inviati dieci copie di ognuno”.
“E che cosa ne hai fatto?”
“Le ho distribuite ai vicini del palazzo e ad alcuni che abitano nella strada un po’ più avanti”.
Il papà scosse la testa fuori di sé.
Mi rintanai in un angolo del soggiorno, pensando che dovessero essersi completamente scordati di me. Mi feci più piccola e silenziosa che mai.
Il papà fissò la mamma dritto negli occhi e scandì chiaramente: “Fai anche della propaganda adesso?” La mamma impallidì. Gli avrebbe risposto per le rime? Io l’avrei fatto! La stava trattando come una bambina!
D’un tratto lei disse: “Adolphe, bisogna dare a ognuno la possibilità e il diritto di fare scelte consapevoli. Questo non significa fare della propaganda!”
“Brava mamma!”, pensai, ma, senza rendermene conto, l’avevo fatto ad alta voce e avevo anche borbottato che ognuno, me compresa, aveva pure il diritto di scegliersi le proprie letture. Entrambi mi fissarono e tacquero sbigottiti.
CAPITOLO 3
Il mondo dei libri
Dopo la morte di Frida rimanemmo solo in quattro, e per andare e tornare da scuola preferivamo camminare sul lato della strada opposto alla sua abitazione. Passando davanti a un edificio, sentivamo una ragazza tossire molto forte. Io non l’avevo mai incontrata, ma Blanche la conosceva: si chiamava Jacqueline. Dopo una lunga degenza presso un sanatorio, era stata dimessa perché incurabile. Era più grande di noi e aveva la tubercolosi. Volevamo informarci meglio su questa malattia, così, siccome ero io “l’infermiera”, promisi alle mie compagne di fare delle ricerche in un manuale medico.
Per accedere all’ultimo ripiano della libreria a muro del papà, mi arrampicai sullo sgabello, il più in alto possibile. Il cuore mi batteva così forte che ne percepivo le pulsazioni alle tempie. Con mano tremolante afferrai Il medico in famiglia, il grosso libro dalla copertina di cuoio rosso. Preferii leggerlo rimanendo appollaiata lassù, così, non appena avessi sentito la mamma depositare gli attrezzi da giardinaggio in cantina, avrei avuto il tempo di riporlo, scendere, e richiudere e sistemare lo sgabello al suo posto.
Una vocina mi suggerì: “Non hai chiesto il permesso!” Pensai: “Se glielo chiedessi, la mamma mi risponderebbe con un secco ‘no!’, ma, siccome sono ‘l’infermiera’, devo imparare a tutti i costi. Visto che i miei genitori mi hanno proibito di leggere perfino quel libro che chiamano ‘Bibbia’, non posso correre lo stesso rischio!” Era particolarmente elettrizzante prendere decisioni senza dover chiedere il consenso a qualcuno. Quelle letture clandestine mi eccitavano all’inverosimile.
Il dizionario medico divenne la mia lettura preferita. Mi sarebbe piaciuto ricopiarne le illustrazioni, ma il pericolo di farmi scoprire era troppo alto. Ero affascinata dai termini complicati e dalle descrizioni delle malattie, che spesso terminavano con: “… e ne consegue il decesso”.
“Niente può succedere se non è voluto