La zia venne in mio aiuto: “Simone, è quello che porta un’etichetta col tuo nome”. Sotto l’albero c’era un presepio come quello esposto in chiesa la sera di Natale. Però la festa era già passata. Allora perché quello era ancora lì? Una scatola stretta conteneva il mio regalo, un omino di legno alto una ventina di centimetri con una fessura sul dorso. “È un salvadanaio. Potrai conservarci i tuoi risparmi”. Lo aprii: era vuoto.
Presi il mio regalo e tornai a sedere. Una cameriera in abito nero e grembiulino bianco mi offrì dei dolcetti. Mi sentivo a disagio, così la zia mi invitò a servirmi.
Finalmente la signora Koch annunciò: “Eugénie, il tram per Dornach parte tra una decina di minuti, potete riaccompagnare la nostra signorina”. Che sollievo! La domestica mi portò il cappotto, la sciarpetta di martora e il cappello di feltro e si offrì di aiutarmi a indossarli.
“Oh no, grazie! Sono grande, posso arrangiarmi da sola!” Tutti i presenti sorrisero.
“Una vera donnina!”, esclamò la signora Koch e ci accompagnò all’ingresso. Da una porta aperta che dava sul corridoio il signor Koch mi salutò inclinando la testa brizzolata. Dietro di lui c’era una specie di tavola con dei piedi dorati e dei cassetti; vidi anche degli scaffali alti fino al soffitto, ingombri di libri. Che tipo di locale poteva mai essere quello?
Era ripreso a nevicare. La casa dei Koch, con tutte le finestre illuminate, pareva un castello delle favole.
Sulla via del ritorno domandai a zia Eugénie perché i signori Koch chiamassero Babbo Natale il Bambino Gesù e come mai lui avesse portato un regalo per me a casa loro e in una data diversa da quella di Natale. Ma le sue risposte furono alquanto evasive. Non ci capii più niente!
Dopo le vacanze ripresi la scuola con gioia, ma l’aula scolastica era gelida. La stufa appena accesa ci mise un po’ per riscaldare gradevolmente l’ambiente. Madeleine, Andrée, Blanche e Frida non avevano avuto un albero di Natale. I loro unici doni erano stati un’arancia, una mela e qualche noce. “È perché sono povere”, disse la mamma.
La notte seguente, sotto le coperte, rimproverai Gesù Bambino: “Perché tratti in modo diverso i poveri e i ricchi? Perché hai regalato ai figli dei Koch trenini elettrici, libri, giochi e automobiline? Hanno ricevuto tanti regali che si sono stancati di aprire i pacchetti! Invece alla maggioranza delle mie compagne di classe non hai voluto portare niente. Nulla! Neppure un giocattolino! Questa è ingiustizia bell’e buona!” Non era forse così che il papà aveva definito l’ingiustizia: favorire i ricchi a scapito dei poveri?
Questa ignominia doveva assolutamente finire. Iniziai a comprare del cioccolato e dei pasticcini da distribuire a scuola quotidianamente. Un giorno, passando davanti a un negozio di giocattoli, vidi esposta una graziosa bambolina sistemata su un seggiolone. Visto che a Natale Frida era stata dimenticata, decisi di regalargliela. Entrai nel negozio per informarmi sul prezzo: cinque franchi! “Per favore, tenetemi da parte questa bambola, verrò a prenderla oggi pomeriggio”, dissi. Quindi rientrai a casa per mangiare.
Dopo pranzo, Madeleine mi chiamò dalla strada per fare il tragitto insieme, ma la mamma la invitò a salire in casa. “Madeleine – domandò guardandomi in tono di rimprovero – ti piacerebbe avere una ladra per amica? Per piacere, di’ alla maestra che Simone arriverà in classe con un po’ di ritardo!”
La mia amichetta sgranò gli occhi. Non capiva che cosa stesse accadendo e, d’altronde, neppure io! Poi se ne andò senza di me.
“Rendimi i soldi che hai rubato!”
“Mamma, io non ho rubato niente!”
“Non mentirmi, per di più!”
“Non sto mentendo! E non ho rubato!”
Con un gesto brusco affondò la mano nella mia tasca ed estrasse la moneta da cinque franchi.
“Ah! E questa che cosa sarebbe?”
“Sono dei soldi che ho preso, ma non li ho rubati!”
“Puoi spiegarmi la differenza?”
“Ma certo! Dovevo correggere la terribile ingiustizia che Gesù Bambino ha commesso nei confronti di Frida. Volevo comprarle una bambola!”
Con mia gran sorpresa, fu la mamma ad acquistarla, ma la sistemò sullo scaffale, accanto al salvadanaio regalatomi dalla signora Koch.
“Ascolta bene, figlia mia. Rubare significa prendere qualcosa che non ti appartiene, poco importa per quale scopo. Voglio che questa bambola ti aiuti a ricordarlo. Rimarrà su questo ripiano. Guai a te se la sposti! Fino a che tu la lascerai là e non ruberai più, non farò parola di questa storia a tuo padre, manterrò il segreto. Sai che lui deve lavorare ore, anzi, che dico, giornate intere per guadagnare cinque franchi? Tu sai quanto lui tenga all’onestà, perciò fa’ attenzione! Non ti ha mai picchiata,eppure in questo caso lo farebbe. Non azzardarti a spostare questa bambola dallo scaffale, altrimenti ti caccerai in guai seri!”
Il giovedì non c’era scuola, così ogni tanto mia cugina veniva a trovarci con la sua bambola e assisteva alle lezioni che davo alla mia. Prendevo questo compito molto seriamente e facevo del mio meglio, tentando di ripetere i concetti di educazione civica appresi a scuola. Trovavo, però, delle difficoltà quando cercavo di spiegare alle bambole che cosa fosse e come funzionasse la coscienza, come la si potesse perdere oppure non possederla affatto. In verità, non lo comprendevo appieno neppure io!
Un giorno domandai al papà: “Che cos’è una coscienza?”
“È una specie di vocina interiore che ti dice ciò che è bene e ciò che è male”.
“Papà, la maestra dice che dovremmo riflettere ogni sera sulla giornata appena trascorsa e su quello che abbiamo fatto”.
“Questo significa farsi un esame di coscienza. Certo, per i piccoli è ancora un po’ difficile, ma più crescerai più lo saprai fare”.
“Io non sento niente, eppure vi presto attenzione tutte le sere. Non c’è nessuno che parli dentro di me. Come devo fare perché questo succeda?” Lo volevo sapere! Non avevo assolutamente intenzione di far parte dei “piccoli”.
“Continua a cercare questa vocina e ad attenderla. Un giorno la scoprirai: è dentro di te”.
“Papà, la notte scorsa, mentre ero coricata, le mie gambe mi hanno parlato”.
“E che cosa ti hanno raccontato?”
“Che avevano voglia di girarsi”.
“E tu che cosa hai risposto?”
“Ho cambiato posizione”.
“Erano i tuoi muscoli a mandarti il segnale. Anche i tuoi sentimenti ti parlano e, col tempo, imparerai ad ascoltarli con attenzione e a ubbidire loro”.
Continuavo a istruire la mia bambola con tutta la serietà del caso. Un giorno ero con lei nella nostra “aula” e guardavo la mamma intenta a cucire. Quando il papà entrò nella stanza fui felice, ma poi i suoi occhi si posarono sulla bambolina seduta sulla mensola. Mi sentii come Zita, che, dopo avere combinato qualche marachella, si rifugiava sotto il letto!
“Da dove viene questa bambola?” Quasi certamente mi aspettavano dei guai!
“Non è carina? È come piace a Simone”, rispose la mamma, senza distogliere gli occhi dal suo lavoro. Mi irrigidii ed evitai di guardare il papà.
“Deve essere costata cara, le miniature di questo tipo sono senza prezzo”.
Mi sentivo persa! Lanciai uno sguardo sconsolato alla mamma, che continuava tranquillamente a cucire.
“A proposito, Adolphe, visto che parliamo di oggetti costosi, ti sei informato sul prezzo di una bicicletta nuova?”
“Sì, l’ho fatto. Per il momento non possiamo