Abbiamo detto che l'aurora è chiamata sûnritâ, ossia la mobile, l'agile, la destra; e poichè in una mobile si videro parecchie mobili, perciò l'aurora si chiamò pure, oltre che sûnritâ, anche sûnritâvatî, sûnritâvarî, ossia la fornita, l'accompagnata con le mobili, con le agili. Non discostiamoci, di grazia, trattandosi di miti elementari, dal senso etimologico delle parole; e ci renderemo ragione più pronta della loro probabile formazione. Sunritâ vale la mobile; la parola go (gau) esprime l'andante (dalla radice gam, gâ andare) e la sonante o muggente da un'altra radice gâ che significò sonare e cantare; l'aurora vedica, come andante, si chiamò non solo sûnritâ, ma go; ora go è il nome che si dà alla vacca muggente; perciò la mobile aurora e le mobili nell'aurora chiamandosi gavas furono scambiate per le vacche; e come la sûnritâ o mobile diventò sûnritâvatî, o fornita di mobili; così la go aurora, propriamente ancora la mobile, diventò gomatî, ossia la fornita delle mobili. Ma poichè la parola go, come sonante, servì poi specialmente ad esprimere la vacca, si vide nella go aurora (mobile) come nella go nuvola (mobile insieme e tonante) una vacca, anzi molte vacche, alle quali sono paragonati i raggi luminosi (prati bhadrâ adr'ikshata gavâm sargâ na raçmayah), onde nacque non solo l'aurora concepita come vacca rosea (vacca innocente, eterna, Aditi la chiama l'inno 90º dell'VIII libro del Rigv.), ma l'aurora gomatî, ossia l'aurora fornita di vacche. Ed ecco la prima personificazione dell'aurora, cagionata da un singolare e poetico equivoco del linguaggio. Ma, se dobbiamo credere al commentatore Sâyana, in alcuni Inni vedici la parola go non rappresenterebbe soltanto la vacca (ossia la muggente), ma anche il cavallo (l'andante). Il nome proprio del cavallo, açva (equus), ha pure il significato di andante, penetrante, veloce. L'aurora, come mobile, non fu solo go, ma anche açvâ (propriamente), veloce; e non solo açvâ, ma açvâvatî, ossia fornita di celeri o cavalle, ricca di celeri o cavalle. Concepita per tal modo l'aurora come ricca di vacche e di cavalle, niente più naturale che il poeta vedico l'invocasse, come accrescitrice degli armenti, come liberale all'uomo di cavalli e di vacche (Nû no gomad vîravad dhehî ratnam usho açvavad purubhog'o asme; Rigv., VII, 75); e quando il poeta chiama l'aurora con frequente appellativo vag'înî, ossia fornita di cibi, i cibi desiderati, come ce ne assicura l'inno 81º del VII libro del Rigv., non sono altro che vacche (vâg'ân asmabhyam gomatah), il quale indizio ci proverebbe che l'età vedica non era punto pitagorica. Nell'inno 92º del I libro s'invoca dall'Aurora il dono di cibi, ne' quali le vacche siano la cosa principale (usho goagrân upa mâsi vâg'ân).
2. L'aurora come persona. L'aurora mobile e rosea, che, denominata go, pigliò forma di vacca, o di un armento di vacche (l'inno 92º del I libro del Rigv. invoca non un'aurora, ma molte aurore e le chiama insieme le madri vacche rosseggianti), l'aurora mobile e rapida che prese nome di acvâ, e assunse perciò forma di cavalla (e rossastra come una bella cavalla la chiama il 30º inno del I libro, e il 52º inno del IV libro del Rigveda), e le aurore, che nell'inno 41º del VII libro trovo chiamate açvâvatîh, al plurale, sono tema specialissimo di quella che intitolai Mitologia zoologica.[7]
Noi dobbiamo soltanto veder qui che cosa abbiano potuto divenire nell'età vedica l'aurora gomatî, ossia fornita di vacche; l'aurora açvâvati, ossia fornita di cavalle. L'aurora go e poi gomatî, ossia fornita di vacche, diventò una pastorella; l'aurora açvâ e poi açvâvatî o fornita di cavalle, una guidatrice di carri e cavalli.
Proviamolo.
L'inno 92º del I libro del Rigv. ci dice che l'aurora aperse, ossia dissipò la tenebra, come le vacche rompono il loro recinto, ossia escono dalla loro stalla. Nell'inno 48º e 113º dello stesso libro l'aurora stessa è detta aprir le porte del cielo. Nell'inno 75º del VII libro l'aurora infrange le stalle delle vacche e queste muggono verso l'aurora. Nell'inno 124º del I libro l'aurora è chiamata gavâm g'anitrî, delle vacche genitrice; poco dopo, si dice ch'essa risplendette giovane in Oriente, ove congiunge la schiera delle rosee vacche (aveyam açvaid yuvatih purastâd yunkte gavâm arunânâm anîkam). Ed ecco rappresentata, con perfetta evidenza, nell'aurora, la pastorella celeste. La go diventò gomatî; la gomatî fu madre di vacche (mâtâ gavâm la chiama pure l'inno 52º del IV libro del Rigv.), e custode di vacche, ossia pastora, che tiene insieme raccolte le vacche rosseggianti (eshâ gobhir arunebhir yug'anâ; Rigv., V, 80), che guida le vacche, onde il suo nome di guidatrice delle vacche, datole per l'appunto da un inno vedico (gavâm netrî; Rigv., VII, 75). Abbiamo avvertito come la mobile aurora sia non solo açvâ essa stessa, ossia rapida cavalla celeste, ma ancora açvâvatî, ossia fornita di rapide cavalle celesti. L'appellativo açvasûnr'itâ, dato all'aurora nell'inno 79º del V libro del Rigv., non è quindi per me, come pel Dizionario Petropolitano, «Ushas vom Jubel der Rosse begleitet,» ma molto più semplicemente «l'aurora fornita di agili cavalli,» poichè come açva vale cavallo, così sûnr'ita, agile, mobile, rapido; onde il composto riferito all'aurora non parmi significare altro se non l'avente rapidi cavalli. L'aurora è la prima forma animata che appare sul far del giorno nel cielo orientale; essa è la prima ad arrivare, e però la rapida; e poichè il cavallo è il rapido od açva per eccellenza, anche l'aurora, come femmina, è un'açvâ. E come nell'aurora molte aurore, nella vacca luminosa si figurarono molte vacche luminose; così, oltre la cavalla, si videro molte cavalle, si vide l'aurora fornita di molti cavalli, l'aurora guidatrice di cavalli, l'aurora sul carro. Gli Inni vedici ci permettono ancora di dimostrare questo mito fino all'evidenza.
Brihadrathâ, ossia dal vasto carro, è chiamata l'aurora nell'inno 80º del V libro del Rigv.; nell'inno 65º del VI libro sono celebrate al plurale le aurore aventi carri luminosi (c'andrarathâh) che si avanzano coi cavalli dalle redini rosee (arunayugbhir açvâih); dal carro luminoso, mobile e faciente muovere (c'andrarathâ, sûnritâ, irayantî) è chiamata l'aurora nell'inno 61º del III libro; nell'inno 75º del VII libro leggiamo che bei cavalli rosseggianti apparvero portanti l'aurora luminosa, la quale se ne viene bella, sopra un carro tutto illuminato (o forse meglio, illuminante tutto). Nell'inno 77º del VII libro l'aurora è celebrata come arrecante il biondo, conducente il bel cavallo (s'intende il sole; vahantî çvetam, nayantî sudr'içîkam açvam); nello stesso inno la ricchezza dell'aurora dai molti doni