Così noi abbiamo sicuramente dimostrato l'aurora pastorella, e l'aurora guidatrice di carri.
Non dimentichiamo ora l'idea fondamentale, dalla quale siamo partiti, cioè che nell'aurora, oltre la luminosa, la bella, vuolsi pure osservare la mobile, per cui essa potè facilmente trasformarsi in go ed in açvâ. Come açvâ, è la prima ad arrivare, la prima ad apparire, la più sollecita. Noi abbiamo veduto l'aurora che è ad un tempo go e conduttrice di vacche, açvâ e guidatrice di cavalli. Abbiamo detto uno degli appellativi assai frequenti dell'aurora essere, negli Inni vedici, sûnr'itâ, che vuol dire mobile, agile, sollecita; ma essa non è solo celebrata come sûnr'itâ, ossia agile, ma come netrî sûnr'itânâm, ossia guidatrice delle agili. Ed eccoci un novissimo e poetico aspetto dell'aurora, l'aurora ballerina, l'aurora guidatrice del coro delle ballerine; eccovi le apsare, eccovi le ninfe celesti, con le quali gli Dei immortali temperano la noia dei loro ozii olimpici. Ma, perchè ogni affermazione tenta qui aver la sua prova, cerchiamo anche di questo poetico mito alcun esempio vedico che lo confermi. Nella quarta strofa dell'inno 92º del I libro del Rigv. leggiamo che l'aurora si orna come una ballerina; che si scopre il petto come una vacca (adhi peçânsi vapate nr'itûr ivâpornute vaksha usreva barg'aham). Nello stesso inno essa è chiamata splendida guidatrice delle agili (bhâsvatî netrî sûnr'itânâm), e per piacere, essa sorride come un lusingatore (çriyê ch'ando na smayate). Nell'inno 113º dello stesso libro ci ritorna la bhâsvatî netrî sûnr'itânâm, ossia la splendida conduttrice delle agili, giovane, in veste luminosa (yuvatih çukravâsâh). Nell'inno 123º l'aurora ci è paragonata ad una fanciulla che vezzeggia col corpo (hanyeva tanvâ çaçadânâ), giovine, sorridente, splendida, che in oriente si discopre il seno (samsmayamânâ yuvatih purastâd âvir vakshansi vibhâtî), e quindi ancora viene comparata ad una bella fanciulla adornata dalla madre che si discopre il corpo per farlo vedere (susamkâçâ mâtrimr'ishteva yoshâvis tanvam kr'inushedriçe kam). Nell'inno 124º traduco la terza strofa nel modo seguente: «L'aurora si manifesta come il seno d'una vergine; come la vacca (discopre il petto) essa discoverse a noi le cose care»[9] (upo adarçi cundhyuvo na vaksho no dhâ ivâvir akr'ita priyâni). Quest'ultima espressione (s'io avessi avuto la fortuna di bene interpretare il passo vedico) potrebbe essere di una terribile ingenuità, e varrebbe ad agevolarci la via di comprendere i misteri fallici che servirono di fondamento a tanta parte delle antiche religioni e mitologie. E gli Inni vedici all'aurora ritornano ancora altre volte alla stessa immagine. Nell'inno 64º del VI libro leggiamo: «Divina aurora, tu bella lucente co' tuoi splendori ti scopri il petto» (âvir vakshah kr'inushe). L'inno 76º del VII libro chiama l'aurora ora gavâm netrî, ora netrî sûnri'tânâm, ed essa si congiunge in tutti gli inni del VII libro con râdhas, rayi, la ricchezza; nell'inno seguente si paragona ancora l'aurora a giovine donna; nell'inno 115º del primo libro si dice che il sole va dietro alla divina aurora lucente, come un uomo dietro una donna (Sûryo devîm ushasam roc'amânâm maryo na yoshâm abhy eti paçcat; in questo inno ancora la Pr'ithivî trovasi identificata con l'aurora come quella che cresce e grandeggia nel cielo). Nell'inno 80º del V libro l'aurora discopre ancora il corpo dalla parte d'Oriente; e appare bella alla vista come un bel corpo che si scopre, come una donna levatasi dal bagno (eshâ çubhrâ na tanvo vidânordhveva snatî driçaye no asthât). Dopo tutte queste prove, io dovrei durar poca fatica a dimostrarvi come la Venere sia uno degli aspetti più frequenti dell'aurora vedica.
3. L'aurora eroina. Noi abbiamo, in ogni maniera, finqui la certezza dell'aurora raffigurata come pastorella, come guidatrice di carri, come saltatrice del cielo, come donna bellissima. Vediamo ora le sue parentele celesti. Il suo nome più frequente è quello di duhitar divah, ossia di figlia del cielo, chiamata perciò anche divig'âs, ossia nata nel cielo. Ma, oltre il cielo, il Rigveda ci dà pure come padri dell'aurora, talora il Dio Indra, il sommo reggitore del cielo, talora Sûrya, il sole. Aditi le fu madre; talora invece parrebbe madre dell'aurora luminosa e chiara la notte scura (çukrâ krishnâd ag'anishta çvitîcî; Rigv., I, 123); ma, nello stesso inno, in cui ci si dice che la bianca è nata dalla nera, la notte vien chiamata sorella; e rappresentasi ora come buona, congiunta strettamente con l'aurora, ora come sua nemica ch'essa caccia lontano, e della quale rimuove le tenebre. Come sorelle concordi sono chiamate insieme ahanî (Rigv., I, 123), dyavâ (Rigv., I, 113), le due splendide, le due insieme congiunte, le due immortali, le due succedentisi, simili e pur diverse, che non stanno ferme e che pure non s'incontrano mai. Abbiamo qui una forma d'indovinello vedico; altri esempii somiglianti si potrebbero riferire dal Rigveda. Accennammo già come Varuna sia il reggitore divino della notte e Mitra, l'amico sole, il reggitore del giorno; uno dei sinonimi di Mitra è Bhaga. Come l'aurora è la sorella della notte, così nel citato inno 123º vien ricordata quale sorella di Varuna e di Bhaga (bhagasya svasâ varunasya g'âmir). Abbiamo finqui dunque il sole padre dell'aurora, come quello che è supposto mandarla fuori innanzi a sè; il sole fratello dell'aurora, come quello che appare quasi contemporaneamente con essa: ma il sole appare ancora, rispetto all'aurora, in due altri aspetti, come sposo e come figlio. A Varuna essa concede solamente le sue lusinghe e gli reca danno; al sole, a Mitra, essa invece aggiunge forza, potenza, splendore; perciò un inno del Rigveda (III, 61), forse con un po' di giuoco di parole, la chiama mahî mitrasya varunasya mâyâ (accrescitrice di Mitra,[10] di Varuna ingannatrice.) Da quella che accresce il sole, alla madre del sole è lieve il passo; l'inno 113º del I libro del Rigveda ci fa sapere che l'aurora generata per produrre il sole, ebbe dalla notte la yoni o vulva necessaria