Nel vederla perse il fiato. Bellissima oltre ogni immaginazione, Aura lo guardò teneramente. Brillava della stessa luce dei fiori che aveva visto nei boschi durante il viaggio per Fati e che tanto lo avevano affascinato. La pelle, di un azzurro chiaro quasi trasparente, era ricoperta qua e là di minuscoli cristalli luminosi. Gli occhi, color ghiaccio, rendevano un viso dai lineamenti perfetti, ancor più stupendo e incantevole.
A coprirle il sinuoso corpo, una semplice tunica di pizzo bianca legata in vita da un soffice nastro viola che terminava con un tenero fiocco sul fianco destro. La veste lasciava scoperte solo le caviglie, accarezzate da due semplici sandali chiari. I capelli, dello stesso colore degli occhi, scendevano morbidi seguendo i delicati lineamenti del viso.
«Santos ti aspetta, il carro è pronto».
Jack annuì timidamente, era bellissima. Imbarazzato, si pulì la bocca con la manica della maglia per poi alzarsi goffamente colpendo il tavolo con le ginocchia. Provò a nascondere il dolore con una smorfia provocando così divertimento nella ninfa.
Nel guardarlo, Aura vide l’asprezza e la purezza della sua giovane età. Quello davanti a lei era poco più di un bambino, un blocco di ferro grezzo che doveva essere assolutamente forgiato. Confidava nelle abilità dell'astro ed era certa che da quell’involucro ne sarebbe uscito fuori un guerriero, il loro salvatore.
I muscoli non dolevano più e il giovane capì che, perso davanti alla finestra del cortile interno, aveva trascorso più del tempo che pensava.
«Questo ti appartiene», gli porse il mantello Aura. Se ne era completamente dimenticato. Lo prese e con un filo di voce ringraziò la ninfa impegnandosi in un buffo inchino. Imbarazzato, si diresse verso l’uscita nella stanza accanto. Lei rimase lì, immobile e fiduciosa, si lasciò andare in un sorriso carico di sentimento.
Anche se la minaccia era dietro l’angolo, in un modo o nell’altro, tutti riuscivano ancora a sorridere. Non dovevano abbattersi ed era in quei piccoli gesti che dovevano trovare sempre e comunque la forza di ridere. Zeno aveva bisogno di persone forti al suo fianco e in grado di condurlo lungo il cammino.
Avvolto dal logoro mantello, aprì la porta.
Il sole alto lo accecò e rapido chiuse gli occhi infastidito.
Ritrovarsi nuovamente prigioniero di quel pezzo di stoffa nero lo angosciava. Voleva inspirare a pieni polmoni, lasciare liberi i capelli al vento e godersi il calore di quella splendida giornata. Purtroppo però era pericoloso e in alcun modo, nessuno doveva notarlo.
Stava scendendo l’ultimo dei tre gradini ancora incredulo dall'angelica visione quando, senza pensarci, sentì il bisogno di voltarsi per vederla ancora una volta. Ma alle sue spalle, la grossa porta in legno era già chiusa. Dispiaciuto, si voltò raggiungendo i due compagni distanti pochi metri.
«Ma insomma, ti vuoi muovere?» brontolò Boris dal carro.
Scombussolato, Jack non fece caso al nuovo mezzo di trasporto davanti ai suoi occhi. Non aveva mai visto nulla di più mistico e affascinante e ora, le poche immagini di Aura, gli riempivano la mente estraniandolo da quel che lo circondava.
Santos si limitò in uno sguardo. Sapeva che per un essere umano, abituato a convivere solo con individui della stessa razza, ritrovarsi davanti a una ninfa non era facile. In più, la sua bellezza era superiore alla norma e questo rendeva il suo incontro con il giovane ancor più speciale.
«Sveglia bambolotto!», continuò Boris senza dargli tregua.
Jack scosse il capo nel tentativo di riprendersi. Davanti a lui, un carro di legno poggiava su due grosse e consumate ruote metalliche. Il tutto, legato a due piccoli cavalli bruni dall’aspetto tutt’altro che rassicurante. L’astro gli fece cenno di salire. Il giovane gli si sedette a fianco voltandosi per l’ultima volta verso la piccola dimora della ninfa.
Con l’immagine ancora fresca di Aura e spinti da sensazioni diverse tra loro, i tre compagni lasciarono la piccola piazza dalla fontana a forma di pesce per perdersi nelle strette vie che portavano al distretto del mercato.
Santos, innamorato perdutamente, aveva comunque deciso di non esprimerle in alcun modo i suoi sentimenti. Non era il momento e non voleva soffrire più del dovuto. Il sol parlarne li avrebbe resi tremendamente reali. Per ora li lasciava lì, tra i ricordi e i sogni, nella speranza di un futuro diverso, migliore.
Dopo aver viaggiato in lungo e in largo, conosciuto genti e affrontato battaglie, aveva deciso di far ritorno a casa spinto dalla voglia di rivedere la sua amata dopo lunghi anni di assenza. Se per Aura rivederlo era stato un caso, per lui, di certo no. L’aveva cercata per settimane, raccolto informazioni e poi, con fatica, l'aveva trovata senza però aver il coraggio di andarle subito a parlare. Aveva passato giornate intere a osservarla nascosto nell'ombra vergognandosi per la sua codardia. Poi, proprio quando la forza di farsi avanti si era concretizzata, come una tempesta era arrivata la chiamata dal Gran Consiglio e l’assegnazione di quell'importante missione.
Al contrario dei suoi compagni, il folletto era rimasto fortemente turbato dalla visione della ninfa, scosso dai timori che si portava dietro da anni e che non lo avevano ancora abbandonato.
Le piccole e tortuose vie si susseguirono l’una dopo l’altra in un labirinto dallo sfondo violaceo. Si trovavano ancora nel primo distretto e a breve avrebbero raggiunto il secondo.
Prima dell'arrivo dei mercanti, su Abram non esistevano città. Ninfe, folletti, auri e astri vivevano a stretto contatto con la natura, immersi nel verde del loro pianeta.
Poi, quando una grossa carovana composta da un centinaio di mercanti di diverse razze raggiunse quel piccolo paradiso, gli scontri fra le due fazioni furono inevitabili.
Per proteggere le proprie ricchezze e spinti dalla sete per il denaro, i mercanti avevano assoldato numerosi mercenari e così, nel giro di pochi mesi, le perdite da entrambe le parti furono elevate.
Ma un giorno, fortunatamente qualcosa cambiò. Atria, regina delle ninfe, conscia del disastro concesse ai mercanti la possibilità di svolgere il proprio lavoro assegnandogli un grosso territorio. Dopo diversi anni, mattone su mattone, sarebbe nata Fati, comunità dei mercanti nel pianeta delle ninfe.
Con il trattato di Serenità, gli stranieri s'impegnarono a mantenere i loro affari all'interno delle mura della città, mentre gli abitanti di Abram a non invaderla con la forza.
Così, dopo interminabili mesi di sanguinose battaglie, gli scontri cessarono e la pace ritornò aiutando la prosperità del piccolo mondo.
In molti, tra le varie razze autoctone, la giudicarono una pesante sconfitta ma per il quieto vivere, nessuno osò contrastare quell'importante decisione.
Poi, con il passare degli anni, gli astri abbandonarono progressivamente il pianeta spinti dall’innata voglia di conoscenza. Solo in pochi rimasero su Abram continuando a proteggere la natura e formando nuovi protettori ogni anno.
Con il passare del tempo, la fama del mercato crebbe velocemente attirando sempre più stranieri in cerca di fortuna. Da poche e semplici capanne e con l’aumentare costante dell’afflusso di visitatori, nacque una vera e propria città circondata da alte e spesse mura. Molte ninfe, attirate dalla vita cittadina, lasciarono i boschi trasferendosi a Fati, costruendo così un vero e proprio sobborgo adiacente al mercato. Questo, inevitabilmente, portò a un'integrazione maggiore e a un equilibrio più forte tra le razze che abitavano quell'ormai grande metropoli.
Le differenze tra i sei distretti, tre delle ninfe e tre dei mercanti, rimasero negli anni comunque molto evidenti. Dai palazzi a pochi piani dalle pareti violacee e dai candidi tetti a cupola, si passava, nel giro di poche vie e di piccole mura, a grossi agglomerati di abitazioni costruite in pietra e dalle forme tozze e poco curate. In quei distretti non c’erano colori dominanti. Ogni palazzo presentava tinte e strutture diverse creando così un miscuglio caotico ma dal carattere affascinante.
Aura, come molte altre, aveva rinunciato alla vita nei boschi aprendosi un piccolo negozietto nel quale, con passione, vendeva antiche pozioni dalle diverse proprietà. Si era allontanata dalle tribù delle foreste per evadere dalle dure