«Non saranno mica…» brontolò Boris.
«Sono proprio loro» rispose l’amico porgendogliene una.
Il folletto, scocciato e deluso sbuffò allungando il suo tozzo e minuscolo braccio quasi schifato. Ne strappò un pezzo non più grosso di una formica e rassegnato lo mangiò. Ci mise un secondo per sputarlo a terra tossendo rosso come un peperone.
«Voi e il vostro cibo maledetto!»
«Come diavolo fate a mangiare queste porcherie?».
L’astro si voltò verso Jack.
Davanti ai suoi occhi, la stessa scenata fatta al primo incontro con quelle strane quanto fantastiche foglie magiche.
Dopo svariati tentativi anche il folletto riuscì a gustare, ricredendosi, quel cibo tanto disprezzato.
Lo strambo gruppo cenò vicino al tepore del fuoco in compagnia di guerre tra i regni dei folletti e scontri con mostri spaventosi e ormai con la luna alta nel cielo, sazi e con gli zigomi affaticati dalle continue risate, i tre presero sonno facilmente.
Così sarebbe dovuto essere il percorso del salvatore, un cammino sereno e ben strutturato. Questo, almeno era quello che in cuor suo Santos desiderava dall'inizio. Purtroppo però la realtà era ben diversa e presto, ne avrebbero avuto tutti la prova.
Il pomeriggio del terzo giorno, i tre compagni arrivarono in prossimità della città. I folti e intricati alberi che da ore si susseguivano in un verde labirinto, lentamente diminuirono rimanendo comunque numerosi. Davanti ai loro occhi, alte mura in pietra si presentarono possenti trasudando la loro antica magnificenza. Tra le rocce, un massiccio cancello alto una ventina di metri e interamente in ferro aprì le porte alla città.
«Benvenuti a Fati» disse Santos voltandosi verso i due compagni.
La natura che li aveva accompagnati si districava tra gli enormi blocchi di pietra cercando gli spazi da loro occupati, segno della voglia di ritornare padrona della propria terra.
«Cara vecchia Fati… Quanto mi mancavi» esclamò Boris raggiungendo i compagni. Era da tempo che il folletto non tornava nella capitale.
Jack s’immaginò quanto potessero essere imponenti quelle mura per il piccolo amico alto poco più della sua mano.
«Tieni il viso coperto, non ti fermare per nessun motivo e seguimi come fossi la mia ombra.» ordinò Santos, passandosi nervosamente le mani sui lunghi capelli corvini e stringendo la logora stoffa che li teneva legati.
«La tranquillità ha lasciato questa terra da anni». Con tali parole, l’astro si avviò verso i cancelli ansioso di ricevere le temute risposte alle domande che da giorni lo turbavano.
Jack annuì percependo la preoccupazione del suo compagno e, dopo essersi aggiustato il cappuccio, lo seguì.
«Aspettami giovanotto» urlò Boris alle sue spalle.
Il terrestre non ebbe il tempo di voltarsi completamente che il folletto, mostrando una notevole agilità per il suo tozzo corpicino dalle curve marcate, gli si arrampicò sul mantello per poi raggiungere la tasca interna situata all’altezza dei pettorali.
Superati i grossi cancelli in ferro dalle decorazioni in basso rilievo a lui sconosciute, restò a bocca aperta. Strane abitazioni a base rettangolare, non più alte di una decina di metri, si ramificavano in tutte le direzioni divise da piccoli e stretti budelli. Le pareti, di un viola ormai sbiadito, si perdevano a vista d’occhio creando con i raggi del sole strani giochi di ombre. I tetti, tutti a cupola e di un colore simile al latte, davano l’impressione, a chi li guardava dal basso, di andarsi quasi a mescolare tra le grosse e candide nuvole che abitavano quel cielo dai colori brillanti. Stagliate in lontananza, sei torri azzurre dai lunghi e affusolati pinnacoli dominavano la città.
Sotto i loro stivali, grosse pietre dalle forme disordinate tremolavano leggermente a ogni passo. Statue raffiguranti svariate creature femminili, dai lineamenti rigidi e scavati e dai lunghi capelli, si susseguivano ai piedi delle abitazioni. Jack, senza parole, sgranò gli occhi. La città che gli si presentava davanti sembrava uscita da una favola.
«Ricorda ciò che ho detto» ripeté Santos deciso imboccando una piccola stradina leggermente in salita. Annuendo, il giovane si strinse ancor di più nel suo mantello cercando comunque di godersi il più possibile il paesaggio che lo circondava. Per quanto comoda e sicura, la rete che gli copriva il volto non gli permetteva di ammirare pienamente le magnificenze che tanto lo stavano affascinando. La tentazione di togliersi il cappuccio, sempre più forte. Anche solo per una manciata di secondi, desiderava poter far scorrere il proprio sguardo da una parte all’altra. Sapeva che era impossibile e, rassegnato, aumentò il passo.
«Bella, vero?». Boris aveva tirato fuori la sua tonda testolina coperta dal piccolo cappello verdastro dalla morbida punta cadente.
«Stupenda…» rispose schiacciandosi sul viso la fitta rete nel tentativo di migliorare la vista.
«Ci sarà il momento in cui potrai ammirarla senza paure, ragazzo.». Gli strizzò l’occhio il folletto rassicurandolo.
Santos camminava veloce e in ogni suo movimento, si percepiva l’aumentare della tensione.
«Mantieni il passo» gli ricordò Boris nel vedere crescere la distanza tra i suoi due compagni. Spaesato, Jack accelerò. Doveva essere la sua ombra, così gli era stato ordinato.
Le stradine cominciarono a susseguirsi una dopo l'altra lasciando spazio, ogni tanto, a piccole piazze adornate da numerose fontane scavate nei marmi.
Jack era stanco di camminare, i polpacci dolevano. Molti individui, avvolti nei loro mantelli dai diversi colori e dai volti coperti, gli passarono accanto senza degnarlo di uno sguardo. Il nuovo abbigliamento stava funzionando alla perfezione.
Svoltarono per l'ultima volta in un viottolo ritrovandosi così in una piccola piazza semi deserta.
Finalmente, Santos si fermò.
Davanti a lui, una graziosa casetta dalle consuete pareti violacee. Il piccolo tetto a cupola color latte, adornato con diversi vasi ricoperti di fiori colorati. Deglutì nervosamente.
Una grossa porta in legno dalle venature scure era l’ingresso. Su di essa, incise in uno strano corsivo, tre parole ad accogliere i visitatori: “Novo solis renascens”. Era arrivato il momento di saperne di più sul giovane terrestre.
Jack capì subito che avevano raggiunto il posto di cui gli aveva parlato l'astro. Non sapeva esattamente quali pensieri lo turbassero ma, in qualche modo, erano legati a lui.
Ne era certo.
«Aspettatemi qua. Non vi muovete, arrivo subito!», così dicendo, l'astro aprì la porta ed entrò accompagnato da un leggero cigolio.
Jack era affascinato dall'atmosfera che si respirava in quella città. Le persone erano tutte incappucciate e nessuno lo avrebbe mai notato. Fu lui però a notare qualcosa. Il suo sguardo si posò sulle verdi mura di un piccolo negozio dalla parte opposta della piazza.
Incisa su un'insegna in legno la scritta “La casa dei Desideri”.
Attratto e incuriosito, attraversò la strada per osservare la vetrina.
Moltissimi oggetti dai colori sgargianti e dalle forme più bizzarre mai viste prima erano accalcati gli uni su gli altri. Le domande alla loro utilità sorsero spontanee.
«Se ti piacciono, puoi entrare», lo invitò una figura incappucciata dalla voce roca poggiata sul ciglio della porta.
Quelle parole lo bloccarono.
L’ordine di Santos era chiaro, non doveva muoversi e farsi distrarre da nulla.
«No, grazie…», si limitò con un filo di voce abbassando il capo e cercando conforto nelle logore vesti.
«Non sei di queste parti, vero straniero?»
Trasalì. Non sapeva