Jack si sentì soffocare. Il primo istinto fu di levarsi il cappuccio. Lo afferrò con una mano, non ne poteva più, aveva bisogno di aria fresca.
La burbera voce di Boris si levò leggera dalla tasca come un’ancora.
«Non fare sciocchezze, non levartelo».
Jack tornò in sé e, con il respiro affannato, si girò e si allontanò senza rispondere all'individuo che, stranito dal comportamento dello straniero, rientrò nel proprio negozio scuotendo il capo.
Nel centro della piccola piazza, una panchina scavata nella roccia fu la meta.
A un paio di metri di fronte a lui, una fontanella a forma di pesce spruzzava acqua verso il cielo. Il getto, non troppo forte, faceva ricadere l’acqua sulla statua creando così brillanti giochi di luce grazie ai raggi del sole.
Il desiderio di sciacquarsi il volto, immenso. Voleva strapparsi le vesti di dosso, dalla prima all'ultima. Si portò le mani al volto con l'affanno in costante aumento ma, per fortuna, non ebbe il tempo di farsi sopraffare dal panico.
Una lunga mano affusolata lo sollevò dalla panca con decisione rimettendolo in piedi.
«Ti avevo detto di non muoverti! Su, seguimi!», lo rimproverò severo Santos strattonandolo.
Davanti a loro, la grossa porta in legno leggermente socchiusa.
I due entrarono accompagnati nuovamente dal leggero cigolio delle cerniere arrugginite che sostenevano l’uscio.
Il luogo, semibuio, illuminato solo da una piccola candela fluttuante al fondo della stanza. La fiammella, flebile e sinuosa, vibrò creando strane ombre sulle vecchie pareti per poi calmarsi alla chiusura della porta.
Jack, ancora agitato, si guardò intorno intimorito. I vestiti e il mantello, soffocanti.
«È lui?» domandò estasiata una voce femminile dall’ombra.
«Sì…» bisbigliò l’astro.
Ancora celata, la presenza lo esortò ad avvicinarsi.
Jack non si mosse.
La voce udita, dal tono leggero, soffice e penetrante, risuonò innaturale. Indietreggiò.
Non sapeva come comportarsi e l’aria respirata, umida e pesante, gli aumentò l'affanno.
«Santos…», si voltò di scatto cercandolo nell'ombra.
«Siamo soli, avvicinati», insistette l'ignota voce.
Si sentì vulnerabile, fragile. Voleva scappare via, riaprire la grossa porta in legno e correre lontano. Tutti i timori riaffiorarono in un secondo cancellando quella temporanea pace interiore che con fatica aveva trovato.
Qualcosa si mosse nell’oscurità. Trasalì. Il corpo, teso come una corda.
Dal nulla, un’aria fredda gli accarezzò il collo penetrando le vesti alle sue spalle. Subito il pensiero volò all’uscio ma capì, in una manciata di secondi, che non si trattava della corrente. La porta dietro di lui era chiusa, ne aveva sentito il rumore poco prima. L’aria lo accarezzò nuovamente e così continuò a intervalli regolari.
Non era uno spiffero ma un lento respiro, freddo e profondo.
Tremò.
Qualcuno si trovava alle sue spalle.
Il cappuccio gli si sfilò permettendogli di respirare a pieni polmoni.
La paura saliva a ogni secondo. Santos lo aveva abbandonato senza dargli alcuna spiegazione. Non se ne capacitava.
Una lunga e sottile mano gli si appoggiò sulla testa accarezzandogli i folti e ondulati capelli neri.
Il sudore, che ormai gli ricopriva tutto il corpo, si gelò in un istante.
Brividi intensi lo invasero.
Provò a scappare ma le gambe, paralizzate, glielo impedirono e in balia della creatura dalla voce quasi metallica si sentì svenire.
La tentazione di chiudere gli occhi, di lasciarsi andare e di arrendersi all’inevitabile era forte. Ma anche abbandonarsi fu impossibile.
«Non resistermi, rilassati. Fammi entrare nel tuo cuore e permettimi di esplorare la tua anima» gli sussurrò all’orecchio la fredda e pungente voce alle sue spalle.
«Chi sei?»
«Aura», riecheggiò leggero il nome nella stanza.
La piccola candela ormai era un puntino lontano e, con il cedere progressivo delle esili gambe, la vista gli si offuscò.
La mano, ben salda sulla sua testa, la fonte del suo malessere.
Improvvisamente, dal nulla, sentì un forte calore crescere dentro di sé.
Il freddo svanì e il sudore riprese a scendere invadente.
Aura posò anche l'altra mano tra i suoi capelli.
Tutt'intorno iniziò a girare e, con il calore del suo corpo in continuo aumento, si sentì ardere gli organi. Con le labbra e gli occhi contorti cercò di sopportare, di resistere. Ma il dolore lo soggiogò.
Una luce accecante illuminò la stanza. Per un secondo, il caratteristico arredamento del piccolo negozio comparve dall’oscurità.
Aura cadde rovinosamente a terra spinta da una forza sconosciuta. La candela si spense precipitando al suolo e il buio riavvolse la stanza. Jack, in preda alle convulsioni, si ritrovò sulle ginocchia completamente sudato, vuoto e senza forze.
Chiuse gli occhi.
Bruciavano tremendamente e rapito dall'oblio, si lasciò andare al suolo privo di sensi.
Aura era ancora a terra quando Santos rientrò nella stanza da una piccola porta ovale sulla sinistra.
«Cos'è successo?» domandò l'astro soccorrendola.
«È lui, il nostro salvatore è lui!» disse la ninfa, sorridendogli dolorante.
«Le tue mani…», le guardò Santos preoccupato.
Non sapeva cosa fosse successo. Seduto su una sedia scolpita nel legno, aveva aspettato nella stanza accanto logorato dall’ansia. Poi, quell’improvvisa luce che aveva oltrepassato gli spiragli della piccola porta e una forte folata di vento seguita da una calma piena di paure. Come un fulmine li aveva raggiunti trovando l'amica stesa al suolo e con le mani completamente ustionate. Accanto a lei, il corpo inerme del giovane.
«Le fiamme! Ho visto il fuoco ardere nel suo fragile cuore».
«Le tue mani…» ripeté sconvolto con un nodo alla gola.
Le parole della ninfa si erano perse nel nulla. Nella sua mente, le orribili bruciature sulle piccole e sottili mani dell’adorata amica.
«Ashar è tornato tra noi», continuò Aura alzandosi.
Santos fece un lungo respiro cercando lucidità.
«Non dovevo coinvolgerti».
Lentamente, prese le mani fra le sue e per un attimo, i loro sguardi si incrociarono. Aura le ritrasse subito, ma quel luccichio negli occhi parlò per lei. Fresco era ancora il ricordo di quel giorno. Se solo Santos avesse saputo. Le leggi però erano chiare e nessuno poteva infrangerle.
«Era necessario» rispose Aura accarezzandogli il volto con delicatezza.
«Non temere», così dicendo, si portò le mani vicino alle labbra e soffiò lievemente. L’aria gelida che ne uscì avvolse le ferite e in pochi secondi, la pelle le si rigenerò tornando trasparente e brillante senza alcuna cicatrice.
Nell’assistere a quella strabiliante guarigione, la mente dell’astro volò indietro nel tempo, quando entrambi condividevano i momenti di gioco. Il ricordo della terribile sbucciatura dell’amica, causata da una forte caduta da un alto albero, era ancora vivido nella sua mente. Ancor di più però lo era la miracolosa guarigione. Figlie dirette della natura, le ninfe avevano il dono della rigenerazione dei tessuti. Nell’ammirare per la seconda volta quella magia unica nel suo genere, un nodo gli strinse il cuore. La nostalgia dell’infanzia ormai