Jack raggiunse il cerchio luminoso, si voltò ancora un istante e, con l’astro che schivava l’ennesima sfera gettandosi affannosamente sulla sinistra, scomparve risucchiato dalla luce.
10
La folta vegetazione dominava l’intero paesaggio. I ruscelli bagnavano i grossi alberi secolari attraversandone le radici e facendole così brillare sotto i tenui raggi del sole. Jack, sdraiato al suolo privo di sensi. Poco distante, Santos decisamente provato dallo scontro.
Con un potente attacco era riuscito a distrarlo sfuggendo così a una morte certa. Il tutto forse, merito di un benevolo fato.
Non aveva mai affrontato un nemico così tanto potente e, al sol pensiero, rabbrividì.
La sua missione, ormai entrata nel vivo. Fortunatamente la natura gli stava restituendo le forze, facendolo riprendere in fretta.
La sua razza, una delle più antiche, con essa legata indissolubilmente da un legame nato con la creazione dei mondi e delle specie abitanti. Erano i protettori di ogni forma vivente e per questo godevano di una vita secolare.
Santos prese la sua borraccia verdastra e, nel guardarne lo stato, capì che era giunto il momento di comprarne una nuova. Era quella che gli avevano dato in dotazione al Gran Consiglio e, dal giorno in cui era stato promosso astro di terzo livello, lo aveva accompagnato in ogni sua avventura. Ma l'ultimo scontro l’aveva rovinata fortemente. Le incisioni a basso rilievo raffiguravano un rigoglioso salice piangente con le radici aggrovigliate e ben salde su una grande roccia, stemma immortale degli astri. Ora erano quasi del tutto consumate e ricoperte di fuliggine. Legata da sempre alla sua cintura di pelle nera, in molteplici circostanze gli era stata più utile delle armi stesse.
Raggiunse il ruscello più vicino fissandone le incisioni sbiadite.
Non era una semplice borraccia, non un comune contenitore da riempire d’acqua o di altre bevande. Era un simbolo, l’emblema che rappresentava il superamento dell’esame finale all’Accademia della Natura, il contrassegno che lo identificava come astro di terzo livello insieme al ciondolo che portava al petto. S’inchinò ancora un po' dolorante sulla riva del piccolo rigagnolo, guardò la sua immagine provata riflessa nello specchio d’acqua cristallina e immerse la borraccia. Il contatto lo fece rabbrividire ma il sollievo fu maggiore. Gelida, l’acqua portò via con sé gran parte della fuliggine, ridando lievemente il lontano splendore a quel semplice oggetto a lui caro. Le incisioni, di pregiata fattura, brillarono avvolte dalle acque e con esse, anche i segni dei duri combattimenti passati. La riempì e dopo essersi dissetato, si alzò stringendola forte per poi raggiungere il giovane rovesciandogliela sul volto.
Jack aprì gli occhi urlando terrorizzato. L’immagine del vecchio, ancora ben definita nella sua mente. Con la vista ancora annebbiata e con gli occhi contratti dall’acqua ghiacciata, si asciugò il volto nella speranza di essere nella sua stanza. Ma appena tutto riprese colore, l’ambiente risultò ben diverso della sua piccola e disordinata camera da letto. Massicci alberi dalle cortecce rugose e dalle folte chiome verdi smeraldo lo circondavano. Dinanzi a lui, stagliato contro i raggi del sole, l’individuo a fissarlo in silenzio con la borraccia gocciolante tra le mani.
«Cos’è successo? Dove mi hai portato brutto pazzoide?» urlò Jack stringendo la fitta erba verdastra che lo circondava. L’incubo sembrava non aver fine.
«Siamo su Abram, il pianeta delle ninfe» rispose Santos riagganciando la fiasca alla cintura.
Il ragazzo si guardò istericamente intorno affannato. Quelle parole gli squarciarono il petto. «Non è possibile, smettila con queste menzogne, dimmi dove mi hai portato o chiamo la polizia». Tra i pugni serrati, i poveri ciuffi d’erba vittime della sua crisi.
«Calmati Zeno…», si limitò l’astro tranquillo.
«Calmarmi? E perché dovrei?», gli mancava l’aria.
Era disorientato, tutto intorno a lui era strano, diverso da dove si trovava prima dello scontro. Un flash nella sua mente lo bloccò. Le immagini del bosco, dell’incontro rude con l’individuo, la lunga e contorta discussione, il vecchio gobbo, la voce pesante e penetrante, il fuoco e infine la luce seguita dal buio più totale. Tutto gli balenò in mente paralizzandolo. «No, non è possibile, devo assolutamente svegliarmi!». Si alzò barcollante scuotendo la testa nella speranza di scacciare via quelle terribili immagini.
«Non stai sognando, non devi svegliarti. Quel che ti circonda, quel che è successo, è la realtà.», gli sorrise Santos, inchinandosi lentamente e allungando le braccia verso il terreno.
«Loro non c’entrano nulla.», così dicendo, afferrò i malcapitati ciuffi d'erba che, sotto gli occhi increduli del ragazzo, si riattaccarono al terreno pieni di vita.
«Allontanati, stammi lontano lurida sottospecie di maniaco!».
«Zeno, calmati, sei ancora debole!», cercò di tranquillizzarlo avvicinandosi.
«Mi chiamo Jack!».
L'ambiente perse nitidezza e con le tempie pulsanti il ragazzo si portò le mani ai capelli.
Nulla di tutto ciò poteva esser vero.
Vedendolo così instabile, Santos si morse il labbro inferiore indeciso su come riprendere il discorso. Però, non poteva tenerlo all'oscuro, doveva sapere.
«Ho bisogno che tu mi ascolti», gli si avvicinò poggiandogli delicatamente l'affusolata mano sulla spalla tremante.
Quello, il loro primo vero contatto.
Non si ritrasse. Inspiegabilmente, si sentì al sicuro.
«Come ti dicevo, le sacerdotesse di…»
«I suoi occhi… Perché mi ha attaccato?».
Santos si fermò un secondo scoprendosi intenerito da quello sguardo innocente e smarrito. Quel che poteva pensare il giovane terrestre non poteva neanche immaginarlo.
«Anche lui ti sta cercando, siamo stati fortunati».
Jack non capì. Nel viso del suo interlocutore, lievi sintomi di inquietudine lo intimorirono.
«Ma chi è? Cosa vuole da me e da mia madre?»
«La creatura che ci ha attaccato è il Trokor e ha uno scopo ben preciso. Tramite quell'orribile sogno, voleva far crescere la paura in te, indebolirti e farti abbracciare l'oblio.»
«Perché proprio io?».
Il tutto stava nuovamente finendo su binari inimmaginabili e confusi.
Santos sospirò profondamente.
«La madre sacerdotessa in persona è riuscita a percepire la presenza dello spirito di Ashar sulla Terra. L'unico che ci può salvare. Purtroppo, anche Marmorn ne è venuto a conoscenza ed è per questo che ti ha sguinzagliato il Trokor alle calcagna».
Jack aprì la bocca pronto a intervenire ma le troppe domande gli si accavallarono in gola.
«Questa creatura è infima e astuta. Sa che per avvicinarti alle tenebre ci vuole un lungo e lento processo. Provocando in te paura e odio, vuole portarti ad abbracciare il buio più profondo per poi sfruttare l’immenso potere di Ashar…».
Il silenzio li avvolse per alcuni interminabili istanti e nelle iridi violacee di quello sconosciuto, Jack capì.
«Zeno mi rendo conto che ti possa sembrare assurdo. È la verità e prima l'accetterai prima potrai compiere il tuo destino»
«Io sono Jack…», con queste ultime flebili parole barcollò fortemente per poi accasciarsi al suolo privo di sensi.
L’astro si chinò su di lui e con delicatezza gli poggiò la mano sulla fronte visibilmente sudata. Povero ragazzo, non doveva essere assolutamente facile. Essere catapultato in un’altra realtà completamente diversa, ritrovarsi nel bel mezzo di uno scontro tra un semidio e un protettore della natura, fuggire tramite un portale verso mondi e popoli lontani. Doveva vegliare su di lui e far sì che il lungo ed estenuante viaggio che li attendeva fosse per Jack il meno traumatizzante possibile. Lo guardò con dolcezza. Il suo corpicino, esile e slanciato, riposava