Quando la contessa Matilde scomparì dalla scena del mondo, vi fu nell'Italia centrale un periodo di estrema confusione. Essa aveva lasciata erede di tutti i suoi beni la Chiesa, la quale perciò voleva assumere il governo della Toscana. Ma il Margraviato apparteneva all'Impero che voleva riprenderlo. La Contessa poteva disporre dei soli beni allodiali, non dei feudali. Distinguere gli uni dagli altri non era facile, spesso non era possibile; e così ne nacque una crisi economico-sociale-politica. Il Margraviato ne andò in fascio, e le sue varie parti si separarono, per mancanza di un'autorità superiore che potesse esercitare il potere. In mezzo a questo stato di cose, Firenze si trovò libera e indipendente, senza quasi avvedersene, senza quasi sentire il bisogno di avere un nuovo governo. La società era già tutta quanta in mano delle associazioni; di un governo centrale v'era appena bisogno. Quelle famiglie che avevano comandato il presidio, che avevano amministrato la giustizia in nome di Matilde, continuarono a farlo in nome del popolo, e furono i Consoli del Comune. Quale è il primo segno di questa indipendenza? La ripresa della guerra contro il Castello di Monte Cascioli, che fu demolito e bruciato. Questo fatto ebbe una speciale importanza.
L'imperatore Arrigo IV aveva mandato un tale Rabodo a restaurare l'autorità dell'Impero in Toscana. Questi, a San Miniato al Tedesco (che allora cominciò ad essere così chiamato) raccolse i nobili, per riprendere, in nome del suo sovrano, il potere; andò poi alla difesa di Monte Cascioli e i Fiorentini, combattendo il Castello, combatterono il vicario e lo uccisero. Così essi presero finalmente il loro partito, e dichiarandosi avversi all'Impero, divennero un Comune indipendente, senza quasi accorgersene. E questa è la ragione per la quale gli storici rimasero maravigliati e confusi. Come! Firenze la patria di Dante, la patria di Michelangelo, quella che ha avuto così gran parte nella coltura del mondo, nasce senza che nessuno se ne avveda? Vi deve essere qualche errore, vi devono essere stati documenti ora scomparsi, deve essere avvenuta una catastrofe che è stata dimenticata. Non è avvenuta nulla di ciò. Firenze aveva cominciato ad essere di fatto indipendente; continuò per la medesima via, quando scomparve la contessa Matilde. La rivoluzione avvenne senza grandi scosse, senza quasi che alcuno se ne avvedesse. Ma gli scrittori come Giovanni Villani non sapevano persuadersi di dover cominciare così modestamente la storia della Città, essi che vivevano nei giorni in cui la patria loro primeggiava e risplendeva. E però, quando nel 1300, al tempo del giubileo, il Villani si trovò a Roma, e ne ammirò i grandi monumenti, «io voglio scrivere, esso diceva, la storia di Firenze, perchè Firenze è figlia di Roma, ed è ora nel suo salire, quando invece Roma è nel suo cadere.» Pieno di questa idea, voleva imitare Tito Livio, e scoprirvi qualche cosa di simile alle origini di Roma. Trovando invece una città nata modestamente da un gruppo di mercanti, arrivata alla libertà e indipendenza senza fare alcun rumore, non se ne contentava, non se ne persuadeva, e ricorreva invece alla leggenda, che connetteva Firenze con Roma, con Troja, con Enea, e la narrava come se fosse storia. Per queste stesse ragioni anche i moderni cercarono nella storia quello che non v'era. I fautori dell'origine germanica dei Comuni non vogliono credere che questa cittadinanza si sia potuta formare di artigiani, senza che vi sia entrato elemento feudale germanico; lo cercano, e non ve lo trovano, e non sanno di ciò persuadersi. Gli scrittori italiani, se sono nemici del Papa, ghibellini, non si persuadono che questa repubblica, la patria di Dante e del Machiavelli, sia nata, si sia formata, sotto la contessa Matilde, amica del Papa, e protetta da lei. E vanno anch'essi in cerca di avvenimenti che non seguirono mai. Gli scrittori guelfi, è vero, si rassegnano a ciò più facilmente assai; ma non sanno neppur essi capire come mai Firenze sia potuta nascere dopo di Pisa, di Lucca, di Siena, di tante altre città. Così tutti cercano quello che non si può trovare, perchè non avvenne mai, e non vogliono vedere la verità che è chiara e lampante sotto i nostri occhi, e sta tutta nelle poche notizie certe che abbiamo. Altre non ve ne sono, altre non sarà facile, non sarà possibile, io credo, trovarne.
VI
La Repubblica si formò dunque come da sè stessa. I capi delle famiglie, i quali avevano giudicato, comandato il presidio, guidato l'esercito in campo, divennero i Consoli. I capi delle associazioni, insieme coi loro aderenti, formarono il Consiglio, che si chiamò anche Senato. Nelle grandi occasioni, quando si trattava d'affari assai importanti, si sonava la campana e si raccoglieva il popolo a Parlamento. E questo era il Comune fiorentino. Noi però non dobbiamo immaginarci che un tal governo avesse l'importanza che hanno i governi delle società moderne, perchè in Firenze il governo vero restava sempre nelle mani delle associazioni. Ciò è tanto vero, che nei documenti, nei trattati che si fanno fra città e città, si dice spesso che saranno eseguiti dai Consoli, se vi saranno, e se non vi saranno, li faranno eseguire i Boni homines, i capi delle Arti o altri cittadini. Il governo centrale aveva un'importanza assai secondaria, il che ci spiega ancora, come mai, in quelle continue rivoluzioni, in quei continui mutamenti di leggi e di statuti, quando a noi pare qualche volta che un governo più non esista, le cose potessero nondimeno procedere secondo il loro ordine naturale e normale. La Città passava di rivoluzione in rivoluzione, senza che alcuno sembrasse turbarsene, e quando a noi parrebbe che dovesse seguirne il finimondo, tutto invece continuava secondo il solito, perchè il governo era sempre restato in mano delle associazioni. Non era uno Stato accentrato come i moderni, era una specie di confederazione di arti e mestieri, di consorterie, di società diverse. Questo carattere generale lo troviamo in tutti i Comuni italiani, ma in Firenze più che altrove. Ciò spiega in gran parte la prodigiosa attività e intelligenza popolare di quei tempi. Il cittadino era ogni giorno chiamato a prender parte alla cosa pubblica; la discussione era continua; continui gli attriti nei quali si formava e svolgeva una varietà infinita di caratteri, di attitudini morali, industriali, politiche. E spiega ancora come, in mezzo a così incessanti tumulti, potessero così splendidamente fiorire le arti della pace: l'industria il commercio, le lettere, la pittura, la scultura, l'architettura.
La seconda guerra che fece Firenze, nei primi tempi della sua vita popolare, fu la guerra contro Fiesole, presa e distrutta nel 1125. E perchè fu fatta questa guerra? Perchè, ci dice il Villani, Fiesole era divenuta il nido di tutti i cattani lombardi, cioè i conti che avevano, secondo lui, origine longobarda, e che veramente avevano la più parte origine germanica. In questo momento, in fatti, nel quale i messi imperiali sono a San Miniato, i signori feudali del contado si raccolgono intorno a loro, contro la Città, e nei documenti troviamo spesso che gli uni e gli altri sono chiamati Teutonici. La popolazione toscana s'era così come divisa in due. Da un lato si vede un partito germanico, feudale, imperiale; dall'altro le città, in cui erano principalmente gli artigiani, gli eredi del sangue romano, che rappresentavano il lavoro e l'industria, e divenivano ogni giorno più una forza, una potenza capace di misurarsi col partito imperiale. A Fiesole, per la posizione assai forte che essa aveva sul monte, resa più forte da una rôcca, s'erano raccolti molti di questi nobili feudali, e minacciavano la sottoposta Città; ne devastavano le campagne, ne impedivano il commercio. I Fiorentini perciò mossero all'assalto. Leggendo la narrazione, che di questa guerra ci dà il più antico cronista fiorentino, il Sanzanome, il quale era un notaio, par di leggere la descrizione d'una delle guerre fra i Romani ed i Cartaginesi. Egli ci presenta un Fiorentino, che si leva in mezzo al popolo e dice: Se siete veramente i figli di Roma, come pretendete, questo è il momento di mostrarlo. E subito dopo fu emanato un editto dai Consoli, che dichiararono la guerra. Si direbbe che il cronista fosse un erudito del secolo XV, tanto le idee, la coltura, la forma, i pensieri romani erano sin d'allora vivi in quella cittadinanza.
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