Non v'è dubbio: è la mia recente conoscenza del salone di scrittura, mia compagna di qualche giorno di gite.
Che cosa vuol dire, costui? Una frase qualsiasi o vuol precisare un senso alle sue parole? E mentre cerco una risposta che non viene, la bella creatura s'avvicina, guarda prima lui con un strano, fuggevole, laterale sguardo di rispetto, nuovo nei suoi occhi, poi guarda me chinando un poco il capo con un sorriso di saluto e passa.
— La conosce? — gli domando con indifferenza.
— Mi pare che conosca piuttosto lei, — mi risponde ambiguamente l'uomo ridendo, ma con una nota di più del necessario. Poi cambiando repentinamente tono:
— Sa perchè mi son permesso interrompere la sua contemplazione di Venezia? — aggiunge —. Perchè devo partire dall'Italia e volevo salutarla.
La notizia non m'interessa gran che. Ma un elementare dovere di forma mi costringe a mostrare una certa sorpresa.
— Una gita commerciale, immagino....
— No, son chiamato sotto le armi per un lungo periodo di manovre...
— Lei? E dove?
— In Germania. Io sono tedesco, sa? Ho il brevetto di ufficiale del Genio... Ma vede, noi quando usciamo dalle università siamo tutti classificati ufficiali secondo il genere dei nostri studi. Io sono ingegnere chimico.
— Ma... e come mai la richiamano dall'estero? È la prima volta che ciò le avviene, o si tratta di chiamate periodiche?
Si stringe nelle spalle. — Per me è la prima volta — dice: e mi offre una sigaretta.
Non ho alcun motivo per insistere di più.
Che la Germania ordini alcune manovre militari non ha il minimo nesso con la regale visione di questa città che s'addormenta sotto un manto stellato d'argento e s'avvolge nel velo della sua nebbia violetta mentre l'Adriatico, con mille braccia scure le si insinua addosso e l'allaccia e l'attira come sposa che il sole gli contese.
E saluto con compassione questo straniero che visse a lungo tra noi e come noi, in quest'atmosfera di calme visioni e di placido fermento di ricordi dove poco o nulla si domanda all'avvenire, e che ritorna al suo cupo paese a far inutile frastuono d'armi in un mondo che dorme del sonno pesante dei pingui.
Ora non c'è più nessuno spiraglio di luce rosata nel cielo. La nebbia s'alza e s'addensa dovunque, diluendo in grigio la massa dei palazzi, delle chiese e delle case, mentre le campane dei cento campanili intonano nell'aria immota la loro nenia mesta per la grande Regina che sussulta e s'assopisce.
V.
Uno dei direttori dell'Hôtel, naturalmente poliglotta, naturalmente intelligente, riassuntore unico della vita umana che in forza della sua professione conosce in tutti i più disparati aspetti, ha scoperto che tra i tanti libri d'ogni lingua esposti in vendita nell'antisala dell'Hôtel, qualcuno ve n'è ch'io vidi nascere sui miei tavoli di bordo tra sbalzi di latitudine, di longitudine e d'anima e tra razze di ogni colore. Non osava dirmelo: e voleva che io indovinassi dai suoi inchini intenzionati, dal suo sguardo carico di significato, che egli li aveva letti e che quindi io ero già letterariamente in suo possesso e alla sua mercè. Ciò rientra, del resto, nelle facoltà intellettuali dei moderni direttori d'albergo, che hanno in generale un'istruzione da ministro. Finchè, nel presentarmi l'ultima nota settimanale di spese, non si è deciso a rivelarmi il suo segreto. — Tra autore e lettore è già avvenuta una trasfusione che — ahi! — somiglia un po' allo strano senso che la vista d'un'antica amante suscita. Una comunione è avvenuta ed è incancellabile. Avanti a voi è un essere che ha seguito le strade del vostro spirito e che da quel disco fonografico, inciso da voi, che è il libro, ha sentito ripetere in sè le vibrazioni vostre, assorbendo il vostro più segreto pensiero.
Il direttore approfitta di questa circostanza e mi assicura che se io volessi soltanto osservare intorno a me nell'ambiente in cui siamo, potrei trovare molti soggetti di studio.
— Può essere... — gli rispondo vagamente — e del resto stia certo che già me ne sono accorto abbastanza...
Ma l'uomo sorride coll'accondiscendente sorriso di colui che ne sa di più.
— Sì, signore: ma per quanto lei osservi e in parte anche indovini — mi dice — non arriverà mai al colpo d'occhio sicuro che acquista chi, come me, vive da lunghi anni in fornaci di questo genere. Vede: per esempio, signore, da che lei è qui ha già commesso un paio di errori.
— Sentiamo...
— Giovedì scorso, lei andò a passeggiare di sera dopo pranzo, solo, lungo la spiaggia avanti ai casotti, fino a notte. — Sa! Noi seguiamo tutto...
— Mi pare di sì. Ebbene?
— Come, «le pare»?... Non ha osservato niente? Non ricorda niente? Lo vede che ha bisogno del mio aiuto! Non ha notato numerose passeggiatrici solitarie, pronte alla parola, inventrici di mille pretesti per attaccare discorso... mare... luna... malinconia... nostalgia... il «bull terrier» o l'«aberdeen» che si sperde sempre... la scarpina bagnata dall'onda... il piccolo grido di spavento e di richiamo...? Oh! ah!... oh!...
— Ma...
— Ebbene, senta: Il venerdì mattina, come lei sa, si pagano i conti della settimana d'hôtel... Mi spiego?... E si regoli nelle serate di vigilia....
— Grazie... Poi?
— Secondo errore. Come classificherebbe quella molto bella signora, forse olandese, che lei deve aver certo conosciuta nella sala di scrittura qualche giorno fa? Se dovesse descriverla che tipo ne farebbe?
— Appunto: m'aiuti lei... M'interessa...
— Ah! Allora mi fermo.
— No, no... vada avanti sicuro.
— Ebbene: gliela classifico io. Propensione per le uniformi italiane: specialmente di Marina. È un tipo recente che in questi ultimi tempi, chi sa perchè, si riproduce continuamente. Una ne va e l'altra viene. Il tipo ha due sottospecie: il brioso, il gioviale che dopo poche parole dà dello chéri e che ridendo butta inaspettatamente le braccia al collo in un angolo di salotto; e il solitario, l'altero, l'assente, che aspetta a stringersi al fianco in una calle stretta, in un vano di ombra della luna, o che avanti ad un Tiziano o ad un Veronese che ella contempla con occhi umidi a lungo, stringe forte la mano di colui che l'accompagna... Va bene? Tanto l'una che l'altra sottospecie scrive molto, riceve molta corrispondenza sigillata e preferisce impostar le proprie lettere da sè. Si direbbero — non rida! — spie, se questo genere non si fosse da un pezzo rifugiato nella letteratura francese di una certa specie lagrimatoria e revancharde. Vorrei sapere chi crede alle spie, qui? Spiare che? Chi è che da noi ha mai pensato a nascondere qualche cosa?
Pure un non so che di simile deve sussistere, per quanto la nostra mentalità non riesca a persuadersene. — E la sconosciuta persona di cui parlavamo deve appartenere a questa classe indeterminata... Vuole un consiglio? Se ne guardi!
Non condivido totalmente la sua opinione, ma annuisco. E siccome squilla il campanello elettrico che annunzia nuovi «arrivi», il nostro colloquio è bruscamente interrotto da un inchino affrettato che il direttore mi dirige per accorrere al suo posto, nel peristilio che s'apre sul grande viale del Lido.
«Se ne guardi...» Le parole mi si ripetono nella mente con una subitanea insistenza, mentre mi siedo appartato in una delle grandi poltrone di marocchino del salone, di fronte alle arcate dell'entrata, dove si sprofondarono corpi di tutte le razze. E se avesse ragione? La spia: sulle scene, primissima avanguardia di