Mar sanguigno (Offerta al nostro buon vecchio Dio). Guido Milanesi. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Guido Milanesi
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066068745
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e una bocca bambina, rorida, perfetta, si schiude sul terso candore dei denti.

      Un Americano che mi siede accanto, lascia addirittura cadere rumorosamente la penna sul cuoio della scrivania come un punto ammirativo messo alla sua contemplazione. Un altro individuo ricciuto e biondastro che ha parlato poco fa uno strano italiano col cameriere e siede di fronte all'Americano, assume quello sguardo profondo dell'uomo che corrisponde all'apertura a ruota della coda nel tacchino.

      Son due inesperti: sistemi sbagliati.

      Infatti la bellissima creatura estrae freddamente una sigaretta dal suo astuccio d'oro e non ha bisogno nè di fiammiferi nè di nulla: con lo sguardo non ha domandato loro nulla: non esistono per lei.

      Ma ha finita la carta del suo scaffaletto: e allungando la mano al disopra del cristallo ne cerca nel mio, come se il tavolo fosse assolutamente vuoto. Bene: questo gesto è di troppo, come è di troppo dimenticar di prendere anche le buste. — Gliene porgo qualcuna in silenzio e la testa s'inchina appena di là dal cristallo.

      — Messieurs, s'il vous plaît...

      E quest'altra che cosa vuole? È una donna semiscollata che indossa un vestito quasi da circo equestre e ci presenta, con un sorriso elencato nella lista dei sorrisi, una grande gualchiera già carica di biglietti e di monete d'argento e — nientemeno! — d'oro.

      Per quale ragione, non si sa bene e non si domanda nemmeno. Forse di là, in un salotto attiguo, vi saranno dei giuochi di prestidigitazione, o si mostreranno cani ammaestrati. Ma qui non si bada a queste cose; si mette giù del denaro perchè quando si sta qui, se ne mette giù in qualsiasi gualchiera venga presentata. L'Americano infatti ne dà rumorosamente, levandosi in piedi perchè il suo gesto illustri tutta l'immensa ricchezza dell'America e sia soprattutto notato dalla testina bionda, che non gli accorda però il minimo segno di considerazione.

      L'individuo ricciuto ne dà anche lui con gesto largo, rivolgendo un viscido sorriso «anche» alla femmina della gualchiera. Ed entrambi, disillusi, si levano e se ne vanno.

      Riprendo a scrivere, dopo la breve interruzione della quota. La testina bionda fa altrettanto. E siccome siamo rimasti soli al nostro tavolo, lo spirito intona in sordina, come sempre in simili casi, la prima frase del duetto lohengriniano:

       Cessaro i canti alfin — che siam soli

       la prima volta è questa...

      Ma ammutolisce subito perchè Elsa non risponde affatto. Ed ecco che una donnetta di mezza età, di mezza ricercatezza e dal volto rimasto a mezza espressione dopo la spugnatura d'una vita acida, s'avvicina e le parla in una lingua che non comprendo. La maniera secca e breve con cui le vien risposto precisa la sua posizione di subordinata, ed è evidente che la sua signora non sa qualche cosa che ella le domanda. E allora la donnetta si rivolge a me parlandomi nella sua lingua, cosa che rappresenta l'estrema impertinenza del forestiero in Italia: la stupida presunzione che a noi soli incomba l'obbligo di conoscer le lingue altrui, mentre egli non può curarsi di imparar la nostra.

      Aspetta, amico ancora indeterminato... Ecco fatto: ho alzato sgarbatamente una spalla rimanendo a bocca chiusa e ricominciando a scrivere...

      — Do you speak english? — insiste la donnetta.

      Bene: se scendiamo in un terreno neutro, giù la penna...

      ················

      Ma l'inglese di costei zoppica troppo. Interviene finalmente il francese della testina bionda... spiega, domanda, disgela...

      — ... Mais je suis fachée, Monsieur, d'avoir interrompu vôtre lettre...

      — Pas du tout: j'ai fini... Je vous assure, Madame.

      ················

      Lettera d'albergo, mio caro... Stile Excelsior e 1914. Cordiali saluti.

      tuo .........

       Indice

      Devo dunque al caso la conoscenza di questa bella e altera persona che sembra concedersi a monosillabi e par mantenga una sua vista interna su un'immagine che trascina con sè attraverso il mondo. È Olandese, ha ventitrè anni, quattro di matrimonio, due di divorzio, vesti magnifiche e gioielli imperiali. Parla a scatti socchiudendo gli occhi e a voce bassa: e usa camminare lentamente tra le folle, guardando fissa avanti a sè come se attorno non esistesse nessuno.

      Tutto a Venezia, è «très-joli» per lei. La divina armonia dei marmi, dei colori, dei riflessi; lo splendore degli scenari, degli sfondi, delle linee architettoniche stemperate nel cielo e nell'acqua, è «très-joli»; il silenzio dei rii solitari dove la gondola s'insinua scivolando furtiva come per recarsi al delitto o all'amore e striscia il suo fianco nero sulle viscide vegetazioni smeraldine delle pietre e dei mattoni, è «très-joli»; le risonanze del remo sotto i ponti, l'allegro cinguettio di uno scialletto che chiacchiera con la compagna da una riva all'altra, tutto è «très-joli, vraiment très-joli».

      E pare che a poco a poco, per il miracolo di questa città di sogno, regina dell'idea e carezza dello spirito, la sua anima si spogli d'una veste vecchia, come un fiore che liberi i suoi petali intatti da un primo involucro vizzo. Il «très-joli» si cambia in «J'aime ça», «J'aime tant ça». Poi «Mon ami, c'est un rêve delicieux, ça...».

       Indice

      Da S. Giorgio Maggiore, da S. Giorgio dei Greci, da S. Stefano, da S. Pietro, da cento campanili che il tramonto colora d'indaco nelle basi e insanguina nelle guglie, le campane dicono agli uomini che un altro giorno della loro vita è trascorso. Tra San Giorgio Maggiore e S. Marco, come tra due colonne principali d'una ribalta infiammata, sopra la linea dei tetti dei comignoli delle cupole, intagliata netta nel cielo, par si celebri la fine trionfale del dì con un'immensa sinfonia di colore, diretta da un prodigioso maestro nascosto tra nuvole d'oro.

      E guardando in là, da questa spianata prossima all'Hôtel, l'occhio si ritempra dalla prossima vista della turpe architettura mezzo orientale, mezzo tedesca dell'enorme vespaio umano che mi ospita.

      Enorme vespaio. Vi venni deliberatamente perchè ritornando stanco da un lungo periodo di solitudine sulle desolate coste della Libia, volli riavvicinarmi alla grande vampa del mondo, per necessaria reazione. È inutile mostrare agli uomini un volto cupo nella stanchezza: è il riso che li sconcerta e li sormonta. Un sintomo di debolezza e tutta la muta vi assale...

      Ed ora, già sazio e rifugiato di nuovo in beata solitudine, innanzi a questo spettacolo magnifico, si scioglie in me come un inno di pace e benedico Iddio per avermi dato a compagno un «io» col quale non mi annoio quasi mai.

      — È solo?

      Vorrei rispondere a questo signore che mi si para inaspettatamente di fronte, le parole del filosofo greco: Levamiti davanti! È un certo personaggio molto gioviale, molto servizievole, che ho incontrato varie volte coi miei compagni e che dall'accento netto, un po' forte, incisivo, non si riesce a comprendere di che regione d'Italia sia. So di lui due cose: che è a capo di una vasta azienda dal nome esotico e che la sua cordialità ha come un fondo opaco che non mi spiego e non mi piace.

      — Pare...

      — Aspetta forse qualcuno?

      — Non precisamente: aspetto che l'oro delle cupole della Madonna della Salute, svanisca in violetto. Come vede, è un'aspettativa piuttosto stravagante...

      — Oh! — commenta in tono incolore il personaggio.

      — È uno spettacolo che a Venezia — insisto — vale qualsiasi compagnia...

      —