Io credo per fermo, e la sfilata di Roma ne è la riprova, che pure costituito in partito, il fascismo non perderà nessuna delle sue caratteristiche. Perderà, invece, ed è bene che così sia, molte scorie; lascerà e dovrà lasciare lungo la strada i violenti della violenza non come mezzo, ma come fine, gli elementi ambigui che amavano di non scegliere fra l’uno e l’altro partito e soprattutto gli elementi che qua e là si sono accodati al fascismo credendo di trovare in esso la difesa dei loro privati interessi.
Contro questi profittatori politici ed economici del fascismo, note chiare di deplorazione e di rivolta sono squillate durante i lavori del congresso. Quanto agli elementi sovversivi, invano essi sperano, con movimenti disordinati o con agguati criminali, di spezzare la granitica muraglia del fascismo in Italia.
Se il fascismo italiano sarà nell’avvenire forte e saggio, stanno aperte dinanzi a lui le strade di tutte le possibilità e di tutte le grandezze. Viva il Partito Nazionale Fascista!
MUSSOLINI
Da Il Popolo d’Italia, N. 271, 12 novembre 1921, VIII.
DISCIPLINA
Le giornate romane del fascismo italiano offrono a noi, e quindi a tutti i fascisti, un materiale vastissimo di meditazione e di esperienza.
Cominciamo dalla disciplina. Molti giornali accusano il fascismo di mancare di una disciplina e tentano di documentare l’accusa con quanto è accaduto negli scorsi giorni a Roma. Ora io ci tengo a dichiarare che, posto a confronto con gli altri partiti o eserciti, il fascismo italiano è l’esercito o il Partito più disciplinato del mondo. Con questo non intendo dire che la disciplina morale e formale del fascismo non trova assolutamente riscontro nella storia antica o recente di nessun altro partito. I casi di Roma, gli incidenti durante il corteo, sono deplorevolissimi, e chi scrive non aspetta oggi per dirlo; ma quando si consideri l’ambiente, il momento e la massa, si vedrà che quella dei giornali antifascisti è una montatura in piena malafede. Intanto le provocazioni sono partite dall’altra parte. Si può sapere per quale recondito motivo all’arrivo di un treno di fascisti tutte le locomotive del deposito di Portonaccio si mettono a fischiare a centinaia? Quando il Comitato di difesa proletaria — ignobile minestrone, possibile soltanto a Roma, dove Lenin va a braccetto con Giuseppe Mazzini — annunciava i «vespri» antifascisti, la cronaca non registrava che il famoso incidente del fazzolettino rosso. Nient’altro! La situazione si aggravò, naturalmente, con la pubblicazione di quel comunicato provocatorio, ospitato da tutti i giornali antifascisti, coll’immondo Paese del cardiopalmico Ciccotti in prima linea. Nessuno può seriamente ritenere che il suddetto sedicente Comitato non avrebbe trovato altri pretesti pur di inscenare lo sciopero che covava da lunghissimo tempo. Obiettivo evidente: sabotare il congresso fascista e soprattutto impedire la parata fascista per le strade di Roma. C’erano, o signori, a Roma, fra mercoledì e giovedì, dai trenta ai quarantamila fascisti, tutti giovani dai quindici ai trent’anni, e tutti figli autentici dell’autentico popolo italiano. Bastava guardarli in faccia per capire che non da «magnanimi lombi» discende il loro sangue, ma da gente che ha lavorato e lavora. Quale forza umana o divina avrebbe potuto controllare o contenere le azioni singole di quarantamila individui, costretti a circolare in un ambiente freddo o nemico? L’Augusteo non poteva ospitare che diecimila fascisti; gli altri, forzatamente, erano accantonati nei punti più dispersi e lontani della città, fatti oggetto al ghigno e alle imboscate dei bolscevichi. Che cosa potevano fare, se non difendersi e offendere? Ci si dice che i fascisti concentrati a Roma non hanno eseguito l’ordine di partenza emanato dai capi. Non è vero. Sta di fatto che la sera stessa di giovedì, appena finito il corteo, treni «speciali» di fascisti partirono nelle diverse direzioni. Ma come poteva avvenire rapidamente l’esodo di una così vasta massa di individui, quando mancavano i treni? D’altra parte la partenza immediata dei fascisti era subordinata — l’on. Bevione lo sa!, — alla ripresa non meno immediata del servizio da parte dei ferrovieri. E dal momento che i ferrovieri — soltanto per paura, a loro confessione stessa! — non riprendevano servizio, come e qualmente potevano i fascisti, calati a Roma dalle più lontane parti d’Italia, lasciare la città?
In verità, eccettuati isolati episodi, il fascismo è stato disciplinato. Sono partiti coloro che dovevano partire; sono rimasti coloro che hanno ricevuto l’ordine di rimanere. C’è un punto, a proposito di questo scottante argomento della disciplina, sul quale i nostri censori sono vivamente pregati di riflettere ed è questo: i capi del fascismo hanno dimostrato di possedere quello che manca ai miserabili demagoghi di tutti gli altri partiti: il coraggio di dire la verità anche e soprattutto ai propri gregari. Il richiamo alla disciplina che io ho fatto alle folle fasciste dell’Augusteo, era sempre in termini aspri e durissimi. Se tutti i fascisti, dal primo all’ultimo, non lo hanno seguito alla lettera, dipende dal fatto da me ammesso nel principio di questa nota: e che cioè la disciplina non è ancora perfettissima. Ma lo diverrà. I nostri avversari sono pregati di prendere atto che capi e gregari faranno tutto il possibile; tenderanno tutte le loro energie per sempre più e meglio disciplinare le masse del Partito Nazionale Fascista. Moltissimo si è fatto in questa direzione, ma non si fallirà alla mèta. Dopo di che vedremo a chi spetta l’onere e l’onore di governare l’Italia.
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