Madonna Fiordalisa, ve l'ho già detto, si dimostrava umana col nuovo discepolo dì suo padre. Più volte nel corso della settimana, o con un pretesto o con l'altro, Spinello Spinelli era invitato a desinare dal maestro; onore che toccava di rado agli altri compagni suoi di bottega. Qualche volta anche lei discendeva al pian terreno; e certamente più spesso che non le accadesse da prima; ora per avvertire il babbo che si dava in tavola, ora per chiedergli il suo parere su questo o su quel particolare d'economia domestica, ed anche, perchè bisogna dir tutto, anche senza una ragione sufficiente per scendere. Ma già deve trovarla sempre, e per ogni cosa, la ragione sufficiente? I filosofi, che hanno voluto metterla come fondamento dei loro sistemi, si sono trovati anch'essi il più delle volte impacciati.
E Spinello ardeva; e l'interno ardore gli traluceva dagli occhi. Voi lo sapete, lettori, perchè di lì ci sarete passati un giorno anche voi; l'amore e la tosse si nascondono male. Anche madonna Fiordalisa nascondeva male il senso che faceva su lei l'amore di Spinello Spinelli; anzi, non lo nascondeva affatto. Perchè avrebbe dovuto nasconderlo? Non era nato, quell'affetto, e non cresceva forse liberamente sotto lo sguardo benevolo di suo padre? Era da principio un po' timida; poi, nel ravvisare la stato del proprio cuore, si era fatta contegnosa. Ma queste deboli difese, pari alle fortificazioni improvvisate lì per lì da un esercito in aperta campagna, durano appena quel tanto che basti ad una semplice ricognizione. E madonna Fiordalisa non aveva durato fatica a riconoscere che quel gentile e modesto innamorato non era altrimenti un ingannatore. Si sentì raffidata e gli diede senza contrasto il suo cuore. Dolce abbandono, che non è turbato da nessun sospetto, da nessuna paura!
Mentre faceva quei progressi nel cuore di lei, e forse per la stessa ragione che li faceva, il nostro Spinello avanzava rapidamente nella disciplina che aveva con tanto ardore abbracciata. Imparava facilmente quel che oggi si chiama il meccanismo dell'arte. Sapeva come si dovessero unire i colori, a fresco e a tempera, o come si avessero a dipingere le carni e i panni, per modo che ne venisse rilievo e forza alle figure, mostrando l'opera chiara ed aperta; conosceva quali colori si dovessero usare nel dipingere a fresco, cioè tutti di terra e non di miniere; con che risolutezza di mano si avesse a condurre il lavoro, prima che l'intonaco del muro potesse disseccarsi, e qual forza dovesse dare al colore, perchè le tinte, mentre che il muro è molle, mostrano una cosa in un modo, che poi, secco il muro, non è più quella di prima. Ed altre cose aveva prontamente imparate, con potenza di desiderio, anzichè per pratica; del dipingere a tempera, cioè col rosso dell'uovo e col latte del fico mescolati nei colori; del dipingere a chiaroscuro, contraffacendo le cose di bronzo: e finalmente del fare gli sgraffiti sulle mura, per modo che reggessero all'acqua piovana.
E tutto ciò senza rifarsi pure una volta ai principii. Tirato dalla sua inclinazione a schizzare dal vivo, od altrimenti dal naturale, Spinello Spinelli era già andato molto innanzi nel disegno, esprimendo col lapis rosso di Lamagna, o col nero di Francia, figure, atteggiamenti, partiti di pieghe, od altro che gli toccasse l'animo. Così lavorando, aveva acquistato una maravigliosa destrezza a fare con la penna i dintorni delle cose vedute, dando le velature e le ombre con una tinta dolce, che otteneva dall'inchiostro stemperato nell'acqua. E da ultimo, come abbiamo veduto dai disegni suoi, che erano andati sotto gli occhi di mastro Jacopo, faceva ogni cosa a tratti di penna, lasciando che i lumi delle figure fossero resi dal bianco della carta.
Del resto, in quei cominciamenti della pittura mancavano i grandi esemplari da proporre ai discepoli, e ognuno ritraeva dal vero, portando nell'opera quei medesimi difetti e qualità, che erano nell'occhio di ciascheduno, e nel suo modo particolare di veder la natura. Che se a voi, lettori discreti, paresse strano il caso di tanti pittori i quali vedevano la figura umana più smilza del naturale, di guisa che nei dipinti di quel secolo non si scorge ombra di quella pienezza di forme che è tanto comune in natura, io vi pregherò di ricordare che quei bravi rinnovatori dell'arte escivano allora dagli stecchi della pittura bisantina, e, per vedere tutto il vero nel vero, dovette mancar loro il coraggio. Natura non facit saltum, si è detto; anche l'arte ha dovuto andare per gradi.
Per contro, se i pittori della scuola di Giotto davano ancora troppo nello smilzo, avevano già la cura lodevole del finito; laonde se i corpi delle loro figure, asciutti come sono, accusano la povertà degli studi anatomici, la espressione dei volti e diligenza nel disegnare le estremità, ci appalesano quel sentimento profondo della verità, che doveva rifare di sana pianta le arti figurative e non far rimpiangere al mondo la perdita dei capolavori di Apelle e di Zeusi.
Ho detto, e ritorno a Spinello Spinelli. Il quale, vedendo operare mastro Jacopo di Casentino, si accese del desiderio di dipingere a fresco, che era in quei tempi il sommo dell'arte. Ma tacque il suo pensiero, che gli pareva troppo audace, anzi temerario senz'altro, e si restrinse ad osservare il modo con cui mastro Jacopo preparava i cartoni, ringrandendo a vaste proporzioni i suoi disegni, e qualche volta, ad ottenere i giusti effetti di luce e d'ombra, facendo modelli di creta, i quali disposti in una data azione tra loro, lasciavano vedere gli sbattimenti, i rilievi, e tutte l'altre particolarità di cui si vantaggia la prospettiva d'un quadro.
Tre mesi erano scorsi dacchè Spinello viveva al fianco di mastro Jacopo, e il giovinotto, a mala pena ventenne, aiutava già il principale negli affreschi del Duomo Vecchio, di quel Duomo in cui per la prima volta aveva veduto madonna Fiordalisa. S'intende che Spinello tratteggiava sull'intonaco i disegni del maestro, e sotto gli occhi di lui ci metteva il colore.
Immaginate voi come si struggessero di rabbia i compagni di Spinello. Escludiamo, per altro, il povero Parri della Quercia, modesto e buon giovane, il quale non si sentiva nato per la grand'arte dell'affresco e si contentava di lavorare a tempera certi trittici, e pale d'altare, che erano commesse a mastro Jacopo da qualche pieve, o da qualche oratorio del contado. L'affresco voleva ardimento d'ingegno, franchezza di mano, sicurezza di giudizio. e tante altre belle qualità, che non erano nell'indole di Parri. Ma gli altri discepoli di mastro Jacopo, assai meno valenti di Parri della Quercia, erano anche assai meno modesti di lui, e si rodevano di vedere quel nuovo venuto, che si spingeva in brev'ora tanto innanzi nel magistero dell'arte, e, quel ch'era peggio, nelle grazie del maestro.
Un giorno, essendo Spinello a lavorare sulle impalcature del Duomo, in compagnia di mastro Jacopo, questi gli disse di punto in bianco:
–Ragazzo mio, è tempo che tu voli da te.
–Volare da me!—esclamò il giovine levando gli occhi dal muro, per guardare il maestro.—Che intendete di dire?
–Mi sembra di parlar chiaro;—ripigliò mastro Jacopo.—Il tuo ingegno ha messe le penne maestre; puoi volare senza aiuto di chicchessia.
Spinello si fece rosso, chinò la fronte e rispose:
–Maestro, al fianco vostro ho un cuor da leone. Ma da solo! Ci pensate voi! Non mi avverrà egli dì fare come quell'Icaro di Creta, che perse le penne e andò a sommergersi in mare?
–Vedete la modestia, che è andata a stare ad uscio e bottega coi giovani!—gridò mastro Jacopo, ridendo.—Ma sia pur giusto il paragone che tu fai delle tue ali con quelle d'Icaro. Nessuno ti dice che tu abbia a discostarti dal tuo maestro, dal tuo secondo padre. Lavorerai sotto i miei occhi, se Dio vuole, e baderai sempre ai miei consigli. Hai risolutezza di mano e buon giudizio per fare da te. Vuoi? C'è da dipingere, nella cappella qui presso, un Miracolo di san Donato. L'opera è di grande rilievo, perchè il santo è qui in casa sua; ma ho fede che te la caverai con onore.
–Maestro, e se mi fallisse la prova? Vorranno poi i massari della chiesa commettere a me un'opera di tanta importanza?
–Non lo sapranno che poi;—rispose mastro Jacopo, dando un'alzata di spalle.—E noi cancelleremo il dipinto, se non riescirà secondo le speranze che io ho concepite di te.—
Spinello tuttavia esitava.
–Bell'ardire!—esclamò mastro Jacopo,—Così ami tu Fiordalisa?—
All'udire quelle parole, Spinello si scosse e il cuore gli diede un balzo nel petto. Figuratevi! Era la prima volta che mastro Jacopo gli parlava di sua figlia. E per la prima volta ne diceva abbastanza, non vi pare?
–Ah maestro! maestro, che dite voi mai?—gridò