Mastro Jacopo lavorava allora nella chiesa di San Domenico, e più propriamente in una parte della chiesa, cioè a dire nella cappella di San Cristofano, ritraendovi al naturale il beato Masuolo, profeta minimo, il quale, ne' suoi tempi, predisse molte disavventure agli Aretini. L'opera gli era commessa da un mercante de' Fei, che aveva molto a lodarsi del Santo, per esserne stato liberato dal carcere. E mastro Jacopo aveva per l'appunto rappresentato il Santo nell'atto di fare quel miracolo, che oggi si farebbe con uno sbruffo ai guardiani, o con un buco nel muro.
Spinello, come potete argomentare, andò in San Domenico, incominciò a piantarsi davanti alla cappella di San Cristofano e diventò un grande ammiratore dei miracoli del beato Masuolo, o almeno di quel tanto che se ne poteva scorgere attraverso le commessure del tavolato. Mastro Jacopo non tardò ad avvedersi di quella curiosità e chiese al giovanotto se per caso volesse vedere l'affresco prima del mercante, che gli aveva data la commissione.
–Maisì, messere;—rispose Spinello, facendosi un coraggio pari alla gravità del caso.—Il mercante vi pagherà l'opera vostra una volta sola; io l'ammirerò quante volte vi piacerà di lasciarmela vedere prima d'ogni altro.
–Ecco una ragione che mi capacita;—disse mastro Jacopo, facendo bocca da ridere.—Ma ti piacerà poi da senno, il mio beato Masuolo? Vieni sul ponte e sia come ti pare.—
Spinello non se lo fece dire due volte; salì sul ponte, osservò la composizione e rimase a bocca aperta, com'era naturale che facesse, e per la bontà intrinseca del dipinto e per il desiderio che aveva di entrare nella grazia dell'artefice.
–Per caso,—gli disse mastro Jacopo a un tratto;—anche tu saresti pittore.
–Mainò, messere;—rispose Spinello, chinando umilmente la fronte;—ma sarei felice di diventarlo, sotto la vostra disciplina.
–Perchè no? Vediamo anzi tutto che cosa sai fare. Un O, come Giotto? Una linea come Apelle?
–Ohimè, maestro, assai meno. Disegno alla meglio, o alla peggio, come vi parrà meglio, senza ombra di studio.
–Bene! To' i pennelli e la sinopia;—gli disse mastro Jacopo.—Vai là, al muro, dove non è ancora stata messa la calce fresca, e segna un contorno.—
Spinello non domandava altro. Ma, per sicuro che fosse di non far troppo male, non poteva difendersi da un certo rimescolamento, dovendo operare così sotto gli occhi del maestro. Se gli fosse riuscito di far bene alla prima, che fortuna! Basta, il giovinotto pensò a madonna Fiordalisa, afferrò il pennello, lo intinse nel vaso e si mise all'opera, tratteggiando sulla parete una mezza figura di San Giovanni. L'aveva attaccata alla brava e la tirò via alla lesta, per non aversi a pentire, e perchè il pennello non avesse a tremargli fra le dita.
Mastro Jacopo stette zitto, sulle prime, a vederlo lavorare: poi, come gli balzò davanti agli occhi la figura abbozzata, borbottò un cenno d'approvazione.
Spinello si era dimostrato valente ed accorto. Valente, perchè il suo disegno era buonino; accorto, perchè quella mezza figura era una copia fatta a memoria, d'un San Giovanni che mastro Jacopo aveva dipinto qualche mese innanzi in San Bartolomeo, nella cappella di Santa Maria della Neve.
–Ah, ah!—disse mastro Jacopo, a cui si spianavano in fronte le rughe, accumulate pur dianzi nella arcigna severità del suo atteggiamento di giudice.—Tu studi l'arte nuova, giovinotto.
–Maisì, maestro. Ed è la buona, mi pare.
–Eh, sì e no. Bisognerebbe, ad esempio, saper scegliere un po' meglio tra nuovi e nuovi. Giotto di Bondone è un gran maestro, e Taddeo Gaddi gli si stringe ai panni. Ti consiglio d'imitare questi due. L'altro, da cui t'è piaciuto di copiare, è un artista da dozzina, il quale non si raccomanda che per un poco di buona volontà.
–Voi gli siete nemico, maestro;—rispose argutamente il giovine.—Lo si vede dalle vostre parole. Ma io lo difenderò anche contro di voi. Per esempio, quella sua storia di San Martino, nella cappella del Vescovado….
–Ahimè, ragazzo, ahimè!—interruppe mastro Jacopo con un sorriso che faceva contro alla mestizia della interiezione.—Bisogna essere stati a Firenze e aver visto il Convito di Erode, che Giotto ha dipinto nella cappella dei Peruzzi di Santa Croce; bisogna essere stati nella cappella del Palagio del Podestà, e aver visto quel Dante Alighieri, improntato di tanta dolcezza, che pare una cosa di cielo! Ma già, tu non vuoi intender nulla, ragazzo mio. Come ti chiami?
–Spinello, di Luca Spinelli, messere.
–Ah, conosco tuo padre di nome, ed anche di veduta. È un uomo per bene. E tu dunque, vuoi diventar pittore? Vediamo, che cos'hai fatto finora?
–Poca cosa, maestro. Degli schizzi, dei tocchi in penna….
–Dal vero?
–Maisì, maestro, dal vero, ed anche ricordando le cose vedute.
–Già, come questo San Giovanni;—ripigliò mastro Jacopo, crollando la lesta–Non copiar che dal vero, sai; oppure da Giotto, poichè non vide meglio di lui chi vide il vero. Del resto, portami i tuoi occhi in penna. Li vedrò volentieri.—
Mastro Jacopo, intanto, scendeva dal ponte per ritornarsene a casa. Spinello Spinelli domandò in grazia di poterlo compagnare un tratto. Tanto, era tutta strada per lui, essendo la sua abitazione da quella medesima parte della città.
Come furono in via dell'Orto, poco lunge dal Duomo, il giovane disse a mastro Jacopo:
–Ecco l'uscio di casa mia. Se permettete, maestro, dò un salto fin lassù, prendo i miei disegni, che avete mostrato desiderio di vedere, e vi raggiungo subito.
–Fa come ti piace;—rispose mastro Jacopo.
Spinello Spinelli andò via lesto come un capriolo, anzi come uno scoiattolo; fece una manata delle sue carte, e, scendendo gli scalini a quattro a quattro, ritornò sulla via. Mastro Jacopo quando egli lo raggiunse, non era ancora giunto all'angolo del Duomo.
Il vecchio pittore diede una rapida occhiata a tutti quei fogli. Erano studi dal vero, o reminiscenze, motivi buttati là, con un fare tra l'accorto e l'ingenuo, che indicava una vera e fortunata indole d'artista. Spesso non erano che quattro tocchi; ma in quei quattro tocchi si vedeva la natura colta sul vivo.
Mentre egli così sfogliava i quaderni del giovine seguitando la sua strada verso casa, gli venne veduta tra l'altre cose una figura di donna. Era a mala pena accennata, ma il pittore non durò fatica a riconoscere d'onde Spinello avesse tratto il suo tipo. E così, di sbieco, mentre guardava la figura, gittò un'occhiata al suo giovine compagno.
Spinello non vide lo sguardo del pittore, ma lo sentì, e si fece rosso in volto. Maledetta furia! O non avrebbe potuto egli aspettare una mezz'ora, e portare egli i disegni a casa del maestro? Per la smania di far presto, come se temesse di perdere l'occasione, aveva preso tutto alla rinfusa, e quei quattro segni, in cui egli aveva fissato il ricordo di madonna Fiordalisa, cadevano contro sua voglia sotto gli occhi del babbo.
–In verità,—diss'egli allora, tanto per isviar l'attenzione del pittore,—son povere cose e certamente indegne di voi. Ma, che volete? non so far altro.
–Che! che!—rispose mastro Jacopo.—La modestia è una bella cosa, ragazzo mio; ma tu ora fai torto alla natura, che ha voluto indicarti molto chiaramente la tua vocazione. Ho caro di averti conosciuto. Cimabue si tenne fortunato di essersi imbattuto in un pastorello che disegnava le pecore del suo armento sui lastroni di Vespignano. Io avrò in quella vece posta la mano su d'un artista formato.—
E dentro di sè, mastro Jacopo, come rispondendo ad una osservazione del suo spirito famigliare diceva:
–Dopo tutto che male c'è? Se un artista simile diventasse mio genero, dovrei averne dicatti. Sarebbe il miglior modo per legarlo alla mia scuola e farmene un