Per altro, non credeva di dover tanto soffrire, obbedendo alla voce della propria coscienza. Fu una triste giornata quella in cui gli annunziarono che la dimissione del tenente Sospello era stata accettata. Ah, non voleva stare neanche un giorno alla berlina delle condoglianze. Le sue valigie erano fatte, in attesa dell’evento. Se ne andava subito subito; e lontano, molto lontano dal mare, che non voleva vedere mai più. Alla terra de’ suoi padri, alle Alpi, avrebbe chiesto il rifugio; possedeva ancora una bicocca, lassù. Di vecchi non c’era più nessuno, ad aspettarlo: restava una sorella maggiore, nobile e santa creatura, che tant’anni prima avrebbe desiderato di chiudersi in un monastero, ma non aveva osato farlo, per non lasciar solo del tutto il suo vecchio babbo. Morto quello, non aveva potuto lasciar solo e vuoto il vecchio palazzo, dove cinque generazioni di Sospelli di Vaussana erano passate, e dove era naturale che ella restasse per custodire il posto alla settima, se mai il fratello Maurizio si risolvesse di continuare la stirpe.
Buona e cara Albertina! Egli andava a farle compagnia nella triste casa; e qual compagnia! Lei, fastidita del mondo anche prima di conoscerlo, certamente per qualche intima ragione si era appartata a quel modo, rinunziando alle gioie della vita; se pure la vita ne ha. Anch’egli, vecchio scapolo, che aveva sognato d’impalmare la gloria, offeso un giorno nella sua dignità, rinunziava a tutti i sogni di una legittima ambizione, per andarsi a rinchiudere nella casa dei suoi maggiori, come un povero alcione ferito va a posar l’ala sanguinolenta sul nido abbandonato.
Maurizio aveva già scritto alla sorella, annunziandole la sua dimissione come un proposito irrevocabile: ma egli non intendeva già d’impoltronire nella sua bicocca montanina; non voleva finir cacciatore, nè giuocatore beone, come tanti gentiluomini campagnuoli. Possedeva una ricca libreria; l’avrebbe al bisogno accresciuta, per dedicarsi ad un’opera di polso. Aveva sempre vagheggiato il pensiero di scrivere un libro delle guerre marittime d’Italia, ma condotto con una certa larghezza di disegno, da appagar tutti i gusti, da rispondere a tutti i bisogni intellettuali, ordinato e preciso come una storia, vivo e animato come un romanzo, il libro del marinaio italiano, il libro che mancava ancora, per dare una idea chiara e compiuta delle antiche navigazioni e degli antichi commerci, argomenti di emulazione e cause di guerra tra i popoli; per descrivere i costumi marinareschi, le imprese audaci, le trasformazioni successive della strategìa e della tattica navale nel gran bacino mediterraneo. Certo, per condurre a termine un’opera come quella, non gli sarebbero bastati i libri che possedeva. Ma il primo anno lo avrebbe speso a tracciare il quadro; poi avrebbe veduto, si sarebbe destreggiato via via secondo il bisogno, cercando altri libri, viaggiando per città e biblioteche; ottima occasione per isgranchirsi, per non fare la ruggine. Ed era ancora una bella vita per un uomo di trentadue anni; e aveva tempo davanti a sè per colorire degnamente il quadro ideato.
Il suo attendente, congedandosi da lui alla stazione di Spezia, gli aveva dato il buon viaggio con le lagrime agli occhi.
—Grazie, Susini, e addio; siamo uomini;—gli rispose Maurizio.—Scrivimi, se ti occorrerà qualche cosa; ed anche quando non ti occorrerà nulla; riceverò sempre le tue lettere con molto piacere.
—E lei, signor tenente, non avrà mai bisogno di nulla, da un povero marinaio?
—Sì, spesso sentirò che mi mancherai, bravo Susini. Intanto, ti prego, appena sarà di ritorno, mi saluterai il Duilio.—
Aveva il cuor gonfio, il signor Maurizio, e incominciava a tremargli la voce.
—Ah, signor tenente!—mormorò il marinaio, singhiozzando.—È stata una grande ingiustizia.
—No, sai? t’inganni. Non si fanno ingiustizie, in servizio. Ci possono essere degli equivoci, dei malintesi; ma ingiustizie no, mai;—replicò il signor Maurizio, che aveva ancora la disciplina negli occhi e non voleva finir la carriera dando lo scandalo di dir male o di lasciar dir male dei superiori.—Se ti sembro commosso, pensa che ne ho qualche ragione. Non si abbandona il mare senza uno schianto dell’anima. Un giorno la sentirai anche tu, Susini mio, la nostalgia del mare.
—Io no, signor tenente, con sua licenza non avrò da sentirla. Non si ricorda che sono della Maddalena?
—È vero, sì, e invecchierai vedendolo ogni giorno; e quando sarai morto lo sentirai ancora da tutte le parti brontolare alla spiaggia; che bella cosa!—concluse sospirando il tenente.—Ma senti, fischia la macchina, e non vuol più saperne dei nostri discorsi. Qua la mano, mio vecchio, e addio!—
Il treno si metteva in moto, e il marinaio ebbe appena il tempo di baciare la mano che il suo tenente gli offriva per l’ultima volta.
—Non lo vuole ammettere;—borbottò egli, allontanandosi dal marciapiede d’asfalto, come il treno fu scomparso nel buio della notte;—ma tutti lo dicono a una voce: è stata un’ingiustizia. Per colpa di quei signori laggiù, la marina italiana ha perso ancor uno dei suoi manovrieri. E buono, poi, buono come il pane di Voltri; gentile come una ragazza di quindici anni, che non gli si è sentito mai uscir di bocca una mala parola, neanche nelle ore che scapperebbe la pazienza ai santi.—
La notte, senza lume di luna, era buia, e l’entrare del treno nelle centomila gallerie delle Cinque Terre e l’uscirne non facevano divario alla vista. Maurizio, nondimeno, sentiva il mare vicino, lo sentiva alle acute fragranze e al romper dei marosi contro le rupi. Lo rivide sull’alba, il vecchio amico brontolone; lo rivide di là dal monte di Portofino, farsi a mano a mano più luminoso e più bello, a Recco, a Nervi, a Genova, e giù giù per tutta la quieta Riviera di Ponente, dove si aprono cinquanta seni azzurreggianti tra il verde, e su lembi sottili di candide spiagge cinquanta paesi si distendono al sole. Quanti porti e rade, e golfi e calanche, di cui Maurizio conosceva gli approdi! A Genova era vissuto parecchi anni collegiale, e tante volte c’era tornato ufficiale. Nella rada di Vado, ancoraggio sicuro, era andato una volta a rifugio colla sua cannoniera, cacciato per due giorni da un fortunale di libeccio. Quella costiera della Cornice tutta frastagliata da balze ferrigne, coi suoi fondi di turchino carico listato di smeraldo e sormontato di bianche creste spumose, come l’aveva in pratica! Ed era sempre là, il suo mare, ad ogni uscita di galleria, il suo mare azzurro, scintillante, superbo, il buon mare, il bel mare, a cui aveva tutto sacrificato per tanti anni, perfino l’amore, il grande, il forte, il supremo bisogno dei cuori.
Non aveva egli dunque amato mai? Sì, aveva amato, ed anche incominciando per tempo; ma anche per tempo si era fermato. A quattordici anni aveva preso una cotta famosa per una sua cuginetta, splendidissima e formosissima bionda. Per moglie non sarebbe andata, avendo perfino un anno o due più di lui: ma chi bada a queste differenze, quando cantano gli anni adolescenti nel cuore? Quella stupenda creatura egli l’aveva veduta da bambino, e avevano giuocato insieme a marito e moglie: il «te ne rammenti?» era stato proferito con gusto al nuovo incontro, quando la cuginetta era venuta coi parenti a Genova, per salutar lui collegiale promosso agli esami finali e già presso all’imbarco desiderato. Ah, il bel giuoco di cui si ricordavano ridendo, ed anche arrossendo un pochino! Ma egli arrossiva anche d’un altro pensiero, che tanta bellezza fiorente gli aveva fatto nascere subitamente nell’anima. Perchè non si sarebbe ripigliata da senno quella condizione di marito e moglie che nove anni prima si era stabilita per giuoco? Ed egli già stava mulinando, in quei giorni di baldoria per le strade di Genova; studiava il modo di girare la frase, per dire alla cuginetta: aspettami due o tre anni, quanti i nostri parenti stimeranno che bastino, per.... Ma la frase non gli veniva mai bene, come avrebbe voluto. E frattanto, una domenica all’Acquasola, dov’erano andati a sentir la musica, quella splendidissima e formosissima bionda che tutti ammiravano, gli aveva detto di schianto:
—Sapete che non siete punto belli voi altri, con la vostra feluca?—
Il «voi altri» andava agli ufficiali di marina. Maurizio non era ancora che un allievo, e non portava la feluca; ma l’avrebbe portata ben presto, nelle circostanze solenni. Perciò s’impermalì