Adele incrociò le braccia, ma rimase voltata verso John, fissando la notte al di là del suo petto, sistemata per le poche ore di volo che la separavano dalla Germania.
CAPITOLO CINQUE
Adele si svegliò sentendo bussare delicatamente alla porta della sua stanza di motel. Sbuffò, stiracchiandosi e sentendo la scomodità della notte che le aveva rattrappito il corpo. La comodità del piccolo motel dove erano stati scaricati, vicino all’aeroporto di Zurigo, era perfettamente rispecchiata dai rumori che vi si sentivano. Tutta la notte era stata scossa dal rombo dei motori degli aerei in partenza e in arrivo. E se non erano quelli, ci pensava il termosifone rotto, che sputava nella stanza un flusso d’aria appena tiepido e che aveva fatto rumore per tutta la notte. Adele dava sempre importanza alle sue ore di sonno, ma era anche una che si vantava spesso di svegliarsi prima che la sveglia suonasse.
Con frustrazione, si rese conto di non aver sentito il timer del telefono.
Un altro delicato colpo alla porta. “Arrivo,” disse.
Le ci volle un po’, ma si vestì velocemente, si lavò i denti sul lavandino e prese il resto delle sue cose, infilandole rapidamente nella valigia che si era portata dietro. Spinse il bagaglio sotto al letto e poi uscì dalla porta.
Sorrise quando riconobbe la persona che la aspettava sui gradini del motel.
“Agente Marshall,” disse Adele salutando la donna con un cenno della testa. “Sono contenta di rivederti.”
La giovane agente del BKA – che doveva avere poco più di vent’anni – rispose a sua volta con un cenno del capo. Era piuttosto carina e aveva addosso un’energia che a volte faceva sentire vecchia Adele. Beatrice Marshall tendeva a fare le cose secondo le regole, ma aveva dato prova più di una volta di essere un’agente affidabile. Aveva rinunciato al suo solito modo di fare per coprire Adele al resort sciistico, e aveva addirittura scansato una o due regole a suo vantaggio. Adele era felice che la loro accompagnatrice fosse un volto familiare.
Guardò oltre la Marshall e i suoi occhi si posarono su John, che stava appoggiato al palo arrugginito e scheggiato che faceva da supporto alla balaustra del motel.
“Ti sei svegliato presto,” gli disse accigliandosi.
John le fece l’occhiolino. “Dormivi come una bambina. Russi, sai.”
Adele lo fulminò con lo sguardo. “Non è vero.”
John le rispose con un sorriso. Adele guardò l’agente Marshall esitante, alla ricerca di una conferma al commento di John. La giovane agente però non disse nulla.
“Siete pronti?” chiese loro alla fine. “Vi devo accompagnare alla centrale della Foresta Nera. Il camionista che ha trovato la vittima ci aspetta lì.”
“Pronti a tutto,” disse John.
Adele lo guardò socchiudendo gli occhi. “Non ti ho mai visto tanto mattiniero,” gli disse.
John spostò lo sguardo sull’agente Marshall e ammiccò con le sopracciglia da dietro di lei, in modo che solo Adele lo potesse vedere. “A volte il mattiniero ha solo bisogno del giusto incentivo,” le disse. “E poi questo posto,” disse indicando vagamente il motel, “non è così imprevisto. Sono venuto preparato con due cuscini in più. Il direttore Foucault è famoso per andare a ficcare gli agenti nelle peggio fogne, dopo che lo hanno fatto arrabbiare.”
“Ah sì?” chiese Adele lanciandogli un’occhiataccia. “Avresti potuto dirmelo.”
“Mi è sfuggito di mente.”
Adele sospirò alzando lo sguardo al cielo. “Tu butti una cinepresa dalla montagna, e io finisco a dormire in una scatola di molle. Ti pare giusto?”
John allungò una mano e le diede una carezza sulla guancia. “Ammiro il tuo modo di soffrire in silenzio. Comunque, che ne dici se lasciamo che questa bella e giovane agente ci porti a parlare con il camionista?”
Tese un braccio, che l’agente Marshall accettò con una sommessa risata. Con lei che lo teneva sottobraccio, scesero le scale di metallo dal secondo piano del motel, accompagnati dal rombo del motore di un aereo sopra alle loro teste.
“Bella e giovane agente un cazzo,” mormorò Adele sottovoce. Controllò la fondina, si sistemò la cintura e poi, mogia e ancora con il corpo dolorante dopo la notte appena passata, li seguì verso l’auto che li stava aspettando.
La stazione di polizia della Foresta Nera era più piccola di quanto Adele ricordasse dall’ultima volta che ci era stata. C’erano solo un paio di agenti nell’atrio d’ingresso, e un sergente di segreteria doveva essere chiamato ogni volta dal retro quando c’era da occuparsi di nuovi arrivi.
L’agente Marshall, Adele e John aspettarono con pazienza di essere accompagnati sul retro dell’edificio.
Il camionista li aspettava in una delle sale per gli interrogatori. L’uomo indossava una camicia in velluto a coste e aveva dei baffi grigi perfettamente tagliati che si abbinavano con la barba brizzolata che gli copriva il mento.
Quando Adele lo vide, decise che aveva degli occhi gentili. Erano contornati da leggere rughe d’espressione, e anche se teneva le mani strette e intrecciate, non se le stava torturando nervosamente.
Quando lei e John presero posto di fronte a lui su delle sedie di metallo con la seduta imbottita, pensò che quest’uomo doveva essere un tipo tutto d’un pezzo per essersi fermato ad aiutare qualcuno in mezzo alla statale nel cuore della notte.
“Lei è Herman Carmichael?” chiese con voce gentile.
L’autista annuì, la guardò negli occhi e poi spostò lo sguardo su John.
L’agente Marshall rimase in piedi, permettendo che fossero i due agenti più esperti a condurre l’interrogatorio.
“Posso portarle qualcosa da bere? Da mangiare?” chiese Adele.
“Danke. Un caffè sarebbe perfetto,” disse l’uomo.
John inarcò un sopracciglio guardando Adele. In francese lei tradusse: “Potresti andargli a prendere un caffè?”
John tirò su col naso. “Merde. Perché io?”
“Perché tanto non puoi capire una parola di quello che dice. Cerca di essere utile.”
John brontolò tra sé e sé e poi si alzò dal tavolo, uscendo dalla sala degli interrogatori a grandi passi.
Adele riportò la propria attenzione sul signor Carmichael. “È stato lei a trovare la ragazza?”
L’uomo si passò stancamente una mano sul volto, che si era intanto rabbuiato. “Sì. Purtroppo era presa davvero male. Mi hanno detto che avendola fatta scaldare troppo velocemente, potrei averle causato dei danni. Le ho fatto del male?”
Adele scosse la testa. “Da quello che mi hanno raccontato, era messa male già prima che lei la trovasse. Lasciarla lì a se stessa sarebbe stata una condanna a morte. Aspettare un’ambulanza avrebbe portato alla stessa conclusione. Lei ha fatto quello che poteva, non si preoccupi.”
Il signor Carmichael fece un altro respiro, questa volta un po’ più rilassato. Parte della stanchezza che gli segnava il viso sotto forma di rughe accanto agli occhi e sulla fronte parve dissiparsi un poco dopo le parole di Adele.
Adele si schiarì la gola. “C’è nient’altro che può dirmi? Qualsiasi cosa che le sia venuta in mente da quel momento?”
L’uomo si accarezzò la barba con la mano e scosse la testa. “Mi spiace,” disse. “Ho già detto…”
Prima che potesse finire, due persone entrarono nella stanza.
Adele tenne a bada l’irritazione e si guardò alle spalle. John era tornato. Accanto a lui era entrata anche una donna in tailleur, con una tazza di caffè macchiato all’interno di un bicchierino termico che sosteneva con la mano sinistra. Non indossava la solita camicetta da agente di polizia, ma dal portamento