Poi la voce divenne di nuovo forte e chiara. “Scusi il ritardo. Eravamo fuori con il cane. Qualche aggiornamento? Ecco…” Una pausa e l’uomo si schiarì la gola. “Immagino stia chiamando per nostra figlia.”
Adele si trattenne prima di annuire e disse con tono risoluto: “Sì. Mi scuso se ci sono stati dei ritardi da parte nostra. Sua figlia è viva. Detto questo, volevo…”
Prima che potesse continuare, udì un lieve sussulto dall’altra parte. La seconda voce, più lontana e quasi impossibile da distinguere disse: “Grazie, oddio. Grazie, Signore santo.”
La prima voce, quella del signor Johnson, proseguì: “Sono belle notizie da sentire. L’ultima volta che ci hanno contattati non erano sicuri che ce l’avrebbe fatta.”
Adele arricciò il naso. Non si era resa conto di essere stata designata a unica comunicatrice di notizie alla famiglia Johnson. Immaginò che, essendo americana, aveva senso che i tedeschi le lasciassero quel compito. Cambiò rapidamente tattica, cercando di gestire al meglio quel suo nuovo incarico. “È ancora presto,” si affrettò a dire. “Non è in buone condizioni. Non ho intenzione di mentirvi. Non sono ancora certi se si potrà riprendere del tutto.”
Mentre parlava, sentì che la sua voce vacillava. Una leggera frammentazione del suono, ma che bastò a prenderla alla sprovvista. Continuando a tenere il telefono sollevato, la sua fronte si aggrottò. Uno strano miscuglio di emozioni gli stava crescendo nel petto. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi, ma sebbene il signor Johnson le stesse rispondendo dall’altro capo della linea, lei aveva difficoltà a seguire le sue parole.
Sanguinante… Sanguinante… Sempre sanguinante…
Il lampo di un’immagine – un sogno, il fotogramma di una vecchia foto – Adele lo ricordava a malapena. Le si presentava di notte, di solito. Sua madre, mutilata, distesa in un giardino francese. Morta. Ricordava di essere volata in Germania subito dopo per stare con suo padre. Ricordava le telefonate… molto simili a questa. Telefonate da lontano. Telefonate che criticavano l’esperienza più straziante delle loro vite, facendo domande, chiedendo risposte. E alla fine di tutto?
Niente. Sua madre sempre morta. L’assassino sparito.
Questa volta, la storia non poteva finire con un niente. Questa volta le telefonate da nazioni lontane non potevano essere semplicemente delle interferenze, un rumore bianco stagliato sullo sfondo della calamità. Questa volta doveva essere diverso.
Adele ricacciò giù la bile che le saliva alla gola. Chiuse gli occhi davanti alle improvvise immagini che riempivano la sua vista sotto alle palpebre chiuse. E poi, espirando, fece del proprio meglio per ascoltare.
Il signor Johnson stava ancora parlando: “… proprio niente? Non c’è nulla che possiamo fare per aiutare?”
Adele deglutì ancora. La sua voce le suonava roca nelle orecchie e per un momento si sentì gli occhi della Marshall addosso. Alla fine parlò: “Abbiamo qui alcuni dei migliori dottori del mondo. Stanno facendo il possibile. E… e anche io…” Si interruppe sull’ultima frase. L’urgenza, il bisogno di promettere. Di tenere a bada le paure, il terrore che serpeggiava nella famiglia di Amanda. Adele conosceva quella paura, ma per lei era stata carica di dolore. Per ora ai Johnson era stato risparmiato quel risvolto particolarmente amaro. Ma alla fine, se i medici non avessero trovato una soluzione… l’avrebbero vissuto anche loro.
“Tesoro,” disse la seconda voce, più delicata, più liscia. “Tesoro, andrà tutto bene. Abbi fede. Andrà tutto bene.”
Adele udì una pausa, poi un’altra conversazione sussurrata tra le due voci. Gentile, non contenziosa. Provò un leggero sollievo. Nella sua esperienza c’erano due tipi di reazioni a notizie del genere. Potevano servire a tenere la famiglia ancora più unita, o strapparla del tutto, lasciandone solo dei brandelli. Almeno per ora, i Johnson sembravano seguire la prima strada. Avrebbero avuto bisogno l’uno dell’altra nei giorni a venire.
Adele riprese la parola. “Sono sicura che riusciremo ad aggiornarvi non appena avremo qualcosa di nuovo. In un senso o nell’altro.”
Il signor Johnson rispose. “La nostra Amanda è una ragazza forte. Si riprenderà. Ne sono sicuro. Si fidi di me.”
Adele fece un piccolo e triste sorriso. Ma svanì subito, mentre le stesse emozioni di prima si contendevano la sua attenzione. Sanguinante… Sempre sanguinante… “Lo spero proprio. È forte. Avete detto bene.” Adele pensò ai commenti del medico. Aveva corso per ore nella foresta, al freddo, i piedi sanguinanti, feriti. Un gomito slogato e rimesso a posto. Lividi in tutto il corpo. La ragazza aveva sofferto qualcosa di orribile. Nello stesso modo in cui anche Elise aveva sofferto. Almeno Amanda ne era venuta fuori viva.
“Se c’è qualcuno su cui scommetterei, è proprio lei. Ma mi ascolti un attimo.” Adele di nuovo mantenne un tono professionale nonostante l’improvvisa imboscata da parte dei suoi pensieri. Un’abilità più volte esercitata, ma non facile da mettere in atto. “Ho bisogno di sapere se era normale per sua figlia viaggiare con amici.”
Questa volta fu la voce femminile a rispondere al telefono. “Ispettore, signore,” disse la voce, suggerendole che Adele non era stata messa in vivavoce.
“Sì, signora Johnson?” le rispose.
“Oh, sì, scusi, signorina.”
Adele mantenne un tono gentile, completamente privo di ripicca. “Sono l’agente Sharp.”
“Agente Sharp. Nostra figlia faceva sempre di questi viaggi con i suoi amici. A volte si dividevano e proseguivano le loro esplorazioni per un po’ da soli, per poi ritrovarsi.”
“Ed è stato a questo punto che è scomparsa? Quando si sono divisi?”
“Sì,” disse la voce della donna, incrinandosi un secondo, per poi presentarsi più squillante e continuare. “Per quello che possiamo immaginare.”
“C’è stato niente di strano al tempo? Nessuna telefonata? Nessuno che le desse fastidio? Magari anche uno dei suoi amici?”
“Niente. Niente del genere. Amanda era felicissima per quel viaggio. Tutte le sue chiamate erano piene di risate e gioia quando ci raccontava le cose che aveva visto. Amava viaggiare. Niente fuori dall’ordinario.”
“Signor Johnson?” chiese Adele.
“Non ho detto niente,” disse la voce della signora Johnson.
Si sentì qualche fruscio e la voce del signor Johnson tornò in linea. “Sono sicuro che non intendesse niente di offensivo, cara. Vuole solo sapere tutti i fatti.” Poi con tono più forte aggiunse: “Niente. Proprio come dice mia moglie. Amanda era felice. Entusiasta. Chi le avrebbe mai fatto una cosa del genere. È… è stata lei da sola? Quando ci hanno contattato la prima volta, la polizia tedesca ha detto che l’avevano trovata. Qualcuno le ha parlato? Avete dei sospetti?”
Adele odiava quella parte. Il necessario ma doloroso velo tra i cari e l’indagine. Fece del proprio meglio per gestirlo dicendo: “Alla fine speriamo di capire tutto. Perché questo accada, avrò però bisogno di un po’ di tempo. Spero che me lo concederete. Da quello che ho visto e sentito, vostra figlia è una ragazza molto forte. Concentrerei i miei pensieri su questo. Il resto lasciatelo a me, ok?”
Qualche respiro pesante, ma poi: “Va bene. Grazie, agente Sharp.”
“Un’altra cosa,” disse Adele. “Se potete farmi un piacere, e so che è una grossa richiesta, ma sarebbe di aiuto: potreste scrivere, per quello che ne sapete, l’itinerario di vostra figlia? Da quando ha lasciato gli Stati Uniti a quando è sparita. Qualsiasi cosa vi venga in mente. Dove possa essere andata con i suoi amici, qualsiasi email possa avervi mandato dai diversi posti che ha visitato. Alberghi, motel, B&B. Come ho detto, so che è tanta roba, ma sarebbe di aiuto. Vi farò dare la mia email dall’agente che vi ha contattati prima di me. Potete inviare il tutto direttamente lì.”
“Sicuramente,”