Russian Spy. Operazione Bruxelles. Roberto Borzellino. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Roberto Borzellino
Издательство: Издательские решения
Серия:
Жанр произведения: Приключения: прочее
Год издания: 0
isbn: 9785005593689
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della natura…, estremamente raro. Io credo che i due fratelli si percepiscano l’un l’altro, subendo una sorta di attrazione psichica».

      «Quando saranno entrambi a Sochi, a pochi chilometri l’uno dall’altro, penso che questa loro percezione sarà enormemente ampliata, come se avessero dei super poteri».

      «D’accordo Petrov. Ma cerchi di coinvolgermi solo se strettamente necessario per la riuscita della missione. Il Comitato non approva che i suoi membri si espongano troppo. Il rischio di essere scoperti è troppo alto e non ho nessuna voglia di morire…, almeno non così presto».

      «Certo sig. Generale. Ho capito. La contatterò solamente in caso di estrema necessità».

      «La saluto Petrov. La prossima volta che ci incontreremo sarà solo per festeggiare. La inviterò qui a San Pietroburgo, nel miglior ristorante della città. Ma si ricordi bene… la parola fallimento non è contemplata nel nostro vocabolario. Non ci sarà concessa una seconda possibilità».

      «La saluto Generale… stia bene».

      Petrov chiuse la conversazione appoggiando lentamente la cornetta sul ricevitore. Rimase qualche istante con la testa tra le mani, estremamente pensieroso.

      La tensione e lo stress lo stavano uccidendo.

      Si allentò il nodo della cravatta e ingurgitò rapidamente il piccolo bicchiere di vodka che aveva precedentemente riempito. Sapeva di non poter perdere altro tempo e come se fosse stato morso da una tarantola, premette repentinamente il pulsante dell’interfono.

      «Silvya… contatti Skubak… immediatamente».

      CAPITOLO TERZO

      Il Covo

      8

      Aleksej non poté fare altro che seguire in ascensore la sua bella collega, ma mille pensieri gli affollavano la mente. Aveva ottenuto solo una parziale spiegazione da parte di Petrov e questo non aveva fatto altro che accrescere i suoi dubbi. La sua famiglia era seriamente in pericolo, compresa sua mamma Maria. Prima di arrivare al parcheggio pensò di contattare telefonicamente suo nonno Andrej, cercando di non farsi scoprire, ma la sua nuova amica lo guardava a vista e lo controllava molto da vicino. Era sicuro che solo il nonno sarebbe stato in grado di mettere fine a quel terribile incubo. Avrebbe escogitato qualcosa in seguito, ma adesso aveva solo bisogno di un po’ di riposo per rimettersi in sesto.

      Salirono a bordo di una Porche Carrera 911 nera, con i sedili in pelle rossa. Irina lo fissò negli occhi con atteggiamento di sfida: «Che hai da guardare… cosa credi che una donna non sappia guidare un bolide come questo?». Il motore urlò tutta la sua potenza, poi l’auto ebbe un sussulto e partì come un razzo sgommando sull’asfalto e lasciando profonde strisce di pneumatici. Irina guidò spericolatamente per le vie del centro, sorpassando e zigzagando come un pilota esperto. Ad intervalli regolari si voltava verso Aleksej guardandolo con aria soddisfatta.

      «Come vedi… caro collega… in Accademia riceviamo un addestramento di prim’ordine. La mia specialità, tra le altre cose, è la guida veloce. Ma ho tante altre qualità che scoprirai molto presto».

      «Non ne dubito», rispose sarcastico Aleksej, cercando di mantenere un contegno imperturbabile per dimostrarle che non aveva paura, mentre con lo sguardo incollato alla strada ripeteva tra sé e sé «fottiti tu e la tua Porche».

      Si allontanarono dal centro di Mosca e si diressero verso l’aperta campagna. Dopo alcune ore di viaggio l’auto imboccò una strada sterrata. Quindi percorsero ancora pochi chilometri ad andatura più lenta finché giunsero nei pressi di un enorme portone di ferro battuto, a due ante, di colore verde scuro. Dall’esterno non si riusciva a vedere granché perché la vista era impedita da un poderoso muro di cinta, sormontato da filo spinato e telecamere di sicurezza. Al cancello furono fermati da due uomini in borghese armati di kalashnikov. Ordinarono ad entrambi di abbassare i finestrini dell’auto e chiesero i loro documenti.

      «Grigory ti muovi a far aprire questo cazzo di cancello o dobbiamo stare qui tutta la notte», urlò Irina con tono beffardo.

      «Sei la solita stronza», rispose la guardia, facendo un cenno con la mano verso la telecamera in alto sul muro.

      Il cancello si spalancò magicamente, come se una mano invisibile avesse premuto un bottone. Irina, agitata e impaziente per quell’attesa imprevista, prima che fosse completamente aperto, premette violentemente il piede sull’acceleratore. L’auto si avviò velocemente verso l’interno, sollevando una grossa nuvola di polvere che investì e colorò di bianco i due poveretti fermi all’entrata. Grigory e il suo collega non poterono fare altro che guardare in cagnesco l’auto che si allontanava nel viale.

      Ormai era già quasi buio e centinaia di piccole luci illuminavano lo splendido parco che l’auto attraversava rapidamente, come un coltello nel burro. Mentre proseguivano nella tenuta lo sguardo di Aleksej venne attratto dall’imponente struttura che si stagliava in fondo alla strada.

      «Bello vero?», domandò Irina sporgendosi con la testa fuori dal finestrino dell’auto. «Lo senti questo profumo? Non è» magnifico? La primavera…, la mia stagione preferita. Non vedo l’ora di tornare a Roma per tuffarmi di notte nella fontana di Trevi o per mangiare un gelato a Trinità dei Monti, seduta sulla scalinata di Piazza di Spagna».

      Aleksej la guardò divertito e, indicandone con il dito la direzione, le chiese: «Cos’è quello? È un castello ottocentesco? A chi apparteneva?».

      «Domande… sempre domande… per quello che ne so era una vecchia residenza degli zar, probabilmente requisita ai tempi della rivoluzione bolscevica e poi messa a disposizione dell’SVR, che qui ha realizzato la sua Accademia. Ma non farti abbagliare dalla sua bellezza, noi questo posto lo chiamiamo il Covo». Sorrise soddisfatta, intuendo di aver risposto in modo brillante.

      «Il Covo?», replico Aleksej, «perché questo strano nome?

      «Non so perché gli hanno dato questo nome. C’era già prima che arrivassi e fossi reclutata nell’SVR. Probabilmente è stato creato e voluto come rifugio segreto. Il posto dov’è possibile ideare e organizzare attività illecite che in qualunque altra parte della Russia sarebbero perseguite. Comunque resteremo qui solo una settimana e sarò io stessa ad addestrarti e prepararti per la missione in Italia. Ti trasformerò in una perfetta spia». All’improvviso si mise a ridere come se pregustasse i tormenti che avrebbe inferto alla sua nuova vittima.

      «Immagino che non mi libererò facilmente di te», commentò pensieroso Aleksej.

      «Puoi ben dirlo… mio caro collega… puoi ben dirlo», replicò strafottente Irina.

      La Porche si fermò davanti all’ingresso del castello con uno stridere di freni sulla ghiaia. Altre due guardie armate erano posizionate ai lati della splendida scalinata che li avrebbe condotti all’interno. Entrarono e si avviarono verso un grande salone dove sembrava che il tempo si fosse fermato. Tutto profumava d’antico: dal pavimento di legno, ai quadri, al mobilio, ai lampadari.

      «Bellissimo questo postò», esclamò Aleksej, «non si direbbe proprio un covo di spie».

      Irina non lo degnò di uno sguardo perché la sua attenzione adesso era rivolta verso Kostja Skubak che veniva loro incontro dalla direzione opposta.

      «Ciao Irina… Maggiore…, finalmente siete arrivati. Collega per oggi il tuo compito è finito. Da qui in poi mi occuperò personalmente del Maggiore Marinetto. Questi sono gli ordini di Petrov. Sei libera di andare».

      Irina, stranamente, si congedò dai due senza dire una parola e si allontanò irosa sbattendo, con notevole frastuono, i piedi sul pavimento. Le sue scarpe, con tacco da dodici, più che un accessorio di abbigliamento sembravano un’arma micidiale, se e quando fosse stata costretta ad usarle. Aleksej la seguì con lo sguardo fin dove poté. Camminava sinuosa nei suoi jeans attillati e pensò che avesse uno splendido corpo. Ma era pur sempre una spia e di quelle temibili. Improvvisamente poteva trasformarsi in un cobra reale, di quelli che quando mordono non ti lasciano scampo. Decise che, forse, sarebbe stato più saggio e salutare starle alla larga.

      9

      Skubak