Russian Spy. Operazione Bruxelles. Roberto Borzellino. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Roberto Borzellino
Издательство: Издательские решения
Серия:
Жанр произведения: Приключения: прочее
Год издания: 0
isbn: 9785005593689
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con tutta la forza dei suoi raggi. Proseguirono dritti verso il centro, lungo via Tverskaja, poi svoltarono repentinamente in una delle tante stradine laterali, ma troppo velocemente perché Aleksej potesse leggerne l’indirizzo. Dopo alcune centinaia di metri l’auto si fermò nei pressi di un grande palazzone color giallo ocra, con tante finestre messe insieme una accanto all’altra e con i vetri oscurati. All’apparenza sembrava un classico edificio amministrativo, ma in realtà era la sede dell’SVR di Mosca, l’ex KGB.

      «Siamo arrivati» esclamò Kostja, «per favore seguimi senza fare scenate e ti prometto che avrai le risposte che stai cercando da tutta una vita. Qui sei al sicuro, addirittura meglio che al Cremlino».

      6

      Giunti all'ingresso Aleksej fu accolto da un imponente stemma color marrone. Aveva la forma circolare con al centro una grande stella a cinque punte. Un piccolo globo blu brillante al suo interno. La scritta, in cirillico, ne annunciava pomposamente il nome – Služba Vnešnej Razvedki Rossisnoj Federazi (Servizio di Intelligence Internazionale della Federazione Russa).

      Superarono il metal detector e mostrarono i documenti alle due guardie. Erano entrambi disarmati. Ricevettero i badge per accedere al settimo piano dove li sarebbe il direttore Petrov. Filarono in tutta fretta verso uno dei tre ascensori e presero quello meno affollato. Giunti al piano, svoltarono alla loro sinistra e si avviarono per un lungo corridoio.

      Il pavimento era di marmo massiccio, di colore bianco lucido, intarsiato da piccole strisce nere con un tappeto rosso ruggine che ne copriva il centro per tutta la sua lunghezza.

      Aleksej notò un grande andirivieni di uomini e donne. Camminavano nervosamente da una parte all'altra del corridoio, entravano e uscivano da varie stanze, con in mano fascicoli e pile di documenti. Il quel trambusto nessuno li degnò di uno sguardo né di un saluto, come se fossero stati invisibili.

      «Questi gli uffici della Sezione I. Sono gli analisti che si sono delle informative quotidiane per i nostri agenti all’estero. Non preoccuparti… ci fari l’abitudine. Sembra che siano immersi nel caos ma ti assicuro che sono efficienti e super organizzati. Comunque non è qui che siamo diretti». Con il pollice della mano destra Kostja indicò in alto, come per dire: dobbiamo salire ancora. Fecero pochi scalini e si ritrovarono su di un piano ammezzato. Alle fine si fermarono davanti ad una grande e massiccia porta di abete con la scritta Dipartimento S. – Direttore Petrov».

      Kostja bussò con vigore e dall’interno risuonò una voce gentile: «Avanti, prego, accomodatevi».

      «Ciao Silvya», esordì sorridendo, «come vedi siamo puntuali. Immagino che il direttore Petrov ci stia aspettando».

      Aleksej non poté fare a meno di notarla: era una graziosa ragazza bionda, capelli corti a caschetto e grandi occhi marroni. Aveva un trucco leggero e pensò che potesse avere, più o meno, la sua età. Li aveva accolti con un sorriso di circostanza ma il suo sguardo freddo e glaciale tradiva una certa tensione.

      «Puntualissimo Kostja. Il Direttore vi sta aspettando. Entrate pure», replicò Silvya decisa, senza aggiungere altro. Aleksej diresse lo sguardo nell’angolo in alto del soffitto dov’era posizionata una piccola telecamera.

      Solamente adesso intuiva perché la ragazza era rimasta seduta per tutto il tempo e non si era alzata per andare loro incontro. Aveva la mano destra ancora poggiata sulle gambe, segno inequivocabile che impugnasse una pistola. Dal loro arrivo al piano terra erano stati seguiti passo passo dalle telecamere a circuito chiuso. In un’altra stanza, lì vicino, dovevano esserci degli altri agenti armati, pronti ad intervenire in caso di necessità, a protezione della sicurezza del loro capo.

      Entrarono e si fermarono al centro della stanza. Il direttore Fyodor Ivanovic Petrov era in piedi, girato di spalle, mentre guardava fuori dalla finestra. Era un uomo già oltre la cinquantina, della vecchia scuola del KGB. Aveva superato indenne il periodo di transizione e adesso comandava l’importante Dipartimento S dei servizi segreti russi. Capelli rasati a zero, occhiali da vista tondi da intellettuale, di aspetto longilineo, quasi magro, indossava un doppio petto grigio dal taglio sartoriale impeccabile. Tutti lo rispettavano e fin dal primo sguardo sapeva incutere timore.

      «Buongiorno direttore», esordì Kostja dirigendosi lentamente verso la finestra, «le ho portato il Maggiore Marinetto… come richiesto. Nessun imprevisto da segnalare, anche se all’inizio il nostro ospite ha mostrato una qualche resistenza. Ma era facilmente prevedibile considerata la segretezza della sua convocazione».

      Petrov girò lentamente il capo in direzione dei nuovi arrivati con una smorfia di approvazione. Sembrava che fosse rimasto in piedi a lungo, probabilmente preoccupato per la lunga attesa. Poi si voltò completamente e, dopo aver spostato la sua poltrona di pelle nera, appoggiò entrambe le mani sulla grande scrivania di mogano.

      “Bravo Kostja, molto bene!!”, rispose con voce baritonale, “ma adesso ho bisogno di restare da solo con il Maggiore. Prenditi la giornata libera. La tua missione, per oggi, è finita”. Aggrottò le sopracciglia e strinse le palpebre per squadrare meglio Aleksej. Con l’intensità del suo sguardo cercò di mettere subito in soggezione Aleksej, quindi attese che l’agente Skubak fosse uscito dalla stanza e, quasi a scusarsi per l’intemperanza del suo sottoposto, si avvicinò per stringergli la mano. La stretta fu forte e calorosa e lo invitò a sedersi di fronte a lui.

      “Finalmente ci conosciamo”, disse con tono sarcastico il direttore Petrov, “in tutti questi anni suo nonno non ha fatto altro che parlarmi di lei, di suo nipote Aleksej, di tutti i suoi successi sportivi e della sua brillante carriera militare”.

      Aprì lentamente un fascicolo rosso che, di proposito, aveva lasciato in bella evidenza al centro della sua scrivania. All’interno vi erano diversi fogli fittamente compilati a mano, con perfetta grafia femminile, e alcune fotografie. Aleksej intuì che doveva trattarsi del suo fascicolo personale e non fece nulla per nascondere a Petrov il suo fastidio. Era stato sbattuto su di un volo per Mosca in tutta fretta e adesso si trovava in presenza del capo dell’SVR.

      Tutto gli appariva così assurdo e privo di giustificazione.

      I metodi usati da Petrov non erano certamente quelli che aveva imparato ad apprezzare in Accademia. Ma lasciò che facesse la prima mossa e solo dopo avrebbe deciso se e come reagire.

      “Capisco il suo stato d’animo”, disse Petrov con calma apparente, “anch’io al suo posto sarei nervoso se fossi stato convocato all’improvviso e in tutta segretezza. Stia tranquillo perché oggi avrà tutte le risposte alle sue domande. Ma prima di iniziare mi dica cosa posso offrirle: tè…, caffè…, tutto quello che desidera. Magari posso farle portare un ottimo caffè espresso italiano che lei certamente apprezzerà”, concluse abbozzando un sorriso di circostanza nel tentativo di mettere a proprio agio quell’ospite così importante.

      «No. Grazie. Ho già fatto colazione in aeroporto», ribatté asciutto Aleksej. Ormai era interessato solo a concludere rapidamente quella strana giornata e prendere il primo aereo per tornarsene a San Pietroburgo.

      «Va bene… andiamo subito al sodo. Vedo che è ansioso di conoscere il motivo di questa sua inattesa visita. Le dico subito che riguarda la sua famiglia e suo fratello Luca… in particolare. Sappiamo che sua mamma le ha già raccontato molto… ma se siamo qui è perché abbiamo bisogno del suo aiuto… della sua collaborazione… come cittadino russo e come patriota…».

      «Cosa c’entra la mia famiglia con i Servizi Segreti?», lo interruppe bruscamente Aleksej. «Se escludiamo mio nonno Andrej non abbiamo nessun punto di contatto tra di noi. Si… in effetti mia mamma mi ha parlato di quello che è successo quand’ero piccolo. È vero… non sono figlio unico… ho un fratello gemello… ma non vedo come questo possa interessarvi. Perché volete coinvolgere mio fratello Luca?».

      «Si calmi Maggiore. Mi lasci spiegare e vedrà che alla fine tutto le sarà più chiaro», lo incalzò Petrov con tono conciliante.

      «Lei sa che Luca è la sua copia quasi perfetta. Siete diversi solo per un piccolo particolare: una minuscola macchiolina rossa all’interno della gamba destra di suo fratello. Per il resto siete praticamente