Novelle Napolitane. Salvatore Di Giacomo. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Salvatore Di Giacomo
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066069001
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vigilava nella camera, la punta delle dita nello sparato del soprabito, l'occhio piccolo e vivo, pien di malizia.

      Da per tutto, qua e là, messe in ordine accosto a' mobili, sedie dalla impagliatura ingiallita, dalla spalliera piatta e larga, verniciata di bianco, istoriata nel mezzo da figurine di cavalieri in parrucca e codino, i quali, premendo al petto il cappello a lucerna, s'inchinavano a damine rubiconde, che sorridevano, spiegazzato il ventaglio di piume. Presso all'uscio maggiore, del quale una cortina nascondeva il vano, sopra una di quelle seggiole riposava un cappello di feltro, alto, dalle tese rigide. Un bastone dal pomo d'avorio s'appoggiava alla seggiola.

      Pareva che il padrone, a momenti, dovesse uscire di casa. Due pantofole ricamate si nascondevano in un angolo.

      In fondo, nella luce dolce ed eguale, la sagoma scura della spinetta richiamava l'occhio, con la sua immobile tranquillità. Teneri riflessi scendevano pel legno pulito, spegnendosi sul tappeto, macchiando di bianche lucentezze quel mobile.

      Dalla sua poltrona il piccolo vecchio faceva correr lo sguardo compiaciuto sul leggìo, sulle carte da musica ammucchiatevi accanto. L'occhio carezzava la pallida fila della tastiera, le mani desiderose fremevano sui bracciuoli della poltrona.

      Finalmente la spinetta trionfò. Il piccolo vecchio si levava pian pianino; fece due passi nella camera, si fermò, respirò rumorosamente, come a togliersi un gran peso di su lo stomaco. Si fregava leggermente le mani, preparandosi, tutto compreso della sua piccola commozione. Da un vassoietto tolse una bottiglia di rosolio di cannella, empì un bicchierino smerigliato, centellinò, facendo schioccar la lingua, tossendo, battendosi in petto piccoli colpettini. Infine affrontò coraggiosamente la spinetta; le si sedette innanzi, passò un gran moccichino di filo scuro sulla tastiera, che di sotto si mise a strepitare, discordemente. Le mani del vecchio tremavano così forte ch'egli dovette sostare un pezzetto, per quietarsi. Poi corsero subitamente per una scala semitonata. La spinetta si svegliò in un chiasso di note saltellanti. Dio, che foga! addio vecchiezza! Il cuore faceva: tic-tac, tic-tac, sul ritmo della musica, il sangue correva ai pomelli delle guance, brillavano gli occhi, le labbra mormoravano. Egli s'abbandonava indietro sulla seggiola a tamburello con le braccia stese, le palpebre socchiuse. Una furia d'allegri, d'andantini, di ariette, di fughe vorticose, gli turbinava dentro nell'anima.

      Provò a rappaciarsi. Dolcemente, sfiorando appena con le dita la tastiera, egli mormorò, dondolando il capo:

      Cara, non dubitar....

      Cimarosa.... Ah! Cimarosa! Perchè lo ricordava sempre, sempre?... Il piede batteva il tempo sul tappetino, la voce continuava come un soffio:

      Pria che spunti in ciel l'aurora

      Cheti cheti, a lento passo,

      Scenderemo fino abbasso

      Che nessun ci sentirà....

      Il vecchietto si lasciava trascinare:

      Fuggiremo pian pianino,

      Per la porta del giardino....

      E la melodia empiva la cameretta. Vi rimetteva il tempo d'una volta, il bel tempo d'allora. Tremava per l'aria, sfiorava le pareti, passava sui mobili come una carezza, saliva al soffitto come un profumo del tempo. Un susurro si partiva dalle pareti, da' mobili, da' ritratti, dagli angoli pieni d'ombra e di ricordi; tutta la stanzuccia vibrava, applaudendo. Morirono l'ultime note languide in quel susurro; la spinetta tacque.

      Or il vecchietto si chinava a rovistare, le mani impazienti, tra le carte musicali, cercando certo suo menuetto, scritto a' giorni della gaia giovinezza. Finalmente lo trovò, finalmente lo spiegò sul leggìo dal quale era tanto tempo, tanto tempo lontano. Inforcò gli occhiali, accostò gli occhi alla carta, lesse, con l'anima sospesa, col cuore in gran palpiti. Le mani scivolarono sulla tastiera....

      Ma subitamente, il volto di lui si mutò; non più ridevano gli occhi dietro i vetri lucenti, non più l'anima rideva. Implacabile e violenta lo riafferrava la disgrazia della sordità, moriva la musica, moriva l'armonia in un profondo silenzio. Il vecchietto si lasciò cadere le mani sulle ginocchia, sconsolato. Che povera fortuna aveva quel menuetto! Eppur quante pene di cuore vi aveva dolcemente accumulate! Il titolo gli venne dalla sentimentale civetteria d'una damina — che sorrideva sempre, ancora, in una cornicetta dorata, sulla mensola. Una piccola bionda dagli occhi azzurri, dalla pelle liscia e rosea, dalla bocca amabile, vestita d'un corpettino da contadinella, scarlatto, a sbuffi di merletto antico, un neo sotto l'occhio, la cipria nei capelli. Disse lei, allora: — Il menuetto è assai gentile; chiamiamolo Confessione.... Lui disse: — Di cosa? Ella rideva, mostrando due piccole fila di perle, un tesoretto.

      — Fate voi, mettete pur voi qualche altra parola. Egli balbettò: — d'amore? e diventò del colore di quel corpetto. Lei rideva e infine si lasciò prendere la mano affusolata....

      Il vecchietto, sorridendo al ricordo, rimise le mani sulla tastiera, tentò qualche nota dell'adagino, un delizioso fa minore pel quale ella chiudeva gli occhi e abbandonava mollemente il capo sui cuscini del divano. Gli tornò il primo impeto di collera, come nessun'armonia gli arrivava all'orecchio. Si chinò, accostò il capo alla tastiera; i polpastrelli percotevano, due, tre volte.... Nulla, nulla; qualcosa d'indistinto, di vago, un soffio. Davvero tutto era finito, proprio tutto. Un'immensa amarezza gli strinse il cuore, le mani si raffreddarono, madide. Il vecchietto, poggiato il braccio all'angolo della spinetta, abbandonata la testa sul braccio, rimase immobile. Pareva dormisse.

      Annottava; l'ombre si raffittivano nella camera, vi mettevano larghe macchie d'oscurità intorno alle quali ogni cosa nuotava in una dolce confusione di linee. Perdeva la stradicciuola la sua gente e il romore; un impreciso mormorio ne saliva, e penetrava nella stanzetta come un soffio. E la stanzetta taceva, in una gran pace. Pure, il malinconico silenzio, di tanto in tanto era rotto. Si sarebbe detto che lì, dietro la spinetta, nell'ombra, qualcuno singhiozzasse.

       Indice

      Il reverendo rettore levò, finalmente, il naso da una scodelletta, in fondo alla quale il suo grosso indice aveva, diligentemente, ripescate, tra il caffè al latte, le ultime miche di pane. Nel silenzio della sagrestia si manifestava la soddisfazione di lui con quel romore del naso particolare dei tabaccosi che fanno il chilo, con un sordo gorgoglio della strozza, ronfante di compiacenza e di respiro che non trova libera la via.

      — Sentiamo. Mai arrestato?

      Era davanti a lui un piccolo uomo, orribilmente magro, pallidissimo, brutto, dall'aria così malata, così triste che il rettore, una persona grassa e piena di salute, aveva terminata in fretta e furia la sua colazione, temendo di doverla interrompere per mancanza di appetito. In verità nulla di più languente di quel piccolo uomo, che aspettava, impiedi, col cappello tra le mani esangui, tossendo, di tanto in tanto, a colpetti brevi e secchi, la faccia volta alla grande scansia dello stanzone. Rispose:

      — No, signor rettore.

      — Sai leggere?

      — Sì, bene.

      — E scrivere?

      Lui accennò ancora di sì, con gli occhi.

      — Sta bene, — disse il rettore, levandosi, — vieni un po' a vedere la chiesa....

      Lui, mentre il prete s'avviava, fece per rimettersi il cappello, con un moto involontario.

      — Be', — disse il prete, — cosa fai? Siamo in chiesa.

      Balbettò qualche scusa, arrossendo. Il rettore si soffiava il naso e svegliava l'eco della grande navata. Lentamente, si fermava qua e là, davanti agli altari, alle pilette dell'acqua benedetta, agl'inginocchiatoi su' quali stratificava la polvere.

      — Qui bisogna passar lo straccetto ogni giorno. Qui lavar con l'acqua di tanto in tanto. E i candelieri! Mi raccomando assai pei candelieri. E quando sono accesi badare che non mi brucino i quadri. Guarda, quest'è opera delle fiamme de' candelieri....

      Con