Novelle Napolitane. Salvatore Di Giacomo. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Salvatore Di Giacomo
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066069001
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era più bianco della camicia che aveva addosso. Nunziata lo seguì; egli andava innanzi a piccoli passi, barcollando come se avesse alzato il gomito.

      — Sentite! — arrischiò ancora. — Che volete fare?

      Tetillo si volse; era tutto stralunato, ma sorrideva come se niente fosse.

      — Non abbiate paura, vedete, non ci penso più; torno a casa, una buona dormita e passa.

      Si fermò sotto il fanale e riaccese il sigaro, che si era spento: poi s'allontanò zufolando, con le mani in tasca.

      Quella sera Peppinella, come giunse in mezzo alla piazzetta, ancora illuminata, se lo vide sbucare innanzi dalla bottega del pizzicagnolo, ove era stato ad aspettarla. A guardarlo con quella cera che aveva, lei indovinò subito che le belle cose gliele avevano già soffiate all'orecchio. Ebbe un fremito di paura; prima che si rimettesse egli le stava accanto, col cappello di sghembo e le mani nelle tasche della giacchetta.

      — Buona sera, — disse lei.

      — Buona sera.

      Rimasero un pezzo in silenzio, camminando di pari passo; a un tratto, dove la strada si faceva buia, egli si fermò e, toccandole il braccio, come se del fatto ne stessero parlando da un'ora:

      — Dunque? — disse.

      — Dunque che?

      — Sapete che m'hanno detto? — disse lui, dandole ironicamente del voi, — lo sapete?

      — Che v'hanno detto, se è lecito?

      — M'hanno detto che vi siete messa a far l'amore con un altro....

      — Le male lingue sono come le forbici, — disse lei; — e voi ci credete?

      — Ah! mannaggia! se fosse vero!...

      Peppinella ci pensò un poco a testa bassa, poi la risoluzione la pigliò subito e gli volle dir tutto in una volta, per liberarsi presto.

      — Mettiamo che fosse, — mormorò, — e poi?...

      Ma non potè finire; egli aveva già messo fuori il rasoio e le fu addosso con un urlo di rabbia.

      — E poi? E poi tèh!...

      Peppinella non ebbe tempo neppure di gettarsi addietro che già lui, con un movimento rapido, le aveva tagliata la guancia e il rasoio le era passato nella carne come una staffilata. Fu un momento: ella non aveva sentito neppur dolore, ma quando portò le mani alla faccia e se le vide piene di sangue, mise un grido terribile:

      — Ah! mamma mia! Ah, che m'ha fatto!...

      E cadde di peso come uno straccio.

      Tetillo rimase sbalordito, guardandola stesa lunga nel rigagnolo, ove non si moveva più. Si chinò a toccarla, ma lo spaventarono le grida delle femminucce. S'accorreva da tutte le parti e due guardie gli furono sopra prima che se n'avvedesse. L'afferrarono pel collo, spingendolo contro il muro; lui non si mosse nemmeno e si lasciò prendere senza aprir bocca. Ma aveva fatta una faccia così strana che nessuno volle dirgli niente. Solo una guardia, mentre lo tenevano stretto, gli gridò in viso:

      — Carognaccia!

      Tetillo la guardò negli occhi e si morse le labbra tanto forte che ne spicciò il sangue vivo, poi tese le mani con un lieve tremito nelle braccia. Quando gli misero le manette, e ci volle fatica, che aveva i polsi grossi come le sbarre, mentre stringevano la catenella, egli guardò nella folla con un sorriso di feroce compiacenza e con un'aria cretina si mise a canterellare fra i denti:

       Fronn 'e vurraccia....

      Cosa che dette i brividi a quanti gli stavano attorno e che per la bravata ringalluzzì gli sbarazzini di tutto il quartiere.

      E così fu che Tetillo andò a scontare tre anni di carcere a San Francesco, e Peppinella, quando lo sfregio ricucito le dette un'aria di bellezza guastata, si dette alla mala vita e cinque mesi dopo gettò alla ruota dei trovatelli un suo bambino, pel quale non aveva nè latte, nè amore.

       Indice

      Era Rinaldo un cavalier possente

      Che di prodezze fece tante e tante

      . . . . . . . . . . . . . . . . .

      A quell'ora, era l'una dopo mezzogiorno, Tore il cantastorie si faceva ancora aspettare. Intanto il monello che gli portava le quattro panchette era arrivato da tempo, e al solito le aveva ordinate in quadrato, sotto la gran tettoia dei magazzini della dogana. Mentre, aspettando, guardava lontano se lo vedesse spuntare allo sbocco del Molo, qualcuno si metteva già a sedere, invitando qualche amico a far lo stesso, per tirar fuori quattro chiacchiere. A poco a poco gli scanni si riempirono, non vi fu più un posto vuoto. E i discorsi cominciarono.

      — Tore perchè non viene? — chiese un marinaio a un facchino che caricava la pipa.

      — Lo so io? — rispose costui, senza alzare il capo. — Avrà dimenticato il libro a casa.

      — Don Peppe! — gridò un giovanotto camorrista, con un ciuffo di capelli che gli uscivan di sotto al berretto messo di sghembo, — sono botte oggi?

      La dimanda era diretta a un vecchietto arzillo e asciutto, che sedeva all'estremità della panca. Don Peppe, che un tempo era stato lupo di mare e ora vendeva le tende incatramate pei bastimenti, laggiù a Porto, era conosciuto tra i frequentatori di Rinaldo al Molo pel più caldo ammiratore del guerriero, e lo chiamavano, per quel suo entusiasmo spinto sino all'adorazione, il patito.

      Di patiti nell'uditorio abituale ce n'erano meglio d'una diecina e sapevano la storia di Rinaldo come il paternoster. Ogni giorno, alle due letture che faceva Tore, con una mezz'ora d'intervallo, si venivano a pigliare le loro emozioni.

      Don Peppe, colla mazza fra le gambe, la pipetta corta nell'angolo della bocca, fumava tranquillamente.

      — Pare, — rispose al giovanotto, mentre lo si stava a sentire curiosamente; — non mi ricordo troppo bene; non voglio dir bugia. L'anno passato, di questa giornata, ebbi il colèra, che Dio vi scampi, e non potetti sentire.

      E come la pipa cominciava a borbottare, fece per vuotarla nel cavo della mano.

      Il giovanotto stese il braccio.

      — Mi fate fare due sputi?

      Don Peppe gli passò la pipa. L'altro accese un fiammifero sul panno dei calzoni, calcò coll'indice il tabacco nel fornellino e tirò due o tre boccate soddisfatte.

      — Qual è il numero stavolta? — chiese il marinaio al facchino.

      — Trentaquattro, — rispose questi, che passava per cabalista. — E giurateci sopra.

      — Figura di sette, — uscì a dire un altro. — Sabato passato è venuto rovescio.

      — Già, quarantatrè, — disse un altro.

      — Sentite che sogno faccio l'altra notte.... — cominciava il facchino.

      — Signori miei! — fece una voce nel silenzio.

      Si volsero; Tore stava lì nello spiazzato fra le quattro panche, serio, colla bacchetta nella destra, il corpo in avanti sulla gamba sinistra. Non si parlò più, la lettura era per cominciare.

      Tore mise fuori il fazzoletto scuro, lo avvolse alla mano sinistra, aprì il libro ad un segno di carta, tossì, sputò con un getto rapido, sprizzando la saliva fra le commessure dei denti, facendo un passo innanzi, alzò lentamente la bacchetta e, con sua cantilena immutabile, cominciò:

      La fortuna è una Dea senza cervello,

      E però tutto il giorno fa pazzie,

      Or questo abbassa ed ora innalza quello,

      Delle genti ama sempre le più rie....

      Attorno non si