Falco della rupe; O, La guerra di Musso. Bazzoni Giambattista. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Bazzoni Giambattista
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Зарубежная классика
Год издания: 0
isbn: http://www.gutenberg.org/ebooks/27091
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poichè sentiva di già che a malincuore abbandonava quell'ospitale abituro. La prima immagine a lui affacciatasi appena tolto al sonno era stata quella che ultima l'aveva abbandonato la notte, l'immagine cioè di Rina. Erano cessate la foga e l'agitazione destate nel suo spirito dagli avvenimenti del giorno antecedente, e su tutte quelle tumultuanti e spaventose impressioni una n'era surta dominatrice che gli diffondea nel cuore una dolcezza nuova, lusinghiera, che lo affezionava agli accidenti, sebbene disastrosi, dai quali era stato colà condotto.

      Non era una determinazione decisa, un'idea chiara, sviluppata che Gabriele avesse concepito, e di cui rendesse a se stesso ragione; erano immagini presentite, velate ancora e confuse, che lasciavano trapelare una luce attraente e soave, qual egli non aveva mai traveduta da pria; era una fibra del suo cuore non tocca mai per l'addietro, che appena sfiorata rilevossi con un'armonia sì deliziosa, che nessuno de' suoi consueti sentimenti sapeva raggiungere: erano quelli in somma i primi battiti d'amore.

      Avendo trascorsi i suoi verdi anni nei castelli, nelle rocche, o sul campo tra uomini rudi e severi, che d'altro non s'avevano pensiero che di ciò ch'era conforme a' loro guerreschi interessi, mai una parola affettuosa era giunta al suo orecchio, nè mai gli si era offerto alcuno di que' tratti che recano all'anima la soavità della simpatia, e lo aprono all'effusione d'un gentile e delicato sentire. Con persone d'altro sesso egli non avea mai avuto famigliare consorzio, e le sole giovani donne con cui alcuna volta soleva conversare, erano le proprie sorelle, che stavano in una casa foggiata a monastero in Musso, e queste, d'età alla sua superiore, non davansi altra cura che d'intrattenerlo di cristiani ufficii e di pratiche religiose, temendo che le sue armigere occupazioni gli facessero porre in dimenticanza od in dissuetudine i sacri doveri. Per il che eran sempre rimasti a lui assolutamente sconosciuti i moti d'amorosa tendenza, o di tenera affezione. Le forme e gli sguardi di Rina, ch'egli aveva colà pressochè ad insaputa contemplati, avevano cagionato il suo primo palpito d'amore, che in un intatto e puro cuor giovanile con tanto vigore s'addentra possedendolo con intiero ed assoluto dominio.

      Poco tempo dopo che Falco fu rientrato nell'abituro, Trincone ritornò menando Frate Andrea, ch'era l'uno de' monaci che s'avevano in cura un ospitaletto elevato da pia e facoltosa persona un secolo addietro nella terra di Nesso per ricettare gl'infermi del contado, e veniva chiamato la Casa dei Malati di santa Maria: diede quegli dalla strada un grido chiamando Falco, e questi, postosi a spalle il suo moschetto, che non abbandonava giammai, si fece a seguirlo.

      Annuvolato tristamente era il cielo, e fosco appariva il mattino: larghe zone di nebbia rigavano i dossi delle montagne, e riflettevano nelle immobili acque del lago il loro cinericcio colore; le piante e gli arbusti che fiancheggiavano il sentiero del monte vedeansi sfrondati ed abbattuti dalla furiosa grandine della notte, ed in più luoghi frantumi di macigni e sassi trascinati dalla correntia della pioggia lo avevano ingombro.

      "Foste chiamato per tempo a disastroso cammino (disse Falco a Frate Andrea, che giva preceduto da Trincone) e n'avete a far buon tratto per giungere al letto dell'infermo".

      "Non è mai disastrosa, rispose il Frate, quella strada che dobbiamo percorrere per recare la salute del corpo o dell'anima ad un nostro fratello".

      "Così avvenisse che poteste rendergli la prima, soggiunse Falco; ma temo che nè le bende nè l'acqua del chiodo che portate abbiano a valere a rimarginare la ferita che aprì a Grampo le canne della gola". "Sia pur vero per volontà di Dio che l'opera delle mie mani non abbia ad avere alcuna efficacia, rispose il Frate; ma voi mostrate poca fede dubitando dell'effetto di quest'acqua miracolosa: non sapete quanti portenti ho veduti co' miei proprii occhi operarsi per essa? quanti storpii raddrizzati, quanti ciechi illuminati, persone giacenti da più anni rinvigorite in poche ore? Ma fa d'uopo trovarsi mondi da gravi peccati, ed avervi avuta sempre particolare divozione".

      "Ohimè! il povero Grampo non deve dunque aspettarsene alcuna grazia, disse Trincone crollando il capo: ci parlava sovente di gozzoviglie e di vino, e l'ho veduto vuotarne delle tazze in gran numero; ma non mi so che si risovvenisse pure una volta del viaggio che dobbiamo far tutti per l'altro mondo".

      "Sarà di lui ciò che ha disposto Quegli che sta là su, disse il Frate alzando gli occhi al cielo: la sua misericordia è infinita, ed Egli può attribuire qualunque mirabile potere a quest'acqua che fu benedetta col chiodo miracoloso venuto da Terra Santa".

      L'acqua di cui essi ragionavano veniva recata dal Frate in un secchiello di rame argentato che aveva la forma d'un lungo bicchiere allargato alla sommità, nel cui manico erasi passata una cordicella. Quest'acqua, che veniva considerata qual santa reliquia di portentosa virtù, attingevasi nel lago il giorno di San Giovanni Battista, e portavasi al Borgo di Torno, dove nella Chiesa dedicata a tal Santo celebravasi una solenne e sontuosa festa, e quivi vi veniva immerso per qualche istante un chiodo che una pia credenza indicava per l'uno di quelli che avevano servito alla crocifissione del Redentore, recato dalla Palestina da un Arcivescovo Alemanno condottiero di Crociati, il quale, giunto a Torno, non potè per furore di procella allontanarsene finchè non ebbe deposto nella Chiesa quel prezioso ferro trasportato con tanta cura dalle sacre contrade di Gerusalemme3.

      Seguendo quei tre il sentiero più breve pe' boschi, lasciando Careno ed altre Terre alla destra, pervennero in brev'ora a Palanzo: internatisi per una stradicciuola in quel paesetto formato d'ammassati montaneschi abituri, giunsero alla porta della rustica casupola di Grampo. Presso a quella stava Guazzo in mesto atteggiamento confabulando con due confratelli Della-Morte, che così appellavansi i membri d'una religiosa compagnia di cui era incarico il recare i trapassati a sepoltura.

      Quando Guazzo ebbe veduti que' tre sorvegnenti, "È tardi, esclamò con malinconica voce: altro non rimane a fare per lui che porlo sotto terra".

      Trincone, maravigliato, fece un atto di dispetto vedendo così delusa la sua aspettativa, e accorgendosi d'aver gettati vanamente i passi; il Frate abbassò lo sguardo al suolo chinando il capo, e incrocicchiando le braccia sul petto recitò una preghiera; Falco, compreso da dolore, "Lasciatemi entrare, gridò in tuono che palesava insieme l'ira e la pietà: voglio almen vederlo un'ultima volta; voglio promettere sul suo corpo di mandare più d'uno di quelli che lo hanno ucciso a dormire un sonno eterno come il suo".

      In una stanza di ruvide pareti, sotto una volta annerita dal fumo, e che prendeva scarso lume da un elevato finestrello, giaceva sovra un letto di tavole il cadavere di Grampo ricoperto per metà da un lenzuolo: la sua gola era fasciata da bende tutte intrise del suo sangue, che trascorsogli sul nudo petto in più striscie vi si vedeva nero e raggrumato. Di fianco al letto stava assisa una vecchia donna, tenendosi a due mani appoggiata ad un bastone, cogli occhi fissi immobilmente su quel sangue: i denti di lei battevano di tratto in tratto tra loro, e le membra tremavano per convulsivo movimento: era Imazza sua madre.

      Entrato Falco là dentro seguito da Frate Andrea e da Trincone, accostatosi lentamente al letto, vi si rattenne; posò a terra il moschetto, e sovrapponendo all'estremità della canna ambedue le mani, su quelle appoggiando il mento, rimase taciturno a contemplare d'uno sguardo, fatto per tristezza fosco e socchiuso, la salma d'un compagno d'armi, poche ore dianzi sì vigoroso per gioventù e salute, già fatto immoto insensibile.

      A piè del capezzale inginocchiossi Frate Andrea, il quale, alzata colla destra la croce che andava unita al rosario che gli pendeva dalla cintura, intuonò le litanie ed altre preci pei defunti, cui rispondeva Trincone, postosi parimenti co' ginocchii a terra: rilevatosi il Frate, appressossi ad Imazza, che non aveva mai tolti gli occhi dal volto del proprio figlio, nè sembrava per anco essersi accorta della presenza di quegli estrani, e come era suo ufficio e costume in simiglianti circostanze per alleviarne il dolore, e distorla da quell'intenso pensiero, cominciò con voce lenta e pietosa a così dirle: "Il Signore non volle concedere che io giungessi a tempo di confortarlo colle sante parole della Chiesa, o di lavargli la ferita coll'acqua mirabile che recai meco a quest'uopo; ma non paventate per questo, o madre, anzi abbiate viva speranza che egli sarà stato accolto nella schiera degli eletti, e l'interno pentimento delle proprie colpe gli avrà fatta vincere la guerra col nemico infernale che sta preparato a tutti assalirci negli estremi momenti: fors'egli a quest'ora prega per voi e per noi tutti; ed attende tra l'anime purganti che colle nostre orazioni lo liberiamo dalle fiamme…"

      La vecchia Imazza, volgendo la testa, diede uno sguardo sì torvo al Frate,


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Tatti, Stor.