Proprio intorno a queste domande è incentrato il presente volume. L’ampio spettro rappresentato dai singoli contributi, sia sotto il profilo dei contenuti che delle metodologie, dà il segno di quanto diversi possano essere gli approcci alla tematizzazione, avvincente quanto complessa, della storia del libro e dei lettori e lettrici. Lo sguardo si concentra sulla regione alpina a dominanza cattolica e sui suoi versanti meridionali, area che sinora è stata trascurata dalla ricerca (a parte qualche eccezione); come cornice temporale è stato scelto il periodo compreso tra il 1750 e il 1850.10 Da un lato, lo stato delle fonti relative a tale periodo consente sempre più indagini micro-storiche; dall’altro lato, proprio in questo “periodo di cerniera” (Sattelzeit) si sono poste le basi “per la nascita di una moderna ‘industria di prodotti culturali’ e un avanzato sistema di comunicazione culturale”.11 La metamorfosi della società ha generato conseguenze rilevanti anche sul mercato del libro, sulla dimensione degli scrittori e del pubblico di lettori.
Maurizio Piseri affronta nel suo contributo la fondamentale questione della distribuzione della competenza alfabetica, utilizzando i risultati di indagini demografiche sul periodo napoleonico e ricostruendo la situazione scolastica in due comunità della Bassa Valle d’Aosta.12 In questo contesto delinea i caratteri di una specifica “alfabetizzazione alpina”.13 Secondo l’autore, l’incremento degli sforzi da parte delle autorità comunali per garantire un’istruzione di base al maggior numero possibile di bambini era direttamente proporzionale al grado di precarietà economica. Infatti, un maggiore livello di istruzione scolastica si rendeva necessario proprio a causa del contesto geo-antropico: l’insediamento in aree inadatte a un’economia di sussistenza, a causa delle condizioni climatiche o delle caratteristiche del suolo, richiedeva lo svolgimento di attività integrative. Piseri illustra bene le ragioni per le quali chiunque si trovasse nella necessità di offrire servizi o prodotti in un mercato sovraregionale doveva essere in grado di padroneggiare le tecniche culturali che di solito venivano insegnate a scuola. Tali studi non sono ovviamente in grado di fornire informazioni esaurienti sulle competenze di lettura delle persone dell’epoca, e in ogni caso anche la precisa conoscenza del tasso di alfabetismo consentirebbe di trarre conclusioni solo parziali sull’effetto prodotto dai testi sui lettori. È indubbio tuttavia che gli studi di base su chi in un determinato periodo storico fosse in grado di leggere rappresentano un fondamentale punto di partenza per ulteriori indagini sulla storia della lettura e del libro.14
Nel periodo storico preso in considerazione in questo numero, da un lato si assiste a un diffuso sforzo, messo in atto anche dalle autorità, per incrementare la capacità di lettura; si pensi, ad esempio, all’introduzione dell’istruzione obbligatoria nei domini ereditari asburgici dal Regolamento scolastico generale del 1774.15 Dall’altro lato però viene sviluppato contemporaneamente un insieme di misure intese a limitare la lettura. A tale fenomeno è dedicato il contributo di Daniel Syrovy che applica una prospettiva prevalentemente storico-letteraria. La “libertà dei lettori e delle lettrici” necessitava di limitazioni chiaramente definite e su questo concordavano sia le autorità religiose che statali. In fin dei conti, la lettura era (e in un certo senso è ancora oggi) un atto fondamentalmente “ribelle”, come ritiene anche Roger Chartier16. Analizzando le politiche censorie asburgiche in Lombardia e nel Veneto, Syrovy sottolinea innanzitutto il passaggio del concetto di censura come misura didattico-educativa (nello spirito riformistico dell’istruzione popolare) a quello di misura di polizia, volta principalmente a difendere l’integrità dello stato. Successivamente il contributo illustra come la libertà creativa nei territori dell’Italia settentrionale risultasse profondamente condizionata, anche a livello implicito, da parte dell’imperativo, considerato assoluto, di contrastare le tendenze rivoluzionarie. Indipendentemente dai suoi concreti obiettivi o dalle sue declinazioni regionali, gli effetti del sistema di censura sugli sviluppi in campo letterario erano enormi. È senz’altro riduttiva l’idea che la censura produca l’unico effetto di sottrarre alla libera disponibilità i materiali di lettura. La conoscenza dei meccanismi di censura ha inevitabilmente condizionato il lavoro di autori, editori e librai, come pure il comportamento dei consumatori delle opere a stampa: dalla decisione di acquistarle al loro trattamento, fino all’atto concreto della loro lettura. La lettura di un libro quindi non dipendeva soltanto dalle capacità individuali, ma veniva fortemente condizionata anche dall’esterno.
Anche se profondamente diversi a livello metodologico, due contributi di questo numero affrontano la questione della diffusione del libro nel Settecento e delle modalità di accesso alla lettura.17 Liliana de Venuto esamina il panorama di editori, tipografi, biblioteche pubbliche e private in Trentino, concentrandosi in primo luogo sulle città di Trento e Rovereto e secondariamente sulla Val d’Adige e la Val Lagarina. Anche in quest’area si registra quella “rivoluzione della lettura”18 diffusamente diagnosticata nell’Europa settecentesca. In particolare, la sete di lettura dell’élite (funzionariale) aristocratica e borghese (promossa dalle misure governative di spirito “illuminato”) si diffuse e si “professionalizzò” sempre più, portando a un netto aumento in regione della produzione e del commercio di libri. Ciò comportò anche un incremento significativo del numero di biblioteche e una diversificazione della loro tipologia. Accanto alle tradizionali collezioni librarie di personalità e istituzioni ecclesiastiche, alle biblioteche specialistiche di singoli individui, relative a settori professionali come il diritto, la medicina o la farmacia, si sviluppò un numero crescente di collezioni sulla base di finalità di studio o di intrattenimento più generali. Particolarmente significativa è l’attività dei membri dell’Accademia degli Agiati, fondata a Rovereto a metà del Settecento. Sia la biblioteca dell’Accademia che le collezioni dei singoli membri raggiungevano dimensioni considerevoli. L’indagine dell’autrice consente di gettare uno sguardo sulla “Repubblica delle Lettere” settecentesca e insieme di aprire una particolare prospettiva sui profondi cambiamenti a livello di storia dell’amministrazione e della politica.
Con diversa prospettiva il contributo di Michael Span si occupa del possesso di libri riferendo i risultati del progetto di ricerca Reading in the Alps. Obiettivo di questo progetto è l’indagine sulla proprietà libraria privata nelle regioni alpine cattoliche nel Settecento. La base dei risultati presentati in questo numero è l’analisi microstorica degli inventari (prevalentemente di beni ereditari) del Giudizio (Landgericht) di St. Michaelsburg in Val Pusteria, nei pressi della città di Brunico. Partendo dalla quota di inventari che menzionano la proprietà di libri, la raccolta di un’intera serie di specifici dati personali (nomi, rapporti familiari e parentali, professioni, luogo di residenza e valore dei beni) rende possibili ulteriori differenziazioni. Il risultato è un tassello di quella “ricerca di base” che Roger Chartier indicava come “necessaria” per la storia del libro e dei lettori19 e alla quale potranno far ricorso successivi, ulteriori studi. Già nel materiale qui presentato, articolato lungo diversi parametri (genere, gruppo professionale e soprattutto indicatori socioeconomici) si possono intravedere alcune tendenze nella distribuzione della proprietà libraria. Inoltre, sebbene le informazioni bibliografiche negli