Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro. Giovanni Pascoli. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Giovanni Pascoli
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066070403
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Dante continua:[89]

      Non era lunga ancor la nostra via

       di qua dal sonno...

      Di qua dal sonno? Già: sonno e non sommo lessero gl'interpreti antichi e dànno moltissimi codici. E lessero e dànno bene; e questa paroletta somno o sonno invece di sommo deve essere una delle più certe per sceverare i migliori codici danteschi dai peggiori. Sì: dal sonno! Come Dante ha intraveduta la selva oscura nel limbo dei non battezzati, la selva della servitù nel tempo stesso che Virgilio parlava di liberazione; così qui ricorda il sonno col quale cominciò la sua notte di servitù e di tenebre. Nel limbo, la prudenza non era stata infusa col battesimo; nella selva, la prudenza infusa col battesimo, non raggiando nell'atto, giaceva sonnolenta nell'oscurità dell'abito. Si tratta di quasi medesimo effetto scendente da quasi medesima causa: difetto di prudenza per via del peccato originale non deterso o come se deterso non fosse.

       Perchè, come il poeta fa dire a Beatrice,[90]

      ben fiorisce negli uomini il volere;

       ma la pioggia continua converte

       in bozzacchioni le susine vere:

      il che non altro significa, se non che libera è bensì la volontà per opera della redenzione; che il fiore c'è bensì, ma non lega, e cade senza dar frutto, come se mai non sia stato.

       Indice

      Dante entrò nella selva, secondo esso dice nella Comedia, tosto che Beatrice mutò vita. Ci si ritrovò,

      nel mezzo del cammin di nostra vita,

      dieci anni dopo. La sua sete fu decenne. Dieci anni egli cercò Beatrice dove non era. Questi anni sono una sola notte per lui, cominciata col sonno e finita col risveglio. Tuttavia, da un luogo dell'Inferno e da un altro del Purgatorio, si rileverebbe che la notte che passò con tanta pietà, fosse una delle notti nostre, da un tramonto a un'alba. Dante dice a Forese:[91]

      Di quella vita mi volse costui

       che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda

       vi si mostrò la suora di colui

      (e il sol mostrai)...

      E Virgilio in Malebolge dice al discepolo:[92]

      E già iernotte fu la luna tonda:

       ben ten dee ricordar, chè non ti nocque

       alcuna volta per la selva fonda.

      Dobbiamo credere che Dante imaginasse una notte decenne illuminata dal plenilunio? Dobbiamo affermare che egli chiami notte tutto il tempo passato nella selva, perchè v'entrò col sonno e vi errò nell'oscurità; e che poi ragioni dell'ultima notte che vi passò, e dica che quest'ultima era illuminata dal plenilunio; sì che egli potè ritrovarsi, nella selva?

      Nè l'una nè l'altra cosa dobbiamo credere. Credere dobbiamo questo: lo smarrimento e l'errore è nel poema stesso spiegato da Beatrice, qual fosse. E Beatrice e Dante dicono che fu di dieci anni.[93] Or quando il poeta afferma, che fu come una notte sola, parla in modo diverso da quando ode parlare Virgilio e da quando esso parla a Forese di luna tonda. Prima parla per metafora, poi parla propriamente.

      Il suo incontrarsi con Virgilio, dopo uscito dalla selva, è sì imaginario, ma narrato per vero. Non è invece narrato per vero che si smarrì pien di sonno e che assonnato visse una notte nell'errore; poichè questo corrisponde alle parole di Beatrice e sue, che dicono che il sonno cominciò dalla morte di Beatrice e durò per una notte di dieci anni. Ma il fatto è che il poeta poi traduce il suo linguaggio figurato in vero, e della notte metaforica fa una notte reale. E questa notte ha la luna piena. E la luna piena alcuna volta riluceva tra i folti sterpi della selva fonda, senza però che la selva stessa cessasse nella sua generalità di essere oscura.

      Nè fu l'alba del giorno che condusse fuori l'errante. Egli era già fuori della bassura o, diremo, della profondità della selva, quando si trovò al piè d'un colle, e guardando in alto, vide di quello le parti alte illuminate dai primi raggi del sole. A uscire dalla profondità della selva gli giovò la luna:

      non ti nocque

       alcuna volta per la selva fonda.

      Ora che simboleggia questa luna? questa luna piena? Dante mette altrove in relazione la luna che riguarda il fratel suo per diametro, con la serenità mattutina. “Simile„ dice[94] “a Feba che contempla il fratello diametralmente dal purpureo della mattutina serenità„. Anche parlando a Forese, ricorda che la luna è la suora del sole, e la dice tonda; e a quel plenilunio successe un mattino sereno. E se Feba esprime là qualche cosa di perfetto, esprimerà anche qua una perfezione di splendore. Or vediamo in un altro luogo del medesimo trattato qual sia il significato mistico della luna rispetto al sole: ella, nel pensier di Dante, “a meglio e più virtuosamente operare riceve dal sole, che ha luce sovrabbondante, la luce di grazia„.[95] Nella selva fonda, poichè ell'era piena e contemplava per diametro il fratello, questa luce di grazia la luna riceveva come in nessun'altra fase. Or non è questa luce di grazia che trasse Dante dal profondo della valle e lo condusse al piè d'un colle, dove si vedevano i primi raggi del mattino?

      E i teologi parlano di “lume di grazia„ che scende da Dio “giustificante„.[96] E che è la giustificazione? È un moto per il quale l'anima è mossa da Dio e portata dallo stato di peccato allo stato di giustizia; consiste nell'infusione della grazia, ed è chiamata da giustizia piuttosto che da fede o carità, perchè giustizia importa generalmente la rettitudine di tutto l'essere umano a Dio.[97]

      Or questo lume di grazia come non è appunto il lume al bene ed a malizia, la prudenza infusa, che ci mostra ciò che è da fuggire e ciò che è da seguire, e che vien da Dio? Per essa, Dante ridivenne prudente, cioè porro videns, nella selva: non gli nocque.

      Or questa interpretazione è confermata da quel luogo, imperfettamente inteso, del Paradiso, di cui più su riportai il principio. Quel luogo è come la sintesi del poema sacro. Dice:

      Ben fiorisce negli uomini il volere;

       ma la pioggia continua converte

       in bozzacchioni le susine vere.

      Fede ed innocenzia son reperte

       solo nei parvoletti; poi ciascuna

       pria fugge che le guance sien coperte.

       Tale balbuziendo ancor, digiuna,

       che poi divora, con la lingua sciolta,

       qualunque cibo per qualunque luna;

      e tal, balbuziendo, ama ed ascolta

       la madre sua, che, con loquela intera,

       disira poi di vederla sepolta.

      Così si fa la pelle bianca, nera,

       nel primo aspetto, della bella figlia

       di quei ch'apporta mane e lascia sera.

      Tu, perchè non ti facci maraviglia,

       pensa che in terra non è chi governi,

       onde si svia l'umana famiglia.

      Noi dobbiamo intendere: La redenzione ha bensì liberato il volere umano; ma è come libero non fosse: il fiore non lega e cade prima di divenir frutto. Subito dopo la puerizia, il volere ridiventa servo. L'adolescenza non ubbidisce più. Il lume di grazia si oscura subito. E, non essendoci chi governi e insegni la strada, la umana famiglia svia. Così presso a poco Marco Lombardo.[98] Anch'esso parla del libero volere, anch'esso del difetto di prudenza che è nell'adolescente, anch'esso della necessità conseguente di chi governi; anch'esso del mondo presente che disvia, come Beatrice conclude con lo sviare dell'umana famiglia.

      Ora io dico che nelle parole di Beatrice lo oscuro terzetto, Così si fa la pelle, si riferisce, come già vide il Buti, alla luna, e al lume di grazia, e alla prudenza.[99]