Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro. Giovanni Pascoli. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Giovanni Pascoli
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066070403
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e passa;

      e Dante riconosce sì tra loro alcuno, e vede e conosce[127]

      l'ombra di colui,

       che fece per viltate il gran rifiuto,

      pure il nome non mette e di quelli e di questo nell'eterne sue pagine; nel limbo, al contrario, Virgilio a lungo ragiona e nomina sì quelli che furono salvati, sì quelli che restano sospesi; e Dante ricorda tanti spiriti magni, eroi e filosofi, e se si limita, dice anche perchè:

      sì mi caccia il lungo tema,

       che molte volte al fatto il dir vien meno.[128]

      E Dante, in un'altra occasione, riprende il novero, e altri fa nominare ed esaltare.[129] In nessuna altra contrada del suo oltremondo, nemmeno nel Paradiso, Dante ha tanti nomi quanti del limbo. Pur grande è il suo studio di farci pensare questo limbo in relazione del vestibolo, e non in sola relazione di contrasto. Quelli del nobile castello hanno bensì[130]

      onrata nominanza

       che di lor suona,

      e sono onrevol gente e sono spiriti magni; mentre di quelli del vestibolo[131]

      fama... il mondo esser non lassa;

       ma come assomiglia questa espressione[132]

      incontanente intesi e certo fui

       che quest'era la setta dei cattivi,

      a quest'altra,[133]

      gran duol mi prese al cor quando lo intesi,

       però che gente di molto valore

       conobbi che in quel limbo eran sospesi;

      e la conoscenza non è, qui, seguita da alcun nome, come n'è l'altra:[134]

      poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,

       vidi e conobbi l'ombra di colui

       che fece per viltate il gran rifiuto.

      C'è, mi pare, un grande studio per far vedere che sono simili e dissimili nel tempo stesso; e quanto simili e quanto dissimili! Simili: quelli sono un turbine di rena, questi una selva[135]. Simili: quelli sono nel vestibolo perchè visser senza infamia e senza lodo; questi sono nel limbo, non per fare, ma per non fare[136]. Simili: quelli sono sdegnati dalla misericordia e dalla giustizia; e questi hanno sì mercedi, ma non basta, per ottener la misericordia; e non peccarono, perciò la giustizia non aggiunge martirii al loro duolo;[137] e hanno gli uni e gli altri un eterno desiderio, che invidia è chiamato negli sciaurati, e disio nei sospesi, ma un desiderio senza speranza;[138] e gli uni e gli altri vivono nell'oscurità; la quale pure non si direbbe intiera e perfetta per nessuni dei due; chè nel vestibolo è, fioco sì, ma lume, e nel limbo è un fuoco....

      E con tutte queste somiglianze, c'è tra gli uni e gli altri la differenza e il contrasto che è tra un parvolo innocente e un vile; e quella e quello che è tra Enea e colui che fece il gran rifiuto, tra il primo degli eroi e l'ultimo degli sciagurati.

       Indice

      Le anime triste de' nè infami nè lodevoli sono mischiate agli angeli,[139]

      che non furon ribelli,

       nè fur fedeli a Dio, ma per sè foro.

      Il fatto di questi angeli neutrali ci dice esattamente la condizione degli sciaurati tutti quanti. È dottrina teologica che gli angeli, appena creati, doverono prorompere in un atto di libero arbitrio; chè in libertà di volere erano creati, e potevano scegliere tra il bene e il male. Ma l'atto in cui prorompevano, era di questa loro libertà la manifestazione sola ed unica; perchè poi dovevano aderire immobilmente e per sempre al bene o al male che avessero scelto. Chi scelse il male fu per sempre malo, e chi scelse il bene fu per sempre buono: diavolo quello, angelo questo. Nell'Apocalissi di Giovanni è parola di angelo nè caldo nè freddo[140]. È probabile che di lì traesse Dante l'idea di codesti angeli, che nell'Apocalissi è congiunta all'idea di miseria e cecità e nudità; come Dante fece sì vinta nel dolore la sua gente, e le disse anime triste, e rappresentò quegli sciaurati o miserabili come ignudi e vivi di una vita cieca. Or codesti angeli, in quell'unico atto di libero volere, non proruppero; e mentre Lucifero scendeva folgoreggiando dal cielo con gli altri angeli ribelli, e mentre gli angeli fedeli a Dio cominciarono le ruote eterne, essi vennero qua ad aggirarsi perpetuamente come turbine di rena. Dio non li volle, e Lucifero li respinse. A lor somiglianza, gli altri sciaurati, del dono maggiore che Dio ha fatto agli uomini, non fecero uso alcuno. Nessun atto fecero essi di libero arbitrio. Il che Dante esprime, come, degli angeli, dicendo che non furono nè ribelli nè fedeli, così degli altri, dicendo che vissero senza infamia e senza lodo.

      Questi miseri e miserabili, ignudi e ciechi, formano una setta; la setta dei neutrali, la setta di quelli che non seguirono alcuna setta; e corrono, in lunga tratta, dietro un'insegna, essi che mai insegne non riconobbero. Quest'insegna, senza signifero, qual'è?

      Nel paradiso è “un venerabil segno„ cui quelli che seguirono militando sino al martirio, formano di lor luce, come stelle una nebulosa. E

      di corno in corno, e tra la cima e il basso,

       si movean

       questi spiriti beati, che furono santamente attivi. La croce immobile è costituita di raggi mobilissimi, che scintillano

      nel congiungersi insieme e nel trapasso.

      Un d'essi raggi dal destro braccio scende a Dante, come una stella cadente per un cielo sereno. Questo “venerabil segno„ è la croce, ed è il simile e opposto dell'insegna di costaggiù. Come? Quella è immobile ed è premio di mobilissimi; cotesta è

      d'ogni posa... indegna,

      e corre tanto ratta, ed è castigo di quelli che non si mossero mai nella loro vita: quella premio di quelli che seguirono Cristo sino alla morte, con la loro croce indosso; cotesta, pena di quelli che non furono nè ribelli nè fedeli, di quelli che vissero senza infamia e senza lodo, di quelli che non ebbero setta, e sono spiacenti a Dio e al diavolo.

      E c'è di più. L'insegna pareva a Dante indegna d'ogni posa. Che vuol dire? Non vuol dire soltanto che non posava mai, ma che non poteva o doveva posare. Ora il concetto di Dante in quella figurazione del Paradiso è che si deve seguir Cristo, senza posar mai, sino a spargere il sangue per lui come esso lo sparse per noi, sino alla morte! Quel segno venerabile non vuole che chi lo prende o lo segue, si fermi mai! Quel segno è, in verità, indegno di ogni posa! E in verità è figurato come continuamente mobile nella sua immobilità, per il trascorrere e lo scintillare degli astri che la compongono. È immobile perchè premio eterno, è mobile perchè premio di chi non posò mai seguendolo.[141]

      Or dunque s'ha a credere che la croce sia l'insegna ratta, cui seguono gli sciaurati lamentando e ansimando? Par certo. Un altro segno è lì presso, della redenzione: la porta senza serrame. Ma qui dobbiamo fissarci in questo pensiero: dagli angeli in fuori, quegli sciaurati non erano essi battezzati? Sì: perchè altrimenti essi passerebbero l'Acheronte e starebbero nel vero inferno. E poi essi sono là a somiglianza degli angeli. Gli angeli nè ribelli nè fedeli, il libero arbitrio l'avevano: anche dunque i vissuti senz'infamia e senza lodo. Soltanto, nè gli uni nè gli altri ne usarono. Dunque erano stati redenti, gli sciaurati, come gli angeli erano stati creati in grazia. Qual insegna poteva dunque essere a loro attribuita, come per espiazione, meglio della croce? qual vista più poteva eccitare il loro eterno rammarico?

      Angeli invano! Cristiani invano!

       Indice

      Quelli del limbo sono più e sono meno puniti degli sciaurati; più, perchè oltre Acheronte e dentro l'inferno; meno, perchè il loro duolo è senza martirii. E sono puniti anch'essi per un difetto, non per un rio; per non aver