Ben Hur: Una storia di Cristo. Lew Wallace. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Lew Wallace
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066068844
Скачать книгу
labbro superiore sporgente leggermente sopra l'inferiore, curvandosi agli angoli come l'arco di Cupido: fattezze che aggiunte, alla rotondità del mento, agli occhi grandi, al puro ovale delle guancie soffuse di rosso, davano al suo volto tutta la dolcezza, la forza e la venustà proprie alla sua razza.

      La bellezza del Romano era castigata e severa, quella dell'Ebreo ricca e voluttuosa.

      — «Non dicevi che il nuovo Procuratore doveva arrivare domani?» —

      La domanda proveniva dal minore degli amici ed era formulata in greco, a quel tempo linguaggio dominante nella buona società della Giudea. Era passato dal palazzo all'accampamento e nella scuola, e di là, nessuno seppe bene, come e quando, nel Tempio medesimo, nei sacri corridoi e nei chiostri del Tempio.

      — «Sì, domani» — rispose Messala.

      — «Chi te lo ha detto?» —

      — «Ho inteso Ismaele, il nuovo governatore del Palazzo — voi lo chiamate Primo Sacerdote — che ne parlava a mio padre jeri sera. Certo la notizia sarebbe stata più attendibile se fosse venuta da un Egiziano, la cui razza ha dimenticato ciò che sia la verità, o anche da un Idumeo, il cui popolo non ha mai saputo ciò che la verità fosse; ma per essere proprio certo, ho veduto un centurione della Torre stamane, e mi disse che stavano facendo preparativi per il suo ricevimento; che gli armajuoli stavano forbendo gli elmi, gli scudi, e indorando le aquile e le sfere; che gli appartamenti, da lungo tempo disabitati, venivano spolverati ed arieggiati come per un aumento della guarnigione — la guardia del corpo, probabilmente, del grande uomo.» —

      È impossibile di rendere perfettamente il modo con cui questa risposta fu data, perchè i punti più notevoli e più caratteristici sfuggono costantemente al potere della penna. La fantasia del lettore dovrà venire in suo aiuto; e a questo fine dobbiamo ricordare che la riverenza era una qualità che tramontava rapidamente nel mondo romano, o meglio che andava giù di moda. La vecchia religione aveva quasi cessato di essere una fede; tutt'al più era una semplice veste, o un'espressione del pensiero, protetta principalmente dai sacerdoti che trovavano il loro tornaconto nei servizi del Tempio, e dai poeti, che, nei loro versi, non potevano far senza le loro divinità famigliari: vi sono cantori in questa età che loro assomigliano. Come la filosofia prendeva il posto della religione, la ironia sostituiva rapidamente la riverenza, tantochè, nell'opinione dei Latini, essa era, in ogni discorso, anche nelle piccole diatribe famigliari, ciò che è il sale per le vivande, l'aroma pel vino.

      Il giovane Messala, educato in Roma, e tornato da poco, aveva acquistato queste abitudini e questi modi: il movimento quasi impercettibile della palpebra inferiore, lo sdegnoso arricciar delle labbra, la languida pronuncia affettata come il miglior modo per esprimere l'idea di una generale indifferenza, ma più ancora per le occasioni che porgeva per certe pause rettoriche, si stimavano di prima importanza, affinchè l'ascoltatore afferrasse bene il concetto e gustasse appieno il frizzo di un epigramma. Una tale pausa avvenne nella risposta testè riferita alla fine dell'allusione all'Egiziano e all'Idumeo.

      Il rosso sulle guancie del giovanetto Ebreo si fece più scuro, ed egli non rispose, guardando distrattamente nella profondità dello stagno.

      — «Noi ci dicemmo addio in questo giardino». — «La pace del Signore sia con te!» — furono le ultime tue parole. — «Gli Dei ti salvino!» — dissi io. — «Ti ricordi? quanti anni sono trascorsi da quel tempo?» —

      — «Cinque» — rispose l'altro, fissando l'acqua.

      — «Ebbene, tu hai ragione di essere riconoscente verso — chi dovrei dire? — gli Dei? Non importa chi. — Tu sei cresciuto assai bene; i Greci ti chiamerebbero bellissimo — felice creazione degli anni! Se Giove si accontentasse di un solo Ganimede, quale coppiere saresti per l'imperatore!» —

      — «Dimmi o mio Giuda, perchè ti interessa tanto la venuta del Procuratore?» —

      Giuda fissò gli occhi sopra il suo interlocutore collo sguardo grave, pensieroso, penetrante in quello del Romano, mentre rispose: — «Sì, cinque anni. Io ricordo la tua partenza; tu andavi a Roma; io ti vidi partire e piansi, perchè ti amavo. Gli anni sono passati, e tu ritorni a me come un principe — non lo dico per celia; e pure — pure — io desidererei che tu fossi il Messala di quando partisti!» —

      Le narici del Romano si contrassero in un movimento ironico, e più affettata del solito suonò la sua voce, quando rispose:

      — «Non un Ganimede, ma un oracolo o mio Giuda. Qualche lezione dal mio maestro di rettorica presso il Foro — io ti darò una lettera per lui, quando nella tua saggezza ti piegherai a seguire i miei consigli — un po' di pratica nell'arte del mistero, e Delfo ti accoglierà come Apollo medesimo. Al suono della tua voce solenne, la Pizia scenderà dal suo tripode. Seriamente, o mio amico, in che cosa differisco dal Messala che partì? Io intesi discutere una volta il più grande logico della terra. Il tema della sua dissertazione era la disputa. Ricordo un suo detto: «Comprendi bene il tuo avversario prima di rispondergli.» — E, francamente, non ti comprendo.» —

      Il giovane arrossì sotto lo sguardo cinico dell'altro; ma rispose con fermezza: «Tu hai approfittato delle occasioni che ti furono offerte, vedo; dalle tue scuole hai riportato molta sapienza e molte grazie. Tu parli con la scioltezza di un maestro, ma il tuo dire punge. Il mio Messala, quando mi abbandonò, non aveva veleno nella sua natura; per tutto l'oro del mondo non avrebbe voluto offendere la sensibilità di un amico.» —

      Il Romano sorrise, come se avesse inteso un complimento, e rialzò ancora più fieramente la bella testa patrizia.

      — «O mio austero Giuda, non siamo a Dodona o a Pito. Abbandona quel tuo fare da oracolo e discendi a spiegazioni terrene. In che ti ho offeso?» —

      L'altro respirò a lungo, e giuocherellando con la corda che gli stringeva la vita: — «In questi anni anch'io appresi qualche cosa. Hillele non sarà pari al filosofo che tu ascoltasti, e Simeone e Sciamma sono, senza dubbio, inferiori al tuo maestro presso il Foro. La loro sapienza non batte strade vietate; quelli che seggono ai loro piedi si alzano ricchi soltanto della scienza di Dio, della Legge e di Israele, imbevuti di amore e di rispetto per tutto ciò che a quelli si riferisce.

      Frequentando il Grande Collegio e meditando su quanto vi ascoltai, ho appreso che la Giudea d'oggi non è più quella d'una volta. Io apprezzo la differenza che corre fra un regno indipendente e una piccola provincia soggetta. Sarei più vile, più abbietto di un Samaritano, se non risentissi umiliazione pel mio paese. Ismaele non è il legittimo Sacerdote, e non lo potrà mai essere, vivo l'illustre Hannas. Eppure egli è un Levita, uno di quei devoti che per migliaia d'anni hanno servito il Signore Iddio e la nostra religione. La sua....» —

      Messala lo interruppe con un riso mordace.

      — «Ora ti comprendo! Ismaele, tu dici, è un usurpatore. Ciò non di meno ti fa male che si possa prestar fede ad un Idumeo piuttosto che a lui. È questo che ti ha punto! Per l'ebbro figlio di Semele, che cosa significa esser Ebreo! Cambiano gli uomini e le cose, il cielo stesso e la terra; ma un Ebreo mai. Per lui non vi ha passato o futuro; egli è oggi ciò che i suoi avi furono prima di lui. Guarda! su questa sabbia io descrivo un cerchio. Ora dimmi che altro è la vita di un Ebreo? Gira e rigira, qui Abramo, là Isacco, Giacobbe; Dio nel mezzo. Per il Tonante, il cerchio è troppo grande. Lo rifaccio....» —

      Si arrestò, puntò il pollice per terra e descrisse con le dita un cerchio intorno ad esso.

      — «Vedi, questa impronta del pollice è il Tempio, la linea formata dalle dita la Giudea. All'infuori di questo spazio non esiste nulla di buono! Le arti? Erode fu costruttore di palazzi, quindi è maledetto. La pittura, la scoltura Guardarle è un peccato. La poesia l'avete inchiodata sugli altari. In guerra tutto ciò che conquistate in sei giorni lo perdete nel settimo. Questa è la vostra vita e la vostra mèta. E non vuoi che rida? contento dell'adorazione di un tal popolo, che cosa è mai il vostro Dio a petto del nostro Giove romano, che ci presta le sue aquile perchè le nostre armi conquistino l'universo? Hillele, Simeone, Sciammai, Abtalione, che valgono essi di fronte a quei maestri che insegnano che tutto ciò che si può apprendere è