I più timidi fra gli ammiratori, caddero in ginocchio e pregarono, coi loro visi nascosti; i più arditi, coprendosi gli occhi, s'appiattarono, ed ogni tanto gettavano paurosamente delle occhiate furtive. Dopo un po', il Khan, tutto all'intorno, era rischiarato da una luce insopportabile pel suo vivo bagliore.
Quelli che si azzardarono a guardare, videro la stella ancora ferma sopra la casa, di fronte alla caverna dove era nato il Bambino.
Nel bel mezzo di questa scena, vennero i tre Re Magi, ed alla porta smontarono dei loro cammelli, e chiesero di entrare. Appena il guardiano ebbe potuto frenare il suo terrore per badare a loro, levò la stanga ed aprì la porta. I cammelli sembravano spettri, alla luce soprannaturale, e, oltre all'aspetto fantastico, v'erano nei visi e nei modi dei tre visitatori una veemenza ed una esaltazione che eccitarono ancor più i timori del guardiano; egli per un po' non potè rispondere alla domanda che gli venne fatta:
— «Non è questa Betlemme della Giudea?» —
Ma nel frattempo altri vennero, e diedero in vece sua la risposta.
— «No, questo non è che il Khan; la città si trova più in là.» —
— «Non v'è qui un bambino appena nato?» —
Gli astanti si guardarono reciprocamente meravigliandosi, mentre alcuni di essi risposero: — «Sì, sì.» —
— «Mostratecelo!» — disse il Greco impazientemente.
— «Mostratecelo!» — gridò Balthasar, interrompendo la sua gravità; — «poichè noi abbiamo veduto la sua stella, quella che voi ammirate laggiù sopra alla casa, e siamo venuti per adorarlo.» —
L'Indiano giunse le mani, esclamando: — «Iddio realmente esiste! Fate presto, fate presto! Il Salvatore è trovato. Benedetti, benedetti siamo noi sopra tutti gli uomini!» —
La gente venne giù dal tetto, e seguì i forestieri, mentre essi furono condotti, attraverso la corte, nel recinto; alla vista della stella ancora sopra la caverna, benchè meno incandescente di prima, alcuni si volsero spaventati; la maggior parte però li seguì. Mentre i forestieri si avvicinavano alla casa, la stella si alzò; quando furono alla porta, essa andava dileguandosi in alto; quando entrarono era sparita. E nei testimoni di ciò che allora accadde, entrò la convinzione che una divina relazione passasse fra la stella e gli stranieri.
Quando la porta si aprì tutti affollarono la caverna.
La stanza era illuminata da una lanterna, abbastanza luminosa per porre in grado i forestieri di trovare la madre, ed il bambino, sveglio sulle sue ginocchia.
— «È tuo il bambino?» — domandò Balthasar a Maria.
Essa rispose:
— «Egli è mio figlio!» —
Ed essi caddero in ginocchio e l'adorarono.
Era un bambino come gli altri bambini: sulla sua testa non v'era nè un'aureola nè una corona; le sue labbra si aprivano, ma non per parlare; se udiva le loro espressioni di gioia, le loro invocazioni, le loro preghiere, non faceva segni di sorta. Il bambino guardava più alla fiamma della lanterna che a loro.
Dopo un po' essi si alzarono, e, ritornando ai cammelli, tolsero dalle selle regali di oro, d'incenso e di mirra, che posero davanti al bambino, riverenti.
Essi lo adoravano senza esitare.
Perchè?
La loro fede si basava sui segni mandati da Colui, che, d'allora in poi, si rivelò come nostro Padre; e, per essi, la sua promessa bastava.
Pochi v'erano che videro i segni e li compresero — a Madre e Giuseppe, i pastori ed i Re; pure tutti credettero ugualmente, che cioè, Iddio per ora era tutto, ed il Bambino nulla. Ma verrà un tempo che tutto dipenderà dal Figlio.
Felici coloro che crederanno in Lui!...
Fine del libro primo.
LIBRO SECONDO
Arde una fiamma in cor, che non si appaga
Dell'angusta prigion, ma inquieta aspira
A volar oltre i consueti fini
Del desiderio, ed una volta accesa,
Eternamente, inestinguibil, brucia,
E l'uom sospinge ad avventate eccelse,
Nè mai si stanca tranne di quïete.
Pellegrinaggio di Aroldo.
CAPITOLO I.
È necessario che il lettore si porti innanzi venticinque anni, al principio dell'amministrazione di Valerio Grato, quarto governatore imperiale della Giudea. — Un periodo notevole per le agitazioni politiche che angustiarono Gerusalemme, prodromi del conflitto finale fra i Romani e gli Ebrei.
Nell'intervallo erano avvenuti parecchi cambiamenti, specie d'ordine politico. Erode il grande era morto un anno dopo la nascita del Bambino e morto così miseramente da giustificare l'opinione che correva nel mondo cristiano, che egli fosse cioè stato colpito dall'ira divina. Come tutti i grandi reggitori di popoli che dedicano tutta la loro vita a rafforzare la potenza che hanno creato, egli aveva sognato di tramandare il trono e la corona, di diventare il fondatore di una dinastia. Con questo intento, nel suo testamento, spartì le terre fra i suoi tre figli Antipate, Filippo ed Archelao, e, a quest'ultimo, diede la dignità regia. Il testamento fu necessariamente sottoposto ad Augusto imperatore, il quale ne ratificò tutte le disposizioni, tranne una sola: rifiutò ad Archelao il titolo di Re finchè non avesse dato prova di capacità e fedeltà.
Lo creò invece Etnarca, e come tale lo lasciò governare nove anni, a capo dei quali, essendosi egli dimostrato impari all'alto ufficio e inabile a frenare gli elementi turbolenti che si agitavano intorno a lui, lo mandò in esilio nelle Gallie.
Cesare non si accontentò di deporre Archelao. Colpì il popolo di Gerusalemme in un modo che ferì nel vivo l'orgoglio dei superbi custodi del Tempio. Ridusse la Giudea in provincia Romana e la aggiunse alla prefettura di Siria.
Di modo che, in vece di un principe governante regalmente nel palazzo che Erode aveva costruito sul monte Sion, la città cadde nelle mani di un ufficiale subordinato, di un impiegato chiamato Procuratore, il quale comunicava con la corte di Roma per via del Legato di Siria, residente in Antiochia. — Per rendere più dolorosa la ferita, al Procuratore non fu permesso di stabilirsi a Gerusalemme; questo onore fu invece concesso a Cesarea. Ma la maggior umiliazione di tutte, la più irritante, la più voluta, fu l'annessione della Samaria, — la disprezzata Samaria, unita alla Giudea come parte della stessa provincia! Quale dolore per i bigotti separatisti o Farisei il vedersi sospinti e derisi alla presenza del Procuratore in Cesarea, dai devoti di Gerizim!
Fra tante lagrime una consolazione sola rimaneva al popolo caduto: Il Pontefice occupava il palazzo di Erode sulla Piazza del Mercato e vi teneva la sembianza d'una corte. Quale fosse in realtà la sua autorità si può facilmente comprendere.
Il Procuratore si riserbava il diritto di vita e di morte. La giustizia era amministrata in suo nome