— «Gli Dei ne sfuggono!» — riprese la madre. — «Più d'un Romano ha accettato l'adorazione dei suoi simili come un suo diritto divino.» —
— «Messala ha sempre avute le sue qualità cattive. Quando era bambino io l'ho visto schernire stranieri che persino Erode riceveva con onori: ma almeno risparmiava la Giudea. Per la prima volta, quest'oggi, scherzò sui nostri costumi e su Dio. Come tu mi avresti imposto, io mi sono separato per sempre da lui. Ed ora, o mia cara madre, io vorrei sapere con maggiore certezza se vi è qualche giusto fondamento nel disprezzo del Romano. In che sono io il suo inferiore? Siamo forse un popolo più vile? Perchè dovrei io, anche al cospetto di Cesare, provare la paura dello schiavo? Dimmi specialmente perchè, se io ho un'anima, e così credo, non posso andare alla conquista degli onori di questo mondo ovunque essi siano? Perchè non posso brandire la spada e combattere in guerra? Poeta, perchè non potrò cantare tutti i temi? Io potrò lavorare il metallo, potrò essere guardiano di armenti, mercante, e perchè non anche artista come i Greci? Dimmi, o mia madre, e questo è il riassunto dei miei dolori, — perchè non potrà un figlio di Israele fare tutto ciò che può un Romano?» —
Il lettore rintraccierà l'origine di queste domande al colloquio sulla Piazza del Mercato; la madre, ascoltandolo con l'attenzione di tutte le sue facoltà, da indizî che sarebbero sfuggiti ad un uditore più indifferente, dalle connessioni del soggetto, dallo scopo delle domande, forse dall'accento stesso e dal tono della sua voce, non fu meno rapida nel balzare alla medesima illazione. Essa si alzò diritta e con voce rapida e penetrante come quella del figlio, rispose:
— «Vedo, vedo! — Per le amicizie della sua infanzia Messala era quasi un Ebreo; se fosse rimasto fra noi si sarebbe, forse, convertito, tanto possono, su di noi, le influenze che maturan la nostra vita. Ma gli anni passati in Roma hanno prevalso. Io non mi meraviglio del mutamento: pure, — la sua voce si abbassò — avrebbe potuto trattare più benignamente almeno te. È un indole dura e crudele quella che può dimenticare i primi affetti di gioventù!» —
Con la mano gli sfiorò leggermente la fronte, le dita si impigliarono nei capelli di lui, e indugiarono amorevolmente in essi, mentre gli occhi fissavano le stelle più alte e più splendenti. Fra il suo orgoglio e quello del figlio passava una corrente di perfetta simpatia. Voleva rispondergli; nello stesso tempo non avrebbe voluto per nulla al mondo che la risposta non lo accontentasse, nè fargli una confessione di inferiorità che avrebbe potuto fiaccare il suo spirito per tutta la vita. Esitò, temendo di affidarsi alle proprie forze.
— «Ciò che tu proponi, o mio Giuda, non è argomento che possa esser trattato degnamente da una donna. Lascia che sospendiamo il discorso sino a domani, e ci consiglieremo col saggio Simeone....» —
— «Non mandarmi dal Rabbino,» — egli disse seccamente.
— «Lo farò venire da noi.» —
— «No, io cerco qualche cosa di più di una semplice informazione. Egli potrebbe darmela forse meglio di te, o madre, ma tu puoi darmi ciò che egli non può — la risolutezza che è l'anima della nostra anima.» —
Mentre i suoi occhi vagavano pel firmamento, ella cercò di comprendere tutto il significato di quelle domande.
— «Abbi coraggio, o mio figlio. Messala discende da una stirpe illustre. La sua famiglia si distinse attraverso a molte generazioni. Nei giorni della Roma repubblicana — quanti anni fa non so — i suoi antenati erano famosi per virtù civili e militari.
Io mi ricordo di un solo console di quel nome; ma la sua famiglia era fra quelle dei senatori e la protezione ne era ricercata come quella di uomini influenti e ricchi. Ma se oggi il tuo amico si vantò dei suoi avi, avresti potuto ridurlo al silenzio enumerando i tuoi. Se egli parlò delle età attraverso le quali si possono seguire il suo lignaggio, le gesta, la potenza, la ricchezza, della sua famiglia, — e queste allusioni, tranne nel caso che grandi ragioni lo richieggano, sono indizî d'un'anima piccina — avresti potuto sfidarlo al paragone.» —
Dopo una breve pausa, in cui raccolse i pensieri, la madre proseguì:
— «Una delle idee prevalenti in questa età è l'importanza data alla nobiltà delle stirpi e delle famiglie. Un Romano che vanti per questo la sua superiorità sopra un figlio di Israele sarà sempre sconfitto. La sua origine data dalla fondazione di Roma; i più illustri fra di essi non possono ripeterla ad un tempo più remoto; alcuni pretendono di farlo ma non possono convalidare il loro asserto con altre prove, che col riferirsi alla tradizione. Messala in ogni modo non lo potrebbe. Veniamo a noi. Noi lo potremmo?» —
Se un poco più di luce vi fosse stata nella stanza si sarebbe visto l'orgoglio imporporare le gote della donna e scintillarle negli occhi.
— «Immaginiamo che il Romano ci sfidasse, io potrei rispondergli senza millanteria e senza paura.» —
La sua voce esitò; una mesta ricordanza mutò la forma del suo discorso.
— «Tuo padre, o mio Giuda, dorme in pace coi padri suoi; ma io mi rammento, come se fosse jeri, il giorno in cui, lui ed io, accompagnati da molti amici festanti, ci recammo al Tempio, alla presenza del Signore. Sacrificammo le colombe, e, al sacerdote, diedi il tuo nome che egli scrisse davanti a me: «Giuda, figlio di Iamar, della Casa dei Hur.» Questo nome fu poi ricopiato nel registro messo a parte per gli atti della santa famiglia.[1]
Io non so quando ebbe principio questa costumanza della registrazione. So che era già in uso prima della fuga dall'Egitto. Hillele afferma che Abramo fece fare questi annali per proprio conto col suo nome e i nomi de' suoi figli, mosso dalla promessa del Signore che separò lui e la sua stirpe da tutte le altre razze, e la creò la prima, la più grande, l'eletta della terra. Il patto con Giacobbe, diceva la stessa cosa. «Nella tua semenza tutte le nazioni del mondo saranno benedette». Così disse l'Angelo ad Abramo: «E la terra su cui giaci, io la dono a te ed alla tua semenza.» Così parlò il Signore istesso a Giacobbe addormentato a Bethel sulla strada di Haran. Più tardi uomini saggi cominciarono a pensare ad una giusta partizione della terra promessa, e, affinchè fosse conosciuto chi in quel giorno avesse diritto ad una porzione, fu iniziato il Libro delle Generazioni. — Il beneficato avrebbe potuto essere il più umile della famiglia eletta, perchè il Signore Iddio non conosce distinzioni di rango e di ricchezza. Così, affinchè la verità apparisse chiara agli uomini che dovevano esser testimoni al grande avvenimento, ed essi potessero attribuirne la gloria a chi spettava, si richiese la tenuta degli annali con scrupolosa esattezza. Furono così tenuti?» —
Il ventaglio si agitò in silenzio qualche minuto, finchè egli impazientito, ripetè la domanda della madre: — «Gli annali sono perfettamente esatti?» —
— «Hillele disse che lo sono, e di quanti si occuparono dell'argomento egli è il meglio edotto. Il nostro popolo fu spesso negligente di alcune parti della legge, ma mai di questa. Il buon Rabbino ha egli stesso studiato il Libro delle Generazioni attraverso tre periodi, dalla promessa sino all'apertura del Tempio, sino alla cattività e sino ai giorni nostri. Solo una volta furono interrotti gli annali, e questo avvenne verso la fine del secondo periodo. Ma quando la nazione ritornò dal lungo esiglio, quale primo dovere verso Dio, Zerubbabele ristaurò i Libri, permettendoci nuovamente di seguire la discendenza delle famiglie Ebree per duemil'anni. Ed ora....» —
Si arrestò un istante, come per agevolare al suo ascoltatore la comprensione di quanto aveva detto.
— «Ed ora che cosa diviene il superbo vanto del Romano? per questo paragone i figli d'Israele che vegliano sugli armenti sul monte Rephaim, laggiù, sono più nobili del più illustre dei Marcii.» —
— «Ed io, madre? che dicono i Libri di me?» —
— «Ciò che io ho detto sin'ora aveva relazione colla tua domanda. Io ti risponderò. Se Messala fosse presente, egli potrebbe dire, come altri han detto, che la traccia del tuo lignaggio si smarrisce quando gli Assiri presero Gerusalemme, e distrussero il Tempio, con tutti i suoi cimelii preziosi.