Roma, addì 27 agosto 1877
Eccellenza,
Ho fatto conoscere a S. M. che V. E. si compiacque di accettare l'incarico che le fu affidato dal Ministero di riaprire trattative presso i governi delle principali potenze al fine di far prevalere nelle rispettive legislazioni i principii liberali sanciti nel Codice Civile italiano. Profittando del viaggio all'estero dell'E. V. è desiderio dell'Augusto nostro Sovrano che l'E. V. assuma una missione speciale e confidenziale presso il governo di S. M. l'Imperatore di Germania.
Il governo germanico, or non è molto, ha interpellato il governo italiano intorno ad una più intima unione dei due Stati, ed il Ministero degli Esteri d'Italia non esitò ad esprimere la sua adesione al concetto di una unione a comune difesa. Ora S. M., pienamente d'accordo col sottoscritto, sente il bisogno di stringere in modo più intimo i rapporti amichevoli dell'Italia con la Germania e desidera che V. E. faccia conoscere a S. A. il principe di Bismarck come sarebbe conveniente di addivenire ad un accordo concreto e completo col mezzo di un trattato di alleanza che fondandosi nei comuni interessi provveda a tutte le eventualità. Gl'interessi italiani possono essere offesi non solo dalla prevalenza del partito oltramontano, ma anche dall'ingrandimento dell'Austria coll'annessione di alcune provincie ottomane, possibile conseguenza della guerra d'Oriente. È desiderabile che i due governi si mettano d'accordo anche su questo punto.
V. E. conosce pienamente i principii che informano la politica italiana sia all'interno che all'estero, e sarebbe superfluo rammentarli. La Germania e l'Italia non hanno interessi contrari, e le due nazioni devono essere ugualmente determinate a difendere l'edificio dell'unità nazionale e delle politiche e civili libertà: per l'Italia lo scopo principale è quello di preservare da ogni nemica offesa i beni inestimabili che abbiamo acquistati, e i principii sui quali è fondata la sua esistenza.
Procuri l'E. V. di esprimere e spiegare in via confidenziale i desideri di S. M. e del suo governo a S. A. il principe di Bismarck e di attestargli ad un tempo la riconoscenza nostra per la benevolenza da lui costantemente dimostrata all'Italia.
Aggradisca l'E. V. l'espressione della mia alta stima, mentre mi dichiaro di V. E.
Dev.mo Obbl.mo A. Depretis Presidente del Consiglio dei Ministri.
A S. E.
Il Sig. Comm. F. Crispi
Presidente della Camera dei Deputati
Torino.„
«Parigi, 2 settembre 1877.
Eccellenza,
Ieri fui ricevuto dal Ministro degli Affari esteri. L'ora tarda non mi permise di riferire immediatamente a V. E. la lunga nostra conversazione, la quale versò su vari argomenti riferentisi ai due paesi.
Il duca Decazes cominciò col ringraziarmi del contegno nostro in occasione della interrogazione alla Camera del deputato Savini. Risposi, che Camera e Governo nulla fecero che non fosse stato il loro dovere, non potendo certamente permettersi che alla tribuna italiana si discutessero e si criticassero le cose interne della Francia, ed espressi l'opinione ch'essi a Versailles avrebbero fatto lo stesso per noi.
S. E. venne quindi discorrendo della necessità di un accordo completo fra le due nazioni, e su questo punto parlò lungamente sforzandosi di dimostrarmi come la Francia non possa avere che sentimenti di amicizia per noi. Al di là delle Alpi — S. E. disse — è una nazione alla quale la Francia è legata da interessi economici, morali e politici, e sarebbe un vero delitto conturbare la necessaria armonia dei due popoli. Accennò intanto, come ad un elemento di possibile dissidio, all'esistenza fra noi di un partito ch'egli definì «prussiano», ma lo fece con un tal garbo da lasciare intravedere il desiderio che cotesta opinione non lasciasse una disaggradevole impressione sull'animo mio.
Alla mia volta dichiarai subito che nel nostro paese noi siamo Italiani; che tutti, senza distinzione di partito, esclusi unicamente i clericali, non abbiamo altro interesse che quello della nazione, e che sarebbe un errore il presumere che potessimo o volessimo governarci seguendo i consigli o ricevendo l'influenza di un governo straniero qualunque. In quanto alla Francia, tutto ci spinge a sentire per lei e praticare una sincera amicizia: le tradizioni di civiltà, l'educazione, gli studi, le leggi, i commerci ci uniscono alla medesima, e nulla sarà fatto da parte nostra per rompere cotesto legame onde sono naturalmente congiunte le due nazioni.
S. E. allora riprese dicendomi che non sapeva però spiegarsi lo scopo dei nostri armamenti e sopratutto delle fortificazioni di Roma state ordinate ultimamente; ritornò quindi sull'argomento delle intenzioni affatto pacifiche del suo Ministero ed affermò che in Francia nessuno dei partiti possibili al governo commetterebbe la follia di far guerra all'Italia. Sono passati i tempi — il ministro soggiunse — in cui portavamo le nostre idee con le armi negli altri paesi. Dopo i nostri disastri abbiamo appreso che sono altre le vie da prendere onde far valere nel mondo le proprie opinioni.
Su ciò sentii il bisogno di esplicare la condotta del nostro governo e dissi che quanto si fa oggi da noi non ha nulla di eccezionale. L'Italia ha bisogno di pace perchè ha bisogno di compiere le sue riforme amministrative e finanziarie, e di sviluppare e consolidare le sue istituzioni pubbliche. In quanto all'esercito noi non facciamo che trasformarne l'armamento e completarlo e ci vogliono ancora molti anni per raggiungere cotesto scopo. Le fortificazioni di Roma, poi, non sono un fatto speciale, ma la parte di un complesso di disposizioni per la difesa territoriale dello Stato. Ricordai che sin dalla costituzione del Regno era stata nominata una commissione, sotto la presidenza di S. A. R. il principe di Carignano, coll'incarico di studiare un sistema di fortificazioni il quale rispondesse alle nuove condizioni della penisola. Dissi che cotesti studi furono già terminati, che furono votate le somme necessarie dal nostro Parlamento sin da parecchi anni addietro, ma che nulla ancora fu fatto, essendo anzi tutt'ora integre le fortezze elevate dai principi caduti con intendimenti e scopi contrari all'attuale ordine di cose. Dimostrai quindi che le fortificazioni di Roma entrano in cotesto piano generale di difesa nazionale e conclusi che la Francia non ha motivo di allarmarsene, coteste opere non essendo e non potendo essere interpretate quale una dimostrazione ostile contro di lei.
S. E. parve acchetarsi al mio ragionamento e poichè lo vidi così ben disposto credetti propizia l'occasione di portare la nostra conversazione sopra un altro argomento, quello cioè dell'applicazione ai nostri concittadini, nel territorio della Repubblica, delle disposizioni dell'art. 3 del nostro Codice Civile.
Spiegai lo scopo e le origini di cotesto articolo, ricordai le trattative intavolate altra volta perchè ne fossero accolti i principii in Francia, mercè una convenzione internazionale, e finalmente accennai alla giurisprudenza delle Corti Supreme le quali, per diritto di ritorsione, cominciano ad applicare ai francesi in Italia l'art. 14 del Codice Napoleone. Non omisi di dimostrare che, allo stato, farebbe un ottimo effetto nel nostro paese la stipulazione di un trattato che sanzionasse cotanto progresso.
S. E. ascoltò con benevola attenzione e si dichiarò pronto a trattare. Disse che avrebbe richiamato i precedenti e li avrebbe studiati affinchè potessimo altra volta ragionare consideratamente per venire ad una conclusione. Anch'egli, il Ministro, sente il bisogno che l'art. 3 del nostro Codice Civile sia ricevuto in Francia in favore degli italiani e mi promise che metterebbe tutta l'opera sua perchè la domanda fosse esaudita.
Dal discorso di S. E. appariva chiaramente il desiderio di provare con nuovi atti che la Francia ci è e ci sarà amica, ed a tal uopo mi parlò della sollecitudine con la quale il suo governo aveva consentito alla sottoscrizione del trattato di commercio. Mi disse che ci saremmo nuovamente veduti.
Del contegno del duca Decazes e del complesso delle sue parole, restai pienamente soddisfatto. Bisognerebbe supporre che egli fosse un grande simulatore per dubitare del suo linguaggio. Egli non fece che lodarsi del nostro governo e del nostro popolo e parlò pieno di ammirazione del nostro Re. Disse che noi abbiamo dato prova di grande saggezza politica e che la nostra condotta col Vaticano è stata corretta. Sul che sento il bisogno di riferire a V. E. un'opinione manifestatami da lui e la cui importanza non isfuggirà alla di lei sagacia: il duca Decazes si disse convinto e