Gravi avvenimenti si svolgevano anche in Francia, i quali tenevano in grande apprensione tutta l'Europa. Il 4 maggio di quell'anno 1877 la Camera francese aveva adottato un ordine del giorno invitante il governo a valersi dei mezzi a sua disposizione per reprimere le agitazioni clericali, e Giulio Simon, presidente del Consiglio, lo aveva accettato. Ma il maresciallo Mac-Mahon, presidente della Repubblica, il 16 maggio dirigeva al Simon una lettera nella quale gli imponeva di spiegare il contegno passivo da lui tenuto alla Camera e lo rimproverava di non aver saputo conservare l'influenza necessaria a far trionfare le sue idee. Il Ministero Simon si era dimesso; il giorno dopo era già costituito il Ministero reazionario De Broglie-Fortou, nel quale per la pressione del Mac-Mahon restò il duca Decazes, come ministro degli Affari esteri. Nella seduta del 17 la Camera, sulla proposta di Leone Gambetta, deliberava “di non poter avere fiducia che in un gabinetto libero di agire e deciso a governare secondo i principii repubblicani che soli possono assicurare la tranquillità all'interno e la pace all'estero„.
Il 18 il presidente della Repubblica inviava un messaggio alla Camera, nel quale, annunziando la proroga della Sessione, spiegava la necessità della crisi ministeriale.
Allora la Sinistra del Senato pubblicava un manifesto al paese per dichiarare provocata senza ragione la crisi; un altro manifesto pubblicavano i deputati dell'Estrema Sinistra della Camera, nel quale l'atto del 16 maggio e i posteriori venivano dichiarati ingiusti e incostituzionali.
Il 29 maggio il ministro De Broglie spediva una circolare ai Procuratori generali per invitarli a raddoppiare di vigilanza ed energia e a fare osservare con fermezza le leggi proteggenti la morale, la religione e la proprietà contro gli attacchi della stampa e specialmente contro la diffusione di false notizie capaci di turbare la pubblica opinione. Il 2 giugno veniva arrestato il presidente del Consiglio municipale di Parigi per aver pronunziato a St. Denis un discorso sedizioso contro il presidente della Repubblica. Nello stesso giorno il ministro dell'Interno, Fortou, diramava una circolare per ordinare severa sorveglianza sulle persone che mettevano in circolazione giornali e libelli. L'8 giugno il presidente del Consiglio municipale era condannato a quindici mesi di carcere e a duemila franchi di multa. Il 17 giugno il duca De Broglie leggeva al Senato un messaggio del presidente della Repubblica invitante, conformemente all'art. V della legge per l'ordinamento de' pubblici poteri, il Senato stesso a consentire lo scioglimento della Camera. Lo scioglimento della Camera era autorizzato il 22 giugno. Alla Camera, intanto, si votava un ordine del giorno di sfiducia nel Ministero il 19 giugno, e il 21 veniva rifiutato il voto delle imposte, accordandosi solamente i crediti supplementari al ministro della Guerra. Il 24 le Sinistre della Camera e del Senato dichiaravano debito d'onore del paese la rielezione dei deputati che avevano votato la sfiducia nel Ministero. Infine, il 25 la Camera veniva sciolta, e il 22 settembre i comizii erano convocati pel 14 ottobre.
Nei gravi momenti che attraversava l'Europa, l'Italia non poteva e non doveva rimanere inerte. Si doveva prevedere il caso del trionfo del partito clericale in Francia, che avrebbe costituito un pericolo serio e immediato per noi; inoltre, il contegno dell'Austria, nelle sue relazioni con l'Italia, s'era fatto così irritato e irritante, che appariva urgente la necessità di correre ai ripari; infine, erano in vista, come conseguenza della guerra russo-turca, mutamenti nella penisola balcanica, dei quali l'Italia non poteva disinteressarsi.
Di ciò convinto e pensando che, giunta al potere, la Sinistra dovesse imprimere anche alla politica estera un indirizzo nuovo, prudente ma ardito e più rispondente all'importanza del nostro paese in Europa e ai nostri legittimi interessi, Francesco Crispi riuscì a farsi affidare la missione, della quale egli stesso rende conto nelle pagine che seguono:
«Roma, 25 agosto 1877.
Onorevolissimo Signore,
Fin dall'anno 1861 il comm. Mancini proponeva a S. E. il barone Ricasoli, allora presidente del Consiglio dei Ministri, d'iniziare trattative presso i vari Governi Europei allo scopo di concordare la stipulazione di un Codice internazionale, destinato a regolare la condizione giuridica dei cittadini dei rispettivi paesi ed i diritti civili spettanti ai medesimi di fronte alle legislazioni vigenti nei diversi Stati. A tale proposta, per le circostanze dei tempi, non si potè allora dare alcun seguito. Però il Governo italiano, ispirato a sentimenti di civiltà e progresso, non esitava a sanzionare nel Codice Civile del 1865, all'art. 3, il principio che lo straniero venga ammesso a godere dei diritti civili attribuiti ai cittadini.
Però affinchè questo principio possa veramente esser fecondo di utili e generali conseguenze, uopo sarebbe che venga sanzionato dalle legislazioni degli altri Stati e reciprocamente guarentito mediante accordi internazionali.
Il Governo del Re ha cercato in ogni modo di promuovere la conclusione di simili accordi. Nell'anno 1867, il comm. Mancini, avendo intrapreso un viaggio a Parigi, Bruxelles e Berlino, si assumeva l'incarico di presentire, in via ufficiosa, gli intendimenti di quei Governi su questo grave argomento.
Le entrature di quell'insigne giureconsulto venivano ricevute con favore, però gli avvenimenti impedirono che si venisse ad alcuna pratica conclusione.
Poichè l'Eccellenza Vostra ora è in procinto di visitare quelle capitali, Le sarei grato se nelle sue conversazioni con i personaggi influenti e competenti, coi quali si troverà in rapporti, Ella volesse indagare se quei Governi siano disposti a riprendere le interrotte negoziazioni. L'Eccellenza Vostra che tanta parte ha avuto nella compilazione delle leggi che regolano i civili rapporti in Italia, saprà meglio di chicchessia far risaltare l'utilità delle proposte nostre.
Ringraziando anticipatamente l'Eccellenza Vostra dell'opera Sua, colgo quest'occasione per rinnovarle i sensi della mia alta considerazione.
Melegari.
A sua Eccellenza
il Sig. Comm. Crispi
Presidente della Camera dei Deputati.»
Torino 26 agosto. — Alle 11 antim. visita al Re.
» 27 agosto. — Alle 10 antim. altra visita al Re.
«Torino, 27 agosto 1877.
Mio caro Depretis,
Siccome ti telegrafai, io partirò stasera alle 8,50. Alla stazione incontrerò Bargoni,[1] il quale mi darà la tua lettera.
S. M. mi fece chiamare e stetti con lui lungamente. Era di buon umore, come al solito, quantunque Correnti che lo vide stamane alle 8 mi abbia detto di averlo trovato un po' conturbato. Egli nulla spera da una combinazione in conseguenza della guerra d'Oriente. Crede anche lui che sia tardi e che non vi sia posto per noi. Nulladimeno mi raccomandò di fare tutto il possibile onde vedere di entrarci con qualche profitto. Fu diverso il suo linguaggio per l'altra operazione, cui realmente mira il mio viaggio. Il re sente il bisogno di coronare i suoi giorni con una vittoria per dare al nostro Esercito la forza e il prestigio che in faccia al mondo gli mancano. È linguaggio da soldato e lo comprendo. Aveva lo stesso desiderio il povero Bixio, il quale è poi morto così miseramente senza poter combattere un'ultima volta per la gloria del nostro paese.
E il Re ha purtroppo ragione. Se nel 1866 i generali non ci fossero mancati ed avessimo vinto nel Veneto e nell'Adriatico, gli austriaci non oserebbero parlare e scrivere di noi siccome fanno. L'Esercito Italiano avrebbe in Europa quell'autorità che gli fa difetto, e la parola d'Italia avrebbe una maggiore importanza presso i Gabinetti.
Ripariamo, se è possibile, il vuoto, e poichè ci credono buoni diplomatici, facciamoci valere affinchè la Patria nostra provi a coloro che non la rispettano abbastanza, che essa è qualche cosa nel vecchio continente.
Ti scriverò appena potrò darti notizie, da Parigi. Se per le questioni delle quali ti occupi hai bisogno di me, scrivimi pure.
Il tuo dev.mo F. Crispi.»
— Alle 8,50 pom. partenza per Parigi, dopo avere ricevuto da Bargoni la seguente lettera di Depretis: