È superfluo dichiarare che tutto è stato pubblicato con scrupolosa esattezza; qualche reticenza qua e là era doverosa, ma non ci siamo presi la libertà di modificare o di alterare comunque i documenti, i quali dicono quel che dicono. La situazione internazionale, in gran parte cambiata, dà ad essi un valore puramente storico.
Molto altro resta a dirsi, che si dirà.
Roma, decembre 1911.
T. Palamenghi-Crispi.
Capitolo Primo.
Una missione segreta.
La Grande Italia. — Il nuovo Regno. — La politica estera della Destra. — Andrássy e Bismarck nel 1873 chiedono invano una entente intime ai ministri della Destra. — L'irredentismo e le relazioni italo-austriache, — La guerra russo-turca. — Le istituzioni repubblicane francesi in pericolo. — Necessità per l'Italia di uscire dall'inerzia. — La missione da Vittorio Emanuele e da Depretis affidata a Crispi alla fine di agosto 1877. — Memorie originali di Crispi e carteggi con Vittorio Emanuele e Depretis, resoconti di colloqui con Decazes, Thiers, Gambetta, Bismarck, Derby, Gladstone, Andrássy, ecc. — Crispi conviene col principe di Bismarck il negoziato per un trattato d'alleanza italo-germanica.
I sommi Italiani ai quali il mondo deve l'Italia moderna, attinsero forza a soffrire esilio, prigionie e ogni maniera di persecuzioni dei governi dispotici nella visione di una grande Italia. Nella mente di Mazzini l'idea di grandezza era correlativa all'idea di Unità, così come nella federazione egli vedeva la “perpetua debolezza„. Le glorie della nostra gente divisa erano considerate arra di glorie maggiori quando essa fosse raccolta in un solo Stato; lo stesso Mazzini predicò per trent'anni che vi era una “missione di civiltà universale„ da riprendere, quella che assunta da noi con le armi sin dai giorni della potenza romana, continuata cogli esempi della libertà dei Comuni nel Medio evo, avevamo diffusa nel Rinascimento con le lettere e con le arti.
Il nuovo regno non sorse nella pienezza della sua indipendenza, e la politica che aveva chiamato nel 1859 sui piani lombardi le armi francesi, tenne l'Italia in soggezione di Napoleone III per lunghi anni. Francesco Crispi, il quale, con Mazzini, avrebbe voluto che l'Unità fosse conquistata senza aiuti stranieri, per sola virtù nostra, combattè sin dal primo Parlamento italiano l'ingerenza della Francia nei nostri affari: fu uno dei più caldi avversarii della “Convenzione di settembre„ (1864) — osteggiò la permanenza delle truppe francesi nel territorio romano — fu, nel 1870, l'anima della Sinistra, la quale sospinse il governo della Destra, più che esitante, alla rivendicazione del diritto nazionale occupando Roma.
Dalla proclamazione della repubblica in Francia all'avvento della Sinistra italiana al potere (18 marzo 1876), la nostra politica estera, rimasta priva della direttiva che soleva cercare a Parigi, fu nulla. Disorganizzato l'esercito e distrutta dopo Lissa la marina da guerra, i governanti avevano trovato nella nostra debolezza e nel programma di riordinamento interno dello Stato, giustificazioni alla loro inerzia. Lo stesso viaggio fatto compiere da re Vittorio Emanuele II alle Corti di Vienna e di Berlino, nel settembre 1873, non recò vantaggi, anzi peggiorò ancora la situazione internazionale dell'Italia; poichè, mentre accennò soltanto al desiderio di appoggiare dippiù verso le Potenze Centrali, avvertì la Francia che erano passati i giorni dell'alleanza franco-italiana. Gli on. Minghetti e Visconti-Venosta, i quali accompagnarono il Re in quel viaggio, ebbero dal Cancelliere austro-ungarico conte Andrássy, come dal Cancelliere germanico principe di Bismarck, espresso “très vivement le désir d'une entente intime„. L'Andrássy per ingraziarsi i Ministri Italiani dichiarò esplicitamente e francamente che non avrebbe appoggiato in alcun modo le querimonie del Papa, in quel tempo ancora fervide e speranzose, e che si sarebbe astenuto da qualsiasi azione comune con la Francia in tutti gli affari relativi al Papato. Dette anzi una prova delle sue amichevoli disposizioni, partecipando che aveva rifiutato una località che gli era stata richiesta dal Vaticano pel futuro Conclave e avrebbe persistito nel rifiuto. E il Bismarck non si chiarì più favorevole verso il Papa, al quale appunto in quel mese (3 settembre) aveva fatto rifiutare dall'Imperatore ogni modificazione della legislazione ecclesiastica; ma riconoscendo l'utilità per l'Italia di usare dei riguardi al Pontefice, chiese ch'ella non facesse una politica di concessioni con la Francia, la quale avrebbe accresciuto sempre più le sue pretese; infine, dichiarò recisamente che la Germania non avrebbe mai permesso un attacco contro l'Italia.
I due Ministri, i quali sembravano esser partiti da Roma con l'intento di proporre un accordo a due alla Germania, si astennero da qualsiasi proposta, e tornarono in Italia illudendosi di potere, non assumendo impegni, contare sulla Germania e sull'Austria, senza perdere la benevolenza della Francia. Ma fu il sogno di un mattino di primavera.
Ben presto le agitazioni irredentiste dettero pretesto di allarmi all'Austria. Il governo italiano non fu dapprima sospettato d'incoraggiare le speranze del “partito esaltato„, il quale si proponeva un ingrandimento territoriale a spese dell'Austria; e il conte Andrássy fece dal suo Ambasciatore a Roma, conte Wimpffen, proporre una azione comune per combattere i pericoli che minacciavano i buoni rapporti dei due paesi, — azione comune, la quale doveva manifestarsi specialmente nell'aiutare l'Austria “a scoprire i promotori e gli intermediarii della propaganda annessionista„!
Le relazioni italo-austriache migliorano nei primi mesi del 1875; l'imperatore Francesco Giuseppe restituisce a Venezia la visita ricevuta a Vienna dal Re d'Italia, ed ha festosa accoglienza. L'irredentismo ridiventa più attivo nel febbraio del 1876; si preparano spedizioni di volontarii italiani in Dalmazia; il governo austriaco prende misure energiche, opera numerosi arresti d'italiani a Ragusa e a Trieste. In giugno, le feste di Milano e di Legnano per commemorare il centenario della Lega dei Comuni Lombardi, e le rievocazioni di circostanza fatte da buona parte dei giornali italiani, destano impressione sfavorevole in Austria.
Scoppiata la guerra serbo-turca con conflitti nel Montenegro e in Albania, l'Austria comincia a diffidare della nostra politica. La Serbia chiede la mediazione dell'Italia, ma il gabinetto austro-ungarico la osteggia. Avvengono meetings a Milano, a Roma e in altre città, avversi tutti alla politica austriaca. L'Austria lascia vacante la sua ambasciata presso il Quirinale, e la stampa dell'Impero, con i giornali ufficiosi in prima linea, fa vivacissimi attacchi all'Italia, accusandone il governo di connivenza con gl'irredentisti. L'ambasciatore, conte di Robilant, si trova a disagio a Vienna e manifesta il desiderio di un lungo congedo.
È naturale che l'Austria fosse furente contro l'Italia: non sicura di questa, essa non poteva liberamente fronteggiare la Russia, la quale si preparava alla guerra contro la Turchia, e si trovava in balìa della Germania. In gennaio 1877 fa nominato il nuovo ambasciatore presso il Quirinale nella persona del barone Haymerle. Il malumore non diminuiva. L'offerta del governo italiano di uno scambio di idee sulla questione orientale, veniva declinata da Andrássy; il quale trovava un nuovo motivo di irritazione nel sospetto, insinuatogli — si disse — da un governo straniero, di trattative segrete esistenti tra Ignatieff e Robilant per una intesa italo-russa. In maggio si ha notizia che l'Austria arma alle nostre frontiere, e un'ambasciata straordinaria austriaca e quindi duemila pellegrini austriaci giungono a Roma a rendere omaggio al Papa. In luglio è male accolto in Vienna il nostro intervento diplomatico a favore del Montenegro, sospettato quale mossa preparatoria di un nostro intervento militare in Albania. In agosto sorgono gravi incidenti: il commesso del Consolato italiano a Vienna prima, poi l'addetto militare alla nostra Ambasciata sono accusati di spionaggio; e gli attacchi della stampa sono così furibondi che l'addetto militare è costretto a partire da Vienna.
Frattanto era scoppiata e si combatteva con varia fortuna la guerra tra la Russia e la Turchia. Il 27 aprile l'Incaricato d'affari russo, Nelidoff, con tutto il personale dell'Ambasciata, lasciava Costantinopoli. Il giorno seguente l'esercito russo varcava la frontiera turca; il 28 aprile la Camera rumena approvava una convenzione con la Russia pel passaggio sul territorio del principato delle truppe russe, e il 10 maggio il principe Carlo assumeva il comando dell'esercito; il 20 maggio era proclamata in Turchia la guerra santa, e la Rumania proclamava la propria indipendenza e dichiarava la guerra ai turchi.