Invece Guillén era piccolo di statura, pur avendo le spalle larghe. Piccolo, brutto e non troppo coraggioso. Però era intelligente. E al suo fianco, a sua sorella non erano mai mancate le comodità. Il pastore era riuscito a fare fortuna grazie al commercio e all'artigianato. Allevava agnelli, tosava le sue numerose pecore e Jimena, con l'aiuto di altre donne del paese, trasformava la lana in tessuto e poi in vesti che si vendevano a Luna o ad Ayerbe.
Jimeno non riusciva comunque ad apprezzare fino in fondo quel pastore arricchito, abbigliato come qualcuno che poteva permettersi di possedere diversi vestiti da usare nello stesso mese. Ma era il miglior marito che sua sorella potesse avere a Lacorvilla. E stava raccontando ai villici una storia di cui Jimeno era l'eroe. Si meritava un'opportunità.
"E com'è andata, esattamente?" chiese sua sorella.
Jimeno scrollò le spalle.
"Come racconta tuo marito, no?"
Jimena brontolò.
"In questo villaggio raccontano molte cose, e non è il caso di ascoltarne neanche la metà. L'ultimo pettegolezzo che ho sentito è che Sancho e suo figlio si mangiano il carbone che non riescono a venderci" disse Jimena
"ma prima lo avvolgono in bucce di mela".
"Ah, perché, mangiano mele?" disse il bargello, sarcastico.
Sua sorella stava per rispondere, ma Guillén aveva finito di raccontare la storia e qualcuno aveva messo una mano sulla spalla a Jimeno, chiedendogli:
"Davvero gli avete conficcato una spada nel cuore?"
"Come?" Il bargello si girò verso l'uomo, distratto. Si accorse che tutti lo stavano guardando e sentì un calore improvviso che nulla aveva a che vedere con la temperatura. "No, nello stomaco. In quella zona non ci sono ossa ed è più facile che la lama penetri. La morte non sopraggiunge istantanea, ma è un colpo fatale". Mimò con le mani il movimento della spada che penetra nella carne. "Fatale".
I villici assentirono in segno di approvazione. Un colpo fatale, dissero.
Sissignore, è così che si fa.
Jimeno ricevette altre pacche sulle spalle e parecchi ringraziamenti. Alcuni si informarono sulla salute di suo figlio o sulla gravidanza di Arlena.
Sapendo che presto avrebbe dovuto chiedere loro un favore, cercò di essere tanto cortese quanto le sue rozze maniere da soldato gli consentirono. Normalmente non era una persona benvoluta, ma quando il villaggio si sentiva minacciato nessuno sembrava lamentarsi di avere un bargello che sapeva impugnare la spada.
Non sapeva molto bene come presentare la situazione. Sapeva cosa voleva da loro, ma non come chiederglielo. Per fortuna, sua sorella fece una domanda grazie alla quale ebbe l'occasione di prendere l'iniziativa.
"Alcuni di noi hanno sentito dire che il brigante non era solo" iniziò Jimena,
"cosa ne sapete voi? Ce ne sono altri, sulla montagna?"
Guillén gli tese la mano perché salisse anche lui sul tavolo e Jimeno la accettò. Poi il pastore scese lasciandolo solo. Il bargello fu costretto a tenere la testa china per non sbattere sul soffitto. In paese non costruivano case per giganti. Arricciò il naso sentendo con maggior forza l'odore della gente nella taverna. Era come se dopo essere salito su quel tavolo, l'odore raggiungesse il suo naso più facilmente. Era molto sgradevole, era l'odore di chi ha paura e ha bisogno di essere tranquillizzato. Da lassù vide il volto
annerito di Sancho il Nero. Si scambiarono muti sguardi d'odio. Il bargello sguainò la spada.
Come aveva immaginato, quel gesto attirò l'attenzione dei presenti.
Appoggiò la punta sul tavolo e strinse le dita intorno all'impugnatura, una sensazione familiare che lo fece sentire come un gigante guerriero davanti a quella moltitudine. Batté con il piede sul tavolo per ben quattro volte per attirare l'attenzione di quelli che stavano ancora parlando tra loro. Dovette anche gridare a quelli che non stavano zitti. Voleva dimostrare che l'uomo che bussava alle loro porte per riscuotere le gabelle era qualcosa di più.
Jimeno, il bargello, vegliava su di loro.
“Cittadini di Lacorvilla!” cominciò. “Ieri ho ucciso un brigante, sì. E non credo che fosse solo, no". Un mormorio di preoccupazione corse tra i presenti. Jimeno batté di nuovo sul tavolo chiedendo di fare silenzio.
"Qualche giorno fa, Guillén mi disse che gli era sparita una pecora ma non gli diedi troppa importanza. Sono cose che succedono, lo sappiamo tutti.
Ma alla seconda e alla terza pecora mancanti cominciai ad avere qualche sospetto. Un ladro di bestiame non oserebbe rubare pochi capi alla volta in giorni così ravvicinati. Doveva trattarsi per forza di più uomini".
"Gli albari!" gridò qualcuno. Un coro di voci preoccupate gli fece eco.
Jimeno imprecò. Lo sapevano già. Cercò Sancho tra la folla, certo che fosse stato lui a far girare la voce tra i compaesani senza chiedergli il permesso. Strinse con forza il pomo della spada e decise di continuare, ormai non aveva più senso tirare in lungo.
"Nel momento in cui cominciai a sospettare che ci fossero dei banditi sulle nostre terre mi diressi verso il monte della Carbonera per dare un'occhiata in un certo posto adatto all'insediamento di un accampamento. Sapete bene di cosa parlo: il pozzo di San Giovanni. Portai mio figlio con me ed esplorammo quella zona. Sapete già quello che è successo dopo" e fece una pausa teatrale. "Gli albari sono qui. Non agitatevi, state tranquilli! So cosa fare, adesso" aggiunse, mentre i presenti esprimevano i loro dubbi.
"Ho già avuto a che fare con briganti come questi. Sembrano invincibili ma sono solo dei vigliacchi. Chi si nasconde in montagna in pieno inverno lo fa
perché ha paura di essere scoperto. Ieri abbiamo dato il fatto suo a uno di loro e l'altro è scappato con la coda tra le gambe. Ho intenzione di infliggere lo stesso trattamento a tutti loro.
"Oggi andrò a Yéquera a parlare con il signore del castello e gli proporrò di autorizzarmi a addestrare i miei bravi vicini per condurre una lotta breve e trionfale. Accetterà! Sa che i briganti sono già spaventati perché ieri hanno perso un uomo e adesso sono ancora più deboli. Non chiederò uomini valorosi perché so che in questo villaggio tutti lo sono" affermò. La spavalderia fu ben accolta dai compaesani che lo acclamarono. "Faccio appello agli uomini più forti, uomini che siano in grado di spaccare la testa di quei parassiti con una bastonata. Uomini capaci di colpirli con la loro scure con la stessa facilità con cui abbatterebbero un albero. Uomini che con la forza di chi protegge la sua gente siano disposti a spaccare le ossa a quei disertori. Uomini come Bermudo" esclamò indicando l'oste "che ha tagliato la testa di un maomettano con un solo colpo di spada. Tutti insieme scacceremo quei maledetti e lanceremo un messaggio chiaro ai futuri ladri: nel nostro villaggio non permettiamo che ci rubino ciò che è nostro! Non siamo una banda di codardi che aspetta che altri risolvano i problemi al posto loro, no! Vicini, chi vuole entrare a far parte delle storie che un giorno ascolteranno vostri nipoti?"
Nella taverna sovraffollata si udirono due voci: quella degli uomini, che si sentivano tutti novelli Alfonso I el Batallador, il Battagliero, e quella delle donne che chiedevano di usare il buonsenso prima di prendere una simile decisione, rivolte a mariti che non le ascoltavano. Tutto quel vociare impediva di cogliere anche solo una parola, ma Jimeno capì che era riuscito a convincere molti di loro affinché si unissero all'impresa. Serrò le dita intorno alla spada e si concentrò sulla solidità dell'impugnatura. Certo, quella spada il giorno prima gli aveva fatto ottenere una piccola vittoria, ma presto l'avrebbe impugnata davanti ai suoi uomini. Chissà quanti dei presenti si sarebbero rivelati buoni soldati?
Sancho il Nero si avvicinò al tavolo a sua volta e fece per salire. Jimeno gli mise un piede davanti e glielo impedì.
"Che cosa vuoi?" gli disse dall'alto, aggressivo.
"Non avete detto che ad ammazzarlo siamo stati in tre" lo accusò il Nero.
"E