"Non perdere tempo a chiacchierare con loro" ordinò Jimeno al figlio, smorzando il suo entusiasmo. "Dobbiamo partire al più presto".
"Sì, padre" rispose obbediente mentre spronava il cavallo per non fermarsi.
Jimeno vide suo figlio avvicinarsi baldanzoso al gruppo di compaesani e si concesse un sorriso orgoglioso, vedendo come la gente lo guardava.
La maggior parte degli abitanti del villaggio indossava una camicia e delle braghe. Alcuni avevano una giubba e la maggior parte di loro si proteggeva dal freddo con una ruvida cappa di lana. Ramiro invece indossava un'elegante tunica color verde chiaro a maniche lunghe, ottimi stivali da monta del miglior cuoio che si fosse visto in paese e un mantello con la chiusura d'argento. I capelli neri erano coperti da un basco rosso, simile a quello usato dai nobili della Navarra.
"Ecco qui un bel signorino" aveva detto Arlena dopo avergli sistemato il mantello sulle spalle. "Al cospetto di don Yéquera comportati con educazione. Dimostra che sei un gentiluomo e non limitarti a sembrarlo".
Sua madre si era data molto da fare affinché Ramiro si distinguesse dai villici che sarebbero andati a incontrare il signore del castello.
Il piano di Jimeno prevedeva che i suoi figli facessero visita a don Yéquera; l'allegria della gioventù era quel che c'era di meglio per far tornare le forze a un vecchio. Desiderava che l'anziano cavaliere si sentisse a suo agio con i ragazzi mentre Jimeno esaminava l'arsenale del castello. Se quello che conteneva fosse stato di suo gradimento avrebbe fatto richiesta di poterlo portare con sé per addestrare i villici; lo avrebbe portato via comunque. E
don Yéquera avrebbe accettato molto più facilmente di cedere le sue armi se fosse stato di buon umore.
Arlena non dimenticava neanche per un attimo quello che era successo a suo figlio Alfonso, e per andare al castello non si poteva non passare nelle vicinanze della Carbonera. Aveva accettato obtorto collo che Ramiro accompagnasse il padre, e solo dopo che Jimeno le aveva giurato più e più volte che non avrebbe permesso che a suo figlio accadesse niente di male.
Qualcuno alle sue spalle si schiarì la voce e Jimeno vide dietro di sé sua sorella a cavallo di Roccia. Il mulo non sembrava felice di avere Jimena in groppa. E nemmeno quelle grosse bisacce.
"Vieni al castello?" chiese Jimeno, indicando le bisacce.
"No, è solo che avevo voglia di fare un giretto su questo mulo puzzolente"
sospirò rassegnata mentre si risistemava sulla cavalcatura. "Ho parlato un po' con tua moglie. Abbiamo preparato una torta per don Yéquera, qualche liquore e della biancheria, di ottima qualità naturalmente". spiegò.
Jimeno volse di nuovo lo sguardo verso le bisacce che probabilmente contenevano la biancheria. Prodotta nel vecchio capanno vicino alla chiesa, trasformato da sua sorella in un laboratorio che fruttava dei bei soldi. Grazie alla lana di Guillén e con la benedizione di padre Ruderico, che si teneva una parte degli incassi per la cessione di quello spazio.
Se non puzzano quanto quel pollaio dove sono stati tessuti, sono sicuro che finiranno per prendere l'odore disgustoso di questo mulo.
"E così... dei regali, eh?" indagò il bargello.
"Qualcuno in questa famiglia deve assumersi il ruolo di testa pensante, un forte braccio non basta" gli rimproverò Jimena. Poi si volse verso i suoi compaesani. "Sembra che siano venuti tutti a salutarci" osservò, "neanche fossimo destinati a morire lungo la strada..".
Jimeno grugnì e guardò tutta la gente riunita davanti al forno. Più persone di quante lui riuscisse a contare ronzavano intorno ad un carretto trainato da due asini, guidato da padre Ruderico. I suoi folti baffi si agitavano di qua
e di là, evidentemente era nervoso all'idea di cosa avesse in serbo per loro quel viaggio. Il bargello fu lieto che il sacerdote si fosse aggregato al gruppo, e anche del fatto che si fosse portato dietro il carro. Su quel carro Jimeno sperò di poter portare in paese le armi custodite al castello.
A giudicare dal fumo che usciva dal camino, il fornaio doveva aver acceso il forno per vendere i suoi prodotti appena sfornati alla gente in attesa davanti alla sua bottega. Ad averci pensato prima, Jimeno avrebbe potuto fissare il luogo di ritrovo a casa sua, così Arlena avrebbe potuto vendere qualche liquore.
Non si può pensare a tutto, si lamentò.
Raddrizzò la schiena e spronò il cavallo affinché avanzasse con portamento fiero, dando ad intendere che aveva tutto sotto controllo. Sua sorella lo seguiva con Roccia.
L'ambiente profumava di pane caldo e di aria fredda. La gente si era suddivisa in capannelli e si scambiava opinioni, e un otre di sidro mezzo vuoto passava di mano in mano. I villici sembravano oziosi e Jimeno guardò verso il sole calante.
Non gli sorrideva per niente l'idea di dover cavalcare così di fretta fino a Yéquera con le notti che arrivavano così presto in quel periodo e gli albari che infestavano i paraggi. Meglio partire al più presto.
Jimeno e Ramiro erano gli unici a cavallo. Jimena aveva il mulo. Gli altri viaggiavano a piedi o sul retro del carretto.
Il corpo del bargello ebbe un piccolo brivido a causa del freddo. Raddrizzò le spalle facendo finta di niente e si sistemò il pesante mantello di lana. Da Lacorvilla al castello di Yéquera c'era solo un miglio di distanza, ma dovendo girare intorno alla Punta del Paco la strada si allungava diventando tre volte tanto.
"Cosa stiamo aspettando?" volle sapere guardando i suoi vicini dal cavallo.
La risposta non gli giunse gradita.
L'uomo che era tutto ossa uscì dalla bottega del fornaio a lunghe falcate.
Proteggeva dal vento una grossa pagnotta, appena fatta. Il nero se la passava da una mano all'altra quando il calore diventava insopportabile. Si avvicinò al carretto a passo lesto e con un salto salì sulla parte posteriore, che il suo modesto peso non spostò neanche di mezzo pollice.
"Che cosa ci fa qui Sancho, padre?" chiese Ramiro. Come suo fratello maggiore, condivideva l'astio del genitore nei confronti del Nero.
"Anch'io vorrei saperlo".
"Vado a trovare mia madre" spiegò Sancho. Jimeno schioccò la lingua ricordando che la madre di quel miserabile era la fantesca del castello. Per ragioni che lui non riusciva a capire, don Yéquera aveva accettato che la vedova dell'assassino servisse alla sua tavola. Adesso quel pezzente del carbonaio aveva una scusa per accompagnarli nel loro viaggio. "E poi anch'io voglio aiutare la mia gente".
Allo sguardo adirato di Jimeno, aggiunse che il bargello non poteva impedirgli di andare a trovare sua madre né di aiutare i suoi compaesani.
No di certo, se il bargello era quel brav'uomo che al mattino, alla taverna, aveva detto di essere.
Ramiro mise mano con impeto all'impugnatura della spada ma suo padre lo fermò.
"Non vale la pena di discutere con lui" disse con disprezzo.
Il Nero parve soddisfatto del suo piccolo trionfo e si sistemò meglio sulla parte posteriore del carretto.
Senza ulteriori perdite di tempo, partirono. Quelli che rimasero augurarono loro buon viaggio.
Saremo a Yéquera prima che il sole tramonti. Non capisco il motivo di tutta questa preoccupazione.
Facevano strada alcuni abitanti del villaggio che procedevano a piedi. Il bargello e suo figlio seguivano il carretto. Jimena cavalcava Roccia
accanto a loro. Soffiava nella loro direzione un forte vento che sollevava molta polvere; Jimeno era spesso costretto a chiudere gli occhi con forza, e li sentiva umidi. Ogni volta che li apriva, Jimeno vedeva il carbonaio seduto nella parte posteriore del carretto che canticchiava qualcosa di inintelligibile. Sembrava felice.
A quella vista