La piccola scure che Alfonso aveva considerato quasi inoffensiva si era appena trasformata in un'arma maneggevole e difficile da schivare, capace di fare molto male a chi non indossava un'armatura formidabile come quella del bandito. Non aveva niente a che vedere con il freddo, il fatto che
la mano di Alfonso cominciasse a tremare.
"Non possiamo farlo da soli" decise Jimeno dopo aver soppesato le varie possibilità.
Il Nero annuì.
"Se fossimo di più…"
"Di te non avevo certo tenuto conto" ribatté il bargello. Sancho chinò la testa e, arretrando, tornò a nascondersi dietro la sua roccia. Jimeno si rivolse a suo figlio. "Torniamo al villaggio".
Nessuno si oppose. Con molta cautela cominciarono ad allontanarsi dal bivacco fino a perdere di vista la luce del fuoco e si immersero in un'oscurità che la luna calante riusciva appena a violare. Attraversarono la montagna tra sterpi e arbusti irrequieti a causa del vento. Non si azzardarono a tornare sul sentiero fino a quando non ebbero messo una distanza considerevole tra loro e i banditi. Il ritorno a Lacorvilla avvenne in gran fretta e in un continuo girarsi indietro a guardare.
"Dobbiamo dirlo agli altri al villaggio" osservò Sancho quando furono sufficientemente lontani. Il carbonaio si stringeva addosso il suo miserabile mantello. "Dovremmo organizzare una riunione".
Jimeno lo sentì e rallentò il passo. Alfonso se ne rallegrò, non aveva le gambe lunghe come suo padre. Sua madre sosteneva che un giorno sarebbe diventato alto come lui, ma a diciassette anni compiuti era ancora più basso del bargello di un'intera testa. Continuarono a camminare e dopo un po' Jimeno rispose:
"Qualcosa bisogna dire ai compaesani" riconobbe a disagio "ma bisogna scegliere molto attentamente che cosa. Se diciamo loro così all'improvviso che abbiamo visto gli albari potrebbero farsi prendere dal panico. No, dobbiamo essere cauti. Fintanto che avranno pecore da mangiare non ci daranno problemi". Alfonso guardò suo padre aggrottando la fronte. Quelle pecore appartenevano allo zio Guillén, che non sarebbe stato zitto sapendo che la sua fonte di sostentamento veniva divorata da quei mostri.
"Abbiamo alcuni giorni di tempo per decidere come agire. La cosa migliore sarebbe prendere accordi con don Yéquera" disse, mentre cominciava ad intravedere il castello che si trovava sull'altro versante della montagna, imponente sul promontorio.
"State parlando di rifugiarci tutti dentro le mura?" chiese Alfonso, dando voce alle sue perplessità. "Ci sono due torri male in arnese e un cortile.
Non è abbastanza grande per tutti i compaesani e le loro bestie".
"Allora il bestiame dovrà rimanere all'esterno" intervenne Sancho. "Le persone hanno la precedenza".
Alfonso replicò con veemenza al Nero. Certo, per lui era facile separarsi dagli animali, perché non ne aveva. Lo accusò di essere un uomo vile ed egoista. Se a lui stava bene di non avere nulla e di vivere della carità della gente niente da dire, ma molti dei loro compaesani vivevano delle loro bestie e contavano proprio su quegli animali per dar da mangiare alle loro famiglie. Avrebbero cercato di fare in modo che sia il bestiame che le persone trovassero posto all'interno delle mura del castello. E alla fine minacciò il carbonaio di lasciarlo in balìa dei banditi.
"Se il bestiame non potrà ricoverarsi dentro il castello, neanche tu potrai entrare".
Maledetto codardo, si preoccupa solo per sé stesso. Alfonso sputò per terra, non lontano dai piedi del Nero.
"Non stavo pensando di rifugiarci nel castello" si spiegò Jimeno. Gli altri si girarono a guardarlo, sorpresi. "Pensavo di prendere le armi dall’arsenale.
E distribuirle alla gente".
Sancho tornò alla carica.
"Non crederete che possiamo combattere contro di loro?!" inorridì. "Ci ammazzeranno tutti!"
"Gli albari hanno sempre attaccato i villaggi sfruttando l'effetto sorpresa"
spiegò Jimeno "e a quanto ne so, nessuno ha mai cercato di ostacolarli.
Ma noi sappiamo che sono qui, hanno perso il loro vantaggio". Jimeno
richiamò la loro attenzione. "Dobbiamo sfruttare il tempo che abbiamo a disposizione per addestrare i nostri compaesani all'uso delle armi".
Alfonso sbuffò. Non sapeva cosa mai avesse potuto vedere suo padre negli abitanti del villaggio da riporre tanta fiducia in loro. Un borgo molto piccolo, governato dai cristiani fin dai tempi di re Sancho Ramírez e protetto da una buona stella che l'aveva tenuto fuori dalle guerre, era un luogo dove la gente non era abituata a veder scorrere il sangue.
"Sono contadini, pastori, carbonai" aggiunse guardando Sancho, "non sono soldati".
"Neanche quei banditi lo sono" replicò Jimeno. "Ascoltatemi bene: domani mattina presto convocheremo gli uomini alla taverna di Bermudo. Quando ci saranno tutti proporrò loro di andare al castello di Yéquera e di impossessarci delle armi ivi custodite. Istruirò gli abitanti del villaggio, tu mi aiuterai" disse indicando suo figlio. "Così saranno pronti, con il corpo e lo spirito, quando i banditi faranno la loro comparsa". Fece una pausa per riflettere. "Diremo loro che si tratta degli albari" disse "ma solo dopo aver proposto una soluzione al problema".
I dubbi del Nero non erano qualcosa che le parole del bargello o il vento potessero spazzare via.
"Continuo a pensare che sarebbe più opportuno cercare rifugio al castello e chiedere delle truppe che si occupassero dei banditi. Non siamo soldati"
ripeté, riprendendo le parole di Alfonso.
Il figlio vide suo padre perdere le staffe. Diede un calcio ad un sasso sul sentiero che finì a perdersi tra la sterpaglia. Il bargello non era abituato ad essere contraddetto.
"Siamo agli inizi dell'inverno" disse stringendo i denti a causa del freddo.
"Se ci rifugiassimo nel castello a noi non succederebbe niente ma mio figlio non ha tutti i torti a preoccuparsi per il bestiame. Se la gente fosse a Yéquera i banditi potrebbero saccheggiare senza alcun impedimento l'intero villaggio, e state certo che brucerebbero tutto: case, granai, campi e persino la chiesa, se troveranno il coraggio. Una volta che il pericolo fosse
passato e ritornassimo alle nostre case, ci ritroveremmo senza più niente da mangiare né nulla di nostro, a parte l'anima marcia per la vergogna di non aver fatto nulla per impedirlo. No, combattere è la nostra unica scelta"
aggiunse guardando il Nero.
"Ci penserò" accettò Sancho.
Ci penserò? Come se dipendesse da te prendere la decisione… considerò Alfonso. Tuttavia, quelle due parole posero fine alla discussione e continuarono il cammino in silenzio fino a quando poterono scorgere il villaggio in lontananza.
Le sagome degli edifici apparvero loro come un rifugio sicuro. Non solo dai banditi, ma anche dal vento gelido che non dava tregua né ai tre uomini né agli alberi, che ancoravano saldamente le loro radici alla profondità della terra. Le poche foglie, al contrario, venivano strappate senza pietà.
Stavano camminando già da lungo tempo e ad Alfonso dolevano i piedi, mentre gli brontolava la pancia e il freddo lo pugnalava. Immaginava sé stesso seduto accanto al fuoco a contemplare una minestra che sobbolliva, con cipolle e porri che vi galleggiavano dentro. Gli veniva l'acquolina in bocca al solo pensiero.
Invece camminava nel bel mezzo della notte lungo un sentiero pietroso, in preda ai capricci del clima e timoroso che alle sue spalle comparisse all'improvviso un gruppo di mostri sanguinari dai volti bianchi. Quella rischiava di essere la notte peggiore della sua vita e la visione delle colonne di fumo che uscivano dai camini non faceva che peggiorare la situazione. Inoltre…
"Devo pisciare" annunciò mentre si avvicinava ad un leccio solitario.
La sorte aveva scelto un luogo davvero