«Max, tu resta qui, io vado alla fattoria! Se mai dovesse uscire di casa, seguilo rimanendogli distante e se vedi che si dirige verso il bosco della periferia, chiamami immediatamente sul cellulare!» gli ordinò Jack agitato. Aveva paura, ma doveva andare. «Non ti preoccupare, fidati di me! Sarò la sua ombra», gli strizzò l’occhio Max continuando a farfugliare altre promesse, immerso pienamente nella parte. «Mi raccomando, fai attenzione. Quell’uomo non mi piace, magari ha dei complici che ti attendono e se fosse così, saresti veramente in pericolo» continuò preoccupato.
«Hai bisogno di un’arma!», volò con la fantasia.
«Calmati, so badare a me stesso», si limitò il ragazzo poggiandogli una mano sulla spalla per tranquillizzarlo.
Jack si avviò velocemente verso la fattoria salutando l’amico. Non sapeva che, dietro le tendine della finestra del palazzo sopra il bar, un’ombra lo stava spiando.
9
Jack, confuso, alzò gli occhi al cielo continuando a camminare senza riuscire però a pensare a nulla. Non sapeva cosa avrebbe fatto una volta arrivato, ma doveva andarci.
In qualche modo, quel luogo, anche se inquietante, lo attirava trasmettendogli una sensazione che neanche lui riusciva a decifrare. Ripercorse la stessa strada del giorno precedente. Non la ricordava così corta.
Veloce, arrivò in periferia. Pochi metri e avrebbe imboccato il sentiero del piccolo bosco.
Appena fu avvolto dalla vegetazione, un candido pensiero lo investì.
Stella.
Quanto avrebbe voluto dirle quello che provava, prenderle le mani e portarla lontano, lontano da tutto quello che gli stava accadendo.
Un posto fantastico, pieno di ruscelli e animali, dove loro avrebbero vissuto in una tranquilla e normale casetta immersa nel verde, in compagnia magari di un paio di cani dalle orecchie penzolanti. Voleva portarla nel suo sogno, candito forse da fin troppe sdolcinerie. Ne era consapevole, non era da lui, ma ogni volta che la sua mente volava alla sua amata, tutto in cuor suo cambiava.
I pensieri furono interrotti da un fruscio poco distante. Si bloccò terrorizzato. Subito pensò che il vecchio lo avesse raggiunto e che, per qualche motivo, l’amico non fosse riuscito ad avvisarlo. Iniziò a sudare.
Si guardò velocemente intorno, un ramo, spesso come il suo braccio, sbucava dalle foglie secche che ricoprivano il terreno. Non ci pensò due volte, lo raccolse da terra e si nascose dietro a una grossa quercia.
Un forte brivido gli attraversò la schiena. Il fruscio aumentò. Il cuore gli scoppiò nel petto e con il corpo teso come una corda, pronto a scattare al minimo pericolo, sospirò cercando di calmarsi.
Il grosso cespuglio vicino a lui si mosse. Si stupì di come il suo corpo stesse reagendo appiattitosi contro la ruvida corteccia dell’albero, nonostante le centinaia di formiche che lo abitavano. Ma non si mosse, restò immobile anche davanti al ragno dai colori scarlatti che, con estrema delicatezza, gli si posò sulla spalla destra scendendo giù dal ramo più vicino. Non c’era tempo per aver paura di un insetto che, per quanto grosso come il suo pugno, non era la minaccia principale. L’aracnide, dopo pochi istanti, forse percependo l’aria tesa che si respirava, si arrampicò sulla sua resistente ragnatela, svanendo tra le foglie.
All’improvviso, una sagoma magra e slanciata apparve dalla vegetazione alla sua sinistra.
Le braccia si mossero da sole e il grosso bastone roteò velocemente rovinando così sul fianco della figura.
«Wo… Wo… Wo! Calmati ragazzino!» imprecò l’individuo massaggiandosi le costole.
Il viso, coperto da uno strano cappuccio con la punta storta cadente su se stessa.
«Chi sei? Cosa vuoi da me?» domandò Jack spaventato. Il suo corpo, tranquillo e immobile pronto a colpire nuovamente.
«Calmati giovanotto, sono anni che ti sto cercando e sinceramente, mi aspettavo un altro tipo di accoglienza.» disse pulendosi le strane vesti dalla polvere. Stretti pantaloni in pelle nera, consumati sulle ginocchia, terminavano dentro a un paio di stivali del medesimo colore che, morbidi, si avvolgevano sulle caviglie grazie a lunghe cinghie di bronzo intrecciate tra loro.
A coprire lo smunto petto, un pezzo di stoffa biancastra che, come un serpente, si stringeva creando un gioco di pieghe e ombre. Questo, insieme alle bretelle lasciate a penzoloni, davano all’individuo un’aria lontana.
«Voi terrestri!», si voltò scuotendo il capo. Jack lo fissò ammutolito. L’estraneo tirò fuori dalla tasca un piccolo pugnale e, con un sorriso stampato in viso, si girò di scatto lanciandolo verso di lui.
Le braccia del giovane si mossero nuovamente facendo roteare il bastone ancora saldo nelle proprie mani e dopo aver visto conficcarsi la lama sul legno al posto che sul suo viso, Jack cadde a terra terrorizzato.
«Bene, sei proprio tu Zeno!», scoppiò a ridere la figura soddisfatta. Il ragazzo, pietrificato, non riuscì a capire più nulla. Era stato in grado di parare il colpo senza accorgersene.
«Ma tu chi diavolo sei e che cosa vuoi da me?», si rialzò trasformando la paura in coraggio.
«Se ti fa stare meglio, Santos è il mio nome ma l'unica cosa importante è che tu ora venga via con me!», si limitò l’individuo sedendosi su un tronco spezzato dopo averlo accarezzato con amara dolcezza.
Jack si stropicciò il viso confuso. La testa iniziò a fargli male. Il tutto, incomprensibile. Poi, posò lo sguardo su quelle strane vesti. Decisamente particolari e stravaganti, la sua memoria non le riconobbe. La stoffa bianca, macchiata e logorata, s'interrompeva all’altezza delle spalle arrotolandosi disordinata e lasciandogli così scoperti i bicipiti. Da entrambi gli avambracci però, riprendeva il suo percorso serpentando fino a raggiungere le prime due falangi delle dita.
Al collo, uno strano ciondolo in legno raffigurante un salice piangente si adagiava all’altezza dei pettorali. Le braccia, più lunghe del normale, erano fini e con qualche cicatrice qua e là. Alto quasi due metri, lo sconosciuto sembrava uscito da qualche strano film medievale.
«Venire con te? Ti ha mandato mia madre, vero?» ipotizzò stupito il giovane. Pensò subito che quella vecchia arpia della professoressa Lort avesse chiamato la madre per informarla della sua assenza e che quello strano individuo, dall’aria bizzarra più che pericolosa, fosse un qualche amico della donna con orribili gusti nell’abbigliamento.
«Vedi Zeno…»
«Mi chiamo Jack!», lo interruppe nervoso.
«Jack… Tua madre non c’entra niente…», alzò gli occhi al cielo lo straniero.
«Non so come spiegartelo…»,
«Non hai notato niente di strano in questi giorni?» domandò grattandosi nervosamente la testa sotto il cappuccio.
Jack non seppe cosa rispondere. Di quel discorso, nulla di chiaro.
«Hai sbagliato completamente persona. Mi dispiace di averti colpito ma ora devo andare!»
Il pensiero della madre sgozzata gli tornò in mente con forza e l’unica cosa veramente importante era andare a ispezionare la fattoria.
Non poteva perdere tempo con uno squilibrato del genere.
Si voltò e riprese il sentiero.
«Guarda che non serve a niente andare nella fattoria. Tua madre non è in pericolo» disse l’individuo tutto d'un fiato.
Quelle parole gli squarciarono il petto e sentendosi improvvisamente indifeso e vulnerabile, Jack si voltò di scatto.
Chi era quell'individuo? Cosa voleva e come faceva a sapere quelle cose?
Gli tornarono in mente le parole di Max. Forse, l'amico aveva visto bene. Molto probabilmente la persona davanti a lui era un complice del vecchio.
Era in pericolo, doveva scappare.
Cominciò a correre il più velocemente possibile senza scegliere dove andare. L'importante