«Vuoi che piazzi qualche cimice?»
«No, per il momento no. Per le intercettazioni ambientali dovremmo ottenere l'autorizzazione del magistrato!»
Giunti sul posto, parcheggiammo nel solito luogo e proseguimmo a piedi. Volevo osservare per bene ll'inferriata a cui era stata legata la vittima. Le sbarre erano ossidate dalle fiamme, ma era evidente che non c'era da lì possibilità di accesso all'antro, che doveva avere la funzione di legnaia. L'inferriata metallica era infissa nel terreno e nelle pareti di roccia e, all'interno di quella specie di grotta, si vedevano solo detriti inceneriti e inumiditi dall'acqua usata dai pompieri.
«Nessuno dei nostri ha provato a entrare qui!» riflettei a voce alta, rendendo Mauro partecipe dei miei ragionamenti.
«Forse ritenevano non ci fosse nulla di interessante. E poi non c'è possibilità di accesso se non segando queste spesse sbarre» fu la replica del mio vice.
«Se è una grotta adibita a legnaia,a uso della vicina dimora, che senso ha non potervi entrare a prelevare la legna? Un primo ragionamento potrebbe far pensare che la grotta non sia fine a se stessa, ma che in qualche modo comunichi con l'abitazione per mezzo di un tunnel, ad esempio, una specie di passaggio segreto. Oppure potrebbe esserci un altro ingresso, magari nascosto tra la vegetazione. Hai una torcia elettrica, Mauro? Proviamo a fare un po' di luce là dentro!»
«Una torcia elettrica no, però possiamo utilizzare il display del palmare! No, non si riesce a vedere il fondo, ci sono troppi detriti.»
«Accidenti, ma tornerò qui con il mio cane e sono sicura che scoprirò qualcosa di interessante. Raggiungiamo il camioncino, ora!»
Superata la Fonte della Noce, imboccammo il sentiero che portava alla carcassa dell'automezzo e cominciammo ad aprirci strada tra la vegetazione a colpi di cesoie. Alcune piante spinose, quali rovi, rose selvatiche e biancospini, riuscirono comunque a infliggermi graffi superficiali a braccia e mani. Ogni tanto io e Mauro ci scambiavamo il pesante attrezzo e alla fine, dopo una mezz'ora abbondante, giungemmo in prossimità il mezzo. Era uno di quei piccoli camion con cassone in uso negli anni '60. Sul muso si riusciva ancora a leggere la marca OM e il modello, Lupetto, che era individuato da una scritta metallica in corsivo, attaccata in obliquo sulla parte anteriore della scocca. Del camion rimanevano solo le parti metalliche ossidate, per lo più ricoperte da vegetazione rampicante che prendeva origine dal terreno sottostante. Provai ad aprire lo sportello dal lato guida, ma era bloccato. Essendo il finestrino del tutto assente, decisi arrampicarmi per dare una sbirciata all'interno. Sull'anima metallica del volante riuscii a notare dei pezzi di filo di ferro.
«Dammi una spinta Mauro, voglio entrare nell'abitacolo.»
Mi sentii sollevare come un fuscello e mi ritrovai dentro il rudere. In effetti, gli spezzoni di filo metallico attaccati al volante potevano stati utilizzati a suo tempo per immobilizzare un'ipotetica vittima all'interno dell'abitacolo. Notai qualcosa sul fondo, vicino alla pedaliera, come una massa di plastica fusa, che cercai di staccare aiutandomi con un coltellino. Fuoriuscii dal rudere con i vestiti luridi, ma con in mano un trofeo.
«Che cos'è?» chiese Mauro.
«Non lo so ancora. Materiale fuso credo, ma di certo non appartiene a un tappetino di gomma. Mettilo in una busta, chiederemo alla scientifica di individuarne la natura. L'idea che qui sia stato consumato un delitto è sempre più palese. La vittima, magari tramortita, viene legata al volante con del filo di ferro, quindi il mezzo viene incendiato. Poi l'assassino, o gli assassini, riescono ad asportare il cadavere e occultarlo da qualche parte, lasciando dietro di sé solo la carcassa di un vecchio camion divorato dalle fiamme.»
«Quindi un'altra esecuzione con il fuoco!»
«Già, probabilmente dentro il camioncino ha trovato una morte orribile Mariella La Rossa, ma chi condusse l'indagine a suo tempo fu superficiale e non collegò, o non volle collegare, l'incendio del camion alla scomparsa della donna. Torniamo alla Fontana della Noce. Voglio capire qualcosa dei disegni ancora visibili sul terreno.»
Giunti alla fonte, ci dissetammo, poi cercai di interpretare a i simboli disegnati in terra. Da quello che ricordavo delle ricerche svolte per la mia tesi, un pentacolo, disegnato in prossimità di una fonte sacra agli adepti delle sette, con un coltello o un attrezzo a punta consacrato, indica sempre un luogo dedicato a un rito. A seconda dei disegni e delle scritte che vengono usati, i riti possono essere di diversa natura. Se vengono incisi nel terreno i quattro nomi potenti con cui veniva chiamato Dio nell'antichità, il sacerdote invoca gli spiriti, li chiama a sé per chiedere loro aiuto. A volte, per ingraziarsi gli spiriti e assicurarsi i loro favori, si può ricorrere a sacrifici, di animali ad esempio, o altre volte, ma più di rado, di essere umani. Con il sangue della vittima si scrive ciò che si chiede agli spiriti invocati, di solito sotto forma di metafore, incomprensibili a chi non fa parte della setta. Nel nostro caso, si riusciva ancora a visualizzare, nel terreno, una delle cinque punte del pentacolo e, accanto a essa, un segno che indicava il simbolo della Terra.
«Il pentacolo è la rappresentazione del microcosmo e del macrocosmo. Esso combina, cioè, in un unico simbolo, tutta la misticità della creazione, tutto l'insieme dei processi su cui si basa il cosmo. Le cinque punte del pentacolo simboleggiano i cinque elementi metafisici, acqua, aria, fuoco, terra e spirito. C'è un'apertura tra due mondi, il mondo degli stregoni e quello dei comuni viventi. C'è un luogo dove i due mondi si incontrano. L'apertura è lì, si apre e si chiude come una porta al vento» declamai, recitando a memoria quanto avevo letto in un testo di esoterismo.
Mauro mi guardò meravigliato.
«E tu credi a queste cose?»
«Certo che no. Questo è ciò che lo sciamano, il guru, il santone della setta, vuole che i suoi adepti credano, per poterli avere in pugno, per poter convincere i suoi sottomessi che anche se chiede un sacrificio, le eventuali vittime sacrificali devono solo essere contente di andare incontro alla morte.»
«Quindi, secondo te, qui è stato eseguito un rito in cui è stato chiesto un sacrificio umano? La vittima è stata catturata, portata poco più in là, legata all'inferriata e sacrificata col fuoco?»
«Già, e magari, sotto l'effetto delle droghe che di certo le avranno somministrato, era pure felice di bruciare viva.»
«Secondo te, Caterina, potrebbe essere Aurora la santona della setta, l'artefice di tutto ciò?»
«Non lo so, non abbiamo ancora elementi a sufficienza. Ma, dal momento che l'ora di pranzo è passata da un bel pezzo e non abbiamo ancora messo niente sotto i denti, proviamo a farci invitare a pranzo dalla strega? O preferisci tornare da Luigi?»
«Non vorrei cadere vittima di qualche boccone avvelenato preparato da Aurora per l'occasione. Meglio le trofie al pesto!»
Al ristorante chiesi a Luigi quale fosse la via più agevole per raggiungere il Lagu Degnu.
«Il Lago Degno è un luogo eccezionale, ma bisogna essere ben attrezzati per raggiungerlo. Ci sono due vie. Un sentiero parte da Molini e risale il torrente Argentina fino al lago. Ci vogliono degli stivali, perché c'è da camminare per alcuni tratti dentro il letto del torrente, laddove esso è incassato in una stretta gola. Il lago è formato dal Rio Grugnardo, che si getta nel Torrente Argentina con un salto di 15 metri, per cui, giunti sul luogo potrete ammirare una splendida cascata che si getta nel laghetto sottostante. Quest'ultimo, nonostante sia un piccolo specchio d'acqua, è piuttosto profondo in certi punti. L'altra via è un sentiero che scende da Triora, ma per percorrerla bisogna essere attrezzati di corde, imbragature e moschettoni.