Distraendomi un po' dalla guida, ma senza permettere alla Lamborghini di prendermi la mano, proruppi in un'esclamazione.
«E invece morta non è, se abbiamo le sue impronte qui dopo venti anni!»
«Già. Ma veniamo all'altra impronta, che corrisponde a tale Stefano Carrega, il giornalista genovese scomparso nel 2000 qui a Triora insieme a due suoi colleghi. Classe 1949, negli anni '70 risultava iscritto alla facoltà di Lettere e Filosofia a Bologna. Fu arrestato durante una manifestazione studentesca. Accusato di rissa, violenza nei confronti di una sua compagna di università, resistenza a pubblici ufficiali e detenzione illegale di armi, in quell'occasione fu schedato. Non ha altri precedenti.»
«Beh, quelli erano i cosiddetti anni di piombo. E quindi anche lui è in zona ed è a stretto contatto con la signora Della Rosa! Ma siamo sicuri che siano impronte recenti? E credi che questi elementi siano sufficienti a convincere il dottor Leone ad autorizzare una perquisizione della casa di Aurora?»
«Di sicuro le impronte non risalgono a venti anni fa, in quanto non sarebbero più evidenziabili. Che questi indizi siano sufficienti ad autorizzare una perquisizione, ne dubito, però ci stiamo immettendo in una strada che da qualche parte ci dovrebbe condurre. Inoltre, ho fotografato con il palmare una delle scaffalature, dove c'è qualcosa che non mi convince. Ora scarico via bluetooth la foto sul computer e la ingrandisco per osservarne i dettagli. C'è una fessura che fa pensare a una specie di porta nascosta, forse un passaggio segreto. Ho provato a tirare o spingere lo scaffale, ma non accade nulla.»
«Sarà presente un meccanismo di cui solo Aurora è a conoscenza! Figuriamoci se poteva essere così semplice!»
«Sì, forse, o magari non c'è nulla ed è solo una mia impressione. L'ultima cosa che ho notato, mentre tu eri imbambolata davanti a lei, è stato un notebook acceso. Mi sono trattenuto a stento dall'inserirci una chiavetta USB, per scaricare i dati. non ho messo in atto il mio proposito solo per paura che, da un momento all'altro, Aurora si sarebbe girata e mi avrebbe sorpreso. Però sono riuscito a capire che il computer è connesso alla rete tramite una linea ADSL della Telecom e sono riuscito a memorizzare sia l'indirizzo IP, sia l'ID del computer, per cui non dovrebbe essere difficile accedere ai dati da un computer remoto.»
«Prima di stoccare un affondo ad Aurora, che potrebbe essere prematuro, voglio portare a termine l'esame di tutti gli elementi che abbiamo a disposizione, ma soprattutto ci tengo a visitare gli altri tre luoghi che non abbiamo avuto ancora modo di osservare: il Lago Degno, la fontana di Campomavùe e la Via Dietro la Chiesa. Sono convinta che potremmo trovarci qualche sorpresa.»
Continuai a guidare con prudenza il bolide, che sotto le mani di Mauro invece sfrecciava come una saetta, fino a raggiungere il distretto. Quando vidi parcheggiato lì avanti il furgoncino della Polizia Cinofila di Ancona, il mio cuore fece un balzo. Parcheggiai e scesi di corsa dall'auto, cercai con lo sguardo l'autista del mezzo e incontrai alfine il suo sguardo sorridente.
«Agente Bernardini! Mi hai portato Furia? Finalmente! Dov'è? Ancora dentro il furgone?»
«Buonasera dottoressa, e ben trovata, anche se la vedo messa ancor peggio di quando lavorava con i nostri cani. Ma da dove viene, da un percorso di guerra, da una prova di sopravvivenza? No, il suo Furia non è nel furgone, l’ho sistemato nel box in cortile, l’ho già rifocillato e ho lasciato acqua a disposizione. Lo troverà in perfetta forma! Ora, se non le dispiace, vado a riposare un po' prima di riprendere la strada del ritorno.»
«Ti ringrazio, agente, e salutami tutti giù in Ancona.»
«Certo! Sentiamo molto la sua mancanza dottoressa. A presto!»
Ricordavo bene il giorno in cui l'ispettore Santinelli, che era anche un cacciatore, aveva portato con sé un cucciolo di Springer Spaniel, figlio di una sua cagna.
«Ho provato questo cane, ha un fiuto eccezionale ma ha un grosso difetto, ha paura degli spari, per cui non è adatto alla caccia. Tu, Caterina, non hai un cane tutto tuo. Ha sei mesi, è un maschio, è in perfetta salute e regolarmente vaccinato. L’ho chiamato Furia, perché è sempre in attività, non si acquieta mai, insomma è un vero terremoto. Tienilo tu, sono sicuro che con le tue capacità farai di questo cane un vero fenomeno!»
Avevo accettato la sfida e sistemato Furia nell'unico box vuoto. Sapevo che lavorare con un cane così non sarebbe stato semplice ma, dopo qualche mese,ero riuscita a dominare la sua esuberanza. Gli avevo insegnato a obbedire a semplici comandi, che aveva appreso senza difficoltà, dopo di che mi ero dedicata a lavorare sul suo fiuto.
Avevo anche fatto visitare Furia da Stefano, che aveva confermato essere un cane in perfetta salute, resistente alla fatica fisica e dal fiuto eccezionale.
«Vedrai, ti darà enormi soddisfazioni! Questo deve essere il tuo cane, non lo affidare a nessun’altro e vedrai che campione ne verrà fuori!»
E in effetti, Furia mi avrebbe riservato grandi soddisfazioni e non me ne sarei mai separata per alcun motivo. Era per questo che, prima della partenza, non avendo intenzione di farlo viaggiare all'interno della stiva di un aereo, avevo organizzato per lui un viaggio a parte, con la complicità di uno dei miei fidati collaboratori delle unità cinofile.
A quel punto, non potei evitare di correre subito in cortile e subire le feste e le leccate affettuose di Furia. Mi gettai in terra e gli permisi di venire sopra di me, abbracciandolo e rotolandomi per gioco insieme a lui, col risultato di rendermi ancor più lercia di quanto non fossi già.
Quando salii di sopra, lungo i corridoi incontrai diversi sguardi, stupefatti dal modo in cui ero conciata. Mi venne incontro Laura, con un pacco di fogli in mano, che rappresentava il risultato delle sue ricerche. Mauro, d'altra parte, mi informava che erano pronti i primi risultati dell'autopsia, che il medico legale aveva bisogno di parlarmene, e che avevamo inoltre a disposizione i risultati degli esami della scientifica.
«Datemi un attimo di tempo per sistemarmi. Ci vediamo tra dieci minuti nel mio ufficio.»
Mi diedi una rinfrescata veloce, mi cambiai gli abiti luridi ed entrai nella mia stanza ancora intenta a rifinire il mio trucco, osservando il mio viso nello specchietto dell'astuccio del fard. A un certo punto notai, riflesse dallo specchietto, le scritte che avevo tracciato sul grosso foglio bianco quella mattina.
«Ma certo, come non averci pensato prima?» fu la mia riflessione. «ENOMOLAS ID IVRES, letto da destra a sinistra diventa SERVI DI SALOMONE. Quindi la setta fa rifermento al Re Salomone, uno dei pilastri della religione ebraica.»
Qualcosa era sfuggito alla strega, durante la prima delle nostre conversazioni, su Salomone, ma io non avevo approfondito il discorso, perché pensavo che mi stesse fuorviando. Forse l'avrei dovuta lasciar parlare. Ricordavo bene che uno dei testi più importanti a cui fanno riferimento le sette esoteriche è la “Chiave di Salomone”. In quel momento squillò il telefono. Era la dottoressa Banzi, il medico legale, a cercarmi.
«Mi scusi, Commissario, ma vista l'ora tarda e visto che, nonostante i miei messaggi, lei non mi ha richiamato, ho pensato di riprovare prima di andare a casa. Le ho mandato un primo rapporto sull'autopsia, ma ci tenevo a parlarle di persona.»
«Mi dica pure. Cosa ha scoperto di interessante?»
«La vittima era una donna fra i trentacinque e i quarant'anni ed è morta a causa del fuoco. La fuliggine nei polmoni prova che era viva quando il suo corpo è stato dato alle fiamme.»
«È stata bruciata viva, insomma. Che fine orribile!»
«Non sono state rinvenute altre lesioni sul cadavere, quindi ho pensato che sia stata stordita con dei sedativi o della droga, e questo lo sapremo nei prossimi