La massiccia porta dorata iniziò a scorrere all'interno del muro a doppia testata, lasciando libero accesso alla più segreta delle stanze del tempio. Al centro della stanza, sopra una colonna di circa un metro e venti di altezza, un cofanetto d'avorio custodiva il libro e l'anello con il sigillo di Salomone, il più potente talismano di tutti i tempi. Non senza emozione, aprì lo scrigno. Il libro era al suo posto, ma non l'anello. Chi era giunto lì prima di lei era riuscito a trafugarlo, assicurandosi una potenza non indifferente e difficile da combattere, qualora utilizzata per scopi malefici. Ma ora la maga non aveva tempo di pensare, aveva tutta la notte per poter assimilare quanto Salomone aveva scritto tantissimi secoli prima, cosa che non aveva ricevuto dalla memoria di Roboamo, in quanto egli, anche se aveva accesso al Sancta Sanctorum, non aveva mai avuto il coraggio di affrontare il sacro testo. Quando fu sicura di avere imparato a memoria tutte le formule e le invocazioni, ripose la Chiave nel cofanetto e uscì, percorrendo a ritroso il cammino fatto per arrivare fin lì. Quando uscì nel salone, notò che dalle finestre iniziavano a entrare le prime luci dell'alba. Ruotò il medaglione sulla statua del gatto, riportandolo alla posizione iniziale, e il passaggio da cui era appena uscita si richiuse.
Era ora di tornare a casa, in Liguria, e questa volta il viaggio sarebbe stato breve. Avrebbe usato il teletrasporto, che era una delle nuove magie che aveva appena appreso. Ma prima doveva congedarsi da Larìs. Tornò al chiostro, dove si trovavano le stanze degli ospiti, incontrò Ero e Dusai già alzati che conversavano sul bordo della piscina. A entrambi sfuggì un apprezzamento sul nuovo aspetto di Aurora.
«Accidenti! Fosse stata così l'altro giorno!» commentò Dusai.
La maga evitò di ribattere e bussò alla porta di Larìs, che era ancora immersa nel mondo dei sogni. Assonnata, Larìs aprì la porta e guardò la giovane con aria interrogativa. Quando si rese conto che era la sua compagna di viaggio, si stropicciò gli occhi pensando che ancora stesse sognando.
«Sì, sono io!» disse Aurora. «Me ne sto andando, ma rimarremo in comunicazione telepatica. Quando avrò bisogno di te, lo saprai, e avrai modo di raggiungermi nel più breve tempo possibile.»
Poi avvicinò le sue labbra a quelle di Larìs, e la baciò.
«A presto!»
Aurora uscì dal tempio e raggiunse una radura isolata, dove si sedette in terra, avendo cura di non incrociare le gambe, si concentrò sul luogo in cui doveva recarsi e pronunciò la formula magica. Come catturato da un vortice, da una specie di tromba d'aria, il suo corpo svanì per riapparire a Triora, all'interno della sua dimora.
«Eccomi a casa!»
CAPITOLO IV
Ci dirigemmo a piedi verso la scena del delitto, che era già stata delimitata dalle strisce di plastica bianche e rosse con la scritta "Polizia di Stato". Il luogo era annerito dall'incendio e bagnato dall'acqua usata per spegnerlo, ma quello che più colpiva era l'odore nauseabondo che si era costretti a respirare. L'odore della carne umana bruciata, che ancora aleggiava nell'aria, era davvero insopportabile. Quando vidi il corpo, riuscii a trattenere a stento un conato di vomito. A prima vista sembrava un manichino, piegato su stesso, addossato a un cancello metallico che chiudeva una specie di grotta, la forma umana annerita dalle fiamme. Non c'era più traccia dei capelli e in qualche zona si intravedevano le ossa in mezzo a qualche brandello di pelle incartapecorita. Si intuiva che era il corpo di una donna dalla sagoma dei seni. All'altezza di polsi e caviglie si notavano come dei filamenti di plastica fusa, indice di qualcosa che doveva essere servita per legare la vittima al cancello. Il medico legale stava eseguendo i primi rilievi sul corpo, mentre gli uomini della scientifica erano in paziente attesa che questi terminasse per iniziare il loro lavoro. Dicendo a Mauro di attendermi, mi avvicinai oltrepassando la barriera di strisce di plastica. Quando avvertì la mia presenza, il medico sollevò la testa e sfilò i guanti di lattice, scuotendo la testa. La persona che stava porgendo la mano verso di me era una donna sulla trentina, minuta, capelli corti mori, occhi scuri e un piccolo piercing dorato al naso.
«La dottoressa Ruggeri, immagino! Piacere, dottoressa Ilaria Banzi, medico legale.»
«Che cosa mi può dire di questa povera donna?»
«Veramente raccapricciante, nella mia sia pur breve carriera non ho mai visto niente di simile. Non so dire ora se fosse viva o morta quando è stata data alle fiamme ma, dal momento che sembra evidente che sia stata legata mani e piedi a quel cancello con del nastro adesivo, penso proprio che sia stata bruciata viva. Questo particolare ce lo dirà l'autopsia. Per il momento posso dire che siamo in presenza di soggetto di sesso femminile, intorno ai trentacinque, quarant’anni al massimo, a giudicare dalla dentatura, ma non posso essere precisa neanche in questo, in quanto il fuoco ha alterato tutto. Appena la scientifica avrà fatto i suoi rilievi, disporrò il trasferimento del corpo all'obitorio e nel più breve tempo possibile le invierò il referto necroscopico. Tra poco sarà qui anche il magistrato. Le auguro buona fortuna, non sarà un'indagine semplice!»
Mi congedai da lei e andai verso gli uomini in uniforme.
«Si sa qualcosa dell'identità della vittima?» chiesi.
«Sicuramente non aveva documenti addosso!» fu la risposta sarcastica di un sovrintendente, che fulminai con lo sguardo. «Capisco, non era una battuta felice. Ciò che sappiamo è che la vittima è stata legata con del grosso nastro adesivo, quello da pacchi per intenderci, all'inferriata metallica ed è stato appiccato il fuoco. Quella specie di grotta è in realtà una vecchia legnaia, all'interno della quale c'era legna secca e altro materiale infiammabile. Dal momento che in questa zona si parla tanto di streghe, abbiamo pensato che qualcuno abbia voluto simulare l'esecuzione di una strega al rogo. Magari un gioco sadico tra due amanti, perché no? Lei si fa legare, consenziente, lui accende un fuocherello per dare più verve al gioco, ma poi la situazione sfugge di mano, si alza il vento, scoppia l'incendio e per la donna, così legata, non c'è scampo. Ci siamo fatti quest'idea.»
«Molto fantasiosa, direi, e mal supportata da elementi probatori. A lei piace fare giochetti di questo tipo con la sua compagna?»
Forse colpito nella sua intimità, arrossì, si schiarì la voce e cercò il modo di defilarsi: «Sta arrivando il magistrato. Ora sarà lui a formulare le ipotesi giuste. Mi perdoni, le mie erano solo congetture.»
Il magistrato era un uomo sui cinquant'anni, capelli brizzolati, alto quasi quanto Mauro, magro. A vederlo somigliava a un rapace, con il naso adunco, le labbra strette e gli occhiali da lettura alzati sulla fronte. Si avvicinò a Mauro, che gli strinse la mano e mi presentò.
«Dottor Leone, la dottoressa Ruggeri. La mia collega è appena arrivata da Ancona e si è già trovata nel pieno delle attività.»
«Già, vedo! Bene, credo che qui per me al momento ci sia poco da fare. Tenetemi aggiornato sulle indagini e cercate di chiudere questo caso nel più breve tempo possibile. Non siamo abituati a tali delitti efferati in questa zona e non voglio noie con i giornalisti.»
Cercai di intervenire, chiedendogli se volesse interrogare insieme a noi la proprietaria della limitrofa abitazione, la famosa Aurora, ma lui si congedò con una morbida stretta di mano e un “Buon lavoro!”.
Chissà perché ho sempre odiato le persone che quando ti danno la mano non la stringono, comunque intentai un sorriso a denti stretti e risposi: «Grazie.»
Quando si fu allontanato, mi rivolsi a Mauro.
«Se ora arrivasse anche il questore di Imperia e fosse altrettanto simpatico, rischierei di giocarmi il posto che ho appena ricoperto. Mi capisci, vero? Bene, mentre la scientifica fa il suo lavoro qui, andiamo a conoscere questa strega.»
Mauro mi sorrise con aria complice e mi seguì volentieri. Tutto sommato iniziava a starmi simpatico e presto avrei scoperto che, dietro l'aria da Rambo tutto muscoli, nascondeva un'intelligenza spiccata ed era un buon osservatore, tutti elementi che ne facevano un bravo poliziotto ed un valido collaboratore.
Un sentiero attraversava la vegetazione,