Mentre il frastuono continuava, tornò rapidamente dalla ragazza più debole e più magra, quella che sembrava a malapena viva. Lei lo guardò con una strana espressione. Era l’unica che era stata lì abbastanza a lungo da sapere che cosa l’uomo stava per fare. Sembrava quasi che lei fosse pronta per quello, forse gliene era persino grata.
L’uomo non ebbe esitazioni.
Si accovacciò accanto a lei, e le spezzò il collo.
Mentre la vita lasciava il suo corpo, lui stette a guardare un antico orologio intarsiato, appeso proprio di fronte alla recinzione. Una Morte scolpita a mano decorava la parte anteriore e posteriore dell’orologio: indossava un manto scuro con cappuccio, da cui emergeva un sorridente volto scheletrico ed appariva intenta ad abbattere cavalieri, re, regine e plebei. Era l’orologio preferito di Scratch.
Il rumore circostante scemò lentamente. Presto, non ci fu più alcun suono ad eccezione del coro di lancette ticchettanti e dei singhiozzi delle donne sopravvissute.
Scratch prese la ragazza morta sulle spalle. Era leggera come una piuma, tanto che non fece alcuno sforzo. Aprì la gabbia e ne uscì, richiudendola dietro di sé.
Sapeva che era giunto il momento.
CAPITOLO SEI
Davvero una buona interpretazione, pensò Riley.
La voce di Larry Mullins tremava un po’. Dopo aver letto la dichiarazione, preparata per la commissione, chiamata a decidere della sua richiesta di libertà condizionale, e per le famiglie delle vittime, sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
“Ho avuto quindici anni di tempo per ricordare quello che ho fatto” disse Mullins. “Non passa un giorno in cui non sia pieno di rimorso. Non posso tornare indietro e cambiare quello che è successo. Non posso riportare Nathan Betts e Ian Harter in vita. Ma ho davanti degli anni, in cui potrei dare un significativo contributo alla società. Per favore, datemi una possibilità di farlo.”
Mullins si sedette. Prese il fazzoletto, che gli aveva porto il suo avvocato, e fece per asciugarsi le lacrime ma Riley non ne vide sgorgare.
Il consigliere relatore e il coordinatore parlottarono tra loro. Altrettanto fecero i membri della commissione per la libertà condizionale.
Riley sapeva che presto sarebbe stato il suo turno di testimoniare. Intanto, studiò il volto di Mullins.
Lei lo ricordava bene, e non le parve molto cambiato.
Anche a suo tempo si era presentato bene ed aveva parlato appropriatamente, con una sincera aria d’innocenza intorno a sé. Se ora si era indurito, nascondeva tutto dietro la sua espressione di dolore. A quei tempi, aveva lavorato come tata.
Riley fu molto colpita da quanto poco fosse invecchiato. Aveva venticinque anni quando era finito in prigione. Aveva ancora la stessa espressione, amabile e giovanile, di allora.
Lo stesso non valeva per i genitori delle vittime. Le due coppie sembravano essere prematuramente invecchiate, e distrutte nello spirito. Il cuore di Riley doleva per tutti i loro anni di dolore e dispiacere.
Avrebbe voluto fare qualcosa di buono per loro sin dal principio. Così come il suo primo partner, Jake Crivaro. Quello era stato uno dei primi casi di Riley, come agente, e Jake si era rivelato un buon mentore.
Larry Mullins era stato arrestato per l’omicidio di un bambino in un parco giochi. Durante le loro indagini, Riley e Jake scoprirono che un altro bambino era morto in circostanze quasi identiche, mentre era affidato a Mullins in una diversa città. Entrambi erano stati soffocati.
Quando Riley aveva arrestato Mullins, gli aveva letto i suoi diritti e lo aveva ammanettato, l’uomo aveva ostentato una espressione sorridente e compiaciuta; aveva fatto tutto tranne che ammettere la sua colpa.
“Buona fortuna” era arrivato a dirle sarcasticamente.
In effetti, le cose in un primo momento erano andate male per Riley e Jake, fin da quando l’uomo era stato messo agli arresti. Lui aveva fermamente negato di aver commesso gli omicidi. E, nonostante tutti gli sforzi di Riley e Jake, le prove contro di lui restavano pericolosamente poche. Era stato impossibile determinare il modo esatto in cui i ragazzi erano stati soffocati, e nessuna arma del delitto era stata trovata. Lo stesso Mullins aveva soltanto ammesso di averli persi di vista. Aveva negato di averli uccisi.
Riley ricordò le parole che il pubblico ministero aveva detto a lei e Jake.
“Dobbiamo stare attenti, o il bastardo se la caverà. Se proviamo ad incriminarlo per ogni possibile accusa, perderemo. Non possiamo provare che Muslims fosse l’unica persona ad avere accesso ai bambini, quando sono stati uccisi.”
Infine giunse il patteggiamento. Riley li odiava.
La sua avversione era cominciata con quel caso.
L’avvocato di Mullins propose un accordo: si sarebbe dichiarato colpevole di entrambi gli omicidi, ma senza premeditazione, e le sentenze avrebbero avuto corso simultaneamente.
Fu un patteggiamento disgustoso. Non aveva neanche senso. Se Mullins aveva ucciso davvero i bambini, come poteva essere soltanto negligente? Le due conclusioni erano completamente contraddittorie. Ma il pubblico ministero non ebbe altra scelta che accordare il patteggiamento. Mullins accettò la condanna a trent’anni di prigione con la possibilità di libertà condizionale, o il rilascio anticipato per buona condotta.
Le famiglie erano rimaste inorridite, distrutte. Avevano criticato Riley e Jake per non aver svolto il proprio lavoro. Jake si era dimesso alla chiusura del caso, amareggiato e arrabbiato.
Riley aveva promesso alle famiglie dei ragazzi che avrebbe fatto di tutto pur di mantenere Mullins dietro le sbarre. Pochi giorni prima, i genitori di Nathan Bett avevano chiamato Riley per dirle della richiesta di libertà condizionale. Era giunto il momento di mantenere la sua promessa.
I mormorii cessarono e il consigliere relatore, Julie Simmons, guardò Riley.
“So che l’Agente Speciale dell’FBI Riley Paige vorrebbe rilasciare una dichiarazione” disse.
Riley deglutì forte. Era arrivato il momento a cui si stava preparando da ben quindici anni. Sapeva che la commissione conosceva bene gli elementi di prova, incompleti com’erano. Non si poteva discuterne ancora. Lei doveva fare un appello più personale.
Si alzò e parlò.
“Comprendo che Larry Mullins è adeguato alla libertà condizionale, perché è un ‘prigioniero esemplare’”. Con una nota d’ironia, aggiunse: “Signor Mullins, mi congratulo con lei per il risultato ottenuto.”
Mullins annuì, col volto che non mostrava alcuna espressione. Riley proseguì.
“‘Condotta esemplare’—che cosa significa, esattamente? Mi sembra che più a che fare con quello che non ha fatto rispetto a quello che ha fatto. Non ha trasgredito le regole della prigione. Si è comportato bene. Ecco tutto.”
Riley lottò per mantenere ferma la propria voce.
“Francamente, non ne sono sorpresa. Non ci sono bambini in prigione che lui possa uccidere.”
Ci furono sussulti e mormorii nella stanza. Il sorriso di Mullins si trasformò in uno sguardo fisso.
“Chiedo scusa” aggiunse Riley. “Mi rendo conto che Mullins non si è mai dichiarato colpevole di omicidio premeditato, e l’accusa non ha mai ottenuto quel verdetto. Ma nondimeno si è dichiarato colpevole. Ha ucciso due bambini. Non può essere che l’abbia fatto con buone intenzioni.”
Poi, fece una pausa, per un momento, scegliendo con cura le parole successive. Avrebbe voluto indurre Mullins a mostrare la sua rabbia, a esporre il suo vero io. Ma, naturalmente, l’uomo sapeva bene che, se avesse ceduto alla provocazione, avrebbe rovinato il suo registro di buona condotta e non sarebbe mai uscito di prigione. La sua miglior strategia