Jessie fissava i piatti di cibo intatti che si trovavano sul tavolo della sala da pranzo, poi controllò il telefono per la terza volta negli ultimi cinque minuti. Erano le 7:13 e ancora nessuna notizia da parte di Kyle.
Le aveva scritto un messaggio subito dopo aver sentito la segreteria telefonica, dicendo che il programma per la cena gli sembrava grandioso e che pensava di essere a casa per le 6:30 quella sera. Ma erano passati quasi quarantacinque minuti e lui ancora non c’era. Peggio: non aveva neanche tentato di contattarla.
Jessie aveva preparato tutto in modo che la cena sarebbe stata calda e fumante sul tavolo ad aspettarlo alle 6:45, giusto in caso avesse tardato un poco. Ma non si era fatto vedere. Gli aveva già mandato due messaggi e ne aveva lasciato un altro in segreteria nel frattempo. Eppure non aveva sentito alcuna risposta da parte sua. Ora il pesce era sul tavolo, per lo più freddo, a fissarla con i suoi occhi vitrei e privi di empatia.
Finalmente, alle 7:21 Kyle la chiamò. Dal rumore di sottofondo, capì prima ancora che parlasse che si trovava in un bar.
“Ciao Jess,” gridò per farsi sentire sopra la musica alta. “Scusa se ti chiamo così tardi. Come vanno le cose?”
“Ero preoccupata per te,” disse lei cercando di contenere la frustrazione.
“Oh, scusa,” le disse con rimorso veramente minimo nel tono. “Non intendevo preoccuparti. Mi è successa una cosa dell’ultimo minuto. Teddy ha chiamato verso le sei dicendo che aveva degli altri potenziali clienti per me. Mi ha chiesto di incontrare lui e questi tizi a un bar che si chiama Sharkie’s, al porto. Ho pensato che non posso certo farmi sfuggire delle opportunità del genere, dato che sono nuovo in ufficio, no?”
“Non potevi chiamare per dirmelo?”
“Colpa mia,” gridò. “Ho fatto tutto così di fretta che mi è sfuggito. Sono riuscito a sgattaiolare fuori un secondo solo adesso per chiamarti.”
“Avevo preparato una grossa cena, Kyle. Dovevamo festeggiare stasera, ricordi? Ho aperto una bottiglia di vino da cento dollari. Doveva essere una seratina romantica.”
“Lo so,” le disse. “Ma non posso tagliare la corda su queste cose. Penso di poter assicurare entrambi gli amici di Teddy come clienti. E possiamo sempre tentare un po’ di produzione bambini quando torno a casa.”
Jessie sospirò profondamente, in modo da poter mantenere la voce calma quando rispose.
“Sarà tardi quando torni a casa,” disse. “Io sarò stanca e tu mezzo ubriaco. Non era così che mi ero immaginata le cose.”
“Ascolta, Jessie. Mi spiace non averti chiamato. Ma vuoi che mi lasci scappare un’opportunità come questa? Non sono qui a bere e basta. Sto conducendo degli affari e cercando nel mentre di farmi dei nuovi amici. Intendi impugnare questa situazione contro di me?”
“Immagino che imparerò quali sono le tue priorità,” rispose lei.
“Jessica, tu sei sempre la mia priorità numero uno,” insistette Kyle. “Sto solo cercando di equilibrare tutto. Mi sa che ho fatto una cazzata. Prometto di essere a casa per le nove, va bene? Va bene per il tuo programma?”
Le era sembrato sincero fino all’ultima frase, che sgocciolava sarcasmo e risentimento. La parete emotiva che Jessie aveva eretto tra loro stava lentamente crollando fino al momento in cui sentì quelle parole.
“Fai quello che ti pare,” gli rispose bruscamente prima di riagganciare.
Si alzò e si diede un’occhiata nello specchio della sala da pranzo. Indossava un abito da sera di satin blu, con una scollatura vertiginosa e un lungo spacco laterale che si apriva a partire dalla parte alta della coscia. I capelli erano raccolti in un informale chignon che aveva sperato di sciogliere come parte della seduzione post-cena. I tacchi che indossava la portavano dalla sua normale altezza di un metro e settantacinque a ben oltre il metro e ottanta.
All’improvviso le sembrava tutto così ridicolo. Stava giocando a un triste giochetto dei travestimenti. Ma quando si andava al sodo, non era altro che un’altra patetica casalinga che aspettava che suo marito tornasse a casa e desse significato alla sua vita.
Afferrò i piatti e andò in cucina, dove gettò il cibo nella spazzatura, il pesce e tutto. Si tolse il vestito e si mise in tuta. Dopodiché tornò in sala da pranzo, prese la bottiglia aperta di Shiraz, se ne versò un bicchiere pieno fino all’orlo e fece un sorso mentre andava in salotto.
Si lasciò cadere sul divano, accese la TV e si mise a guardare quella che sembrava una maratona di Life Below Zero, una serie reality con persone che vivevano di loro spontanea volontà in parti remote dell’Alaska. Lo giustificò dicendo a se stessa che questo l’avrebbe aiutata ad apprezzare il fatto che ci fossero persone che se la passavano molto peggio di lei, nella sua casa elegante nel sud della California con il suo costoso vino e la sua televisione con schermo piatto da settanta pollici.
Da qualche parte attorno al terzo episodio e mezza bottiglia svuotata, si addormentò.
*
Fu svegliata da Kyle che le scuoteva delicatamente la spalla. Guardandolo con occhi appannati, capì che era mezzo carico anche lui.
“Che ore sono?” mormorò.
“Sono passate da poco le undici.”
“Cos’è successo al programma di essere a casa per le nove?”
“Sono stato trattenuto,” disse lui timidamente. “Ascolta, tesoro. So che avrei dovuto chiamare prima. Non è stato carino. Sono davvero dispiaciuto.”
“Ok,” rispose Jessie. Aveva la bocca impastata e le faceva male la testa.
Kyle le accarezzò il braccio con le dita.
“Mi piacerebbe farmi perdonare,” le suggerì.
“Non stasera, Kyle,” rispose Jessie scrollandosi la sua mano di dosso mentre si alzava. “Non sono dell’umore giusto. Neanche un po’. Magari la prossima volta puoi tentare di non farmi sentire una schifezza. Vado a letto.”
Salì le scale, e nonostante l’urgente bisogno di girarsi a vedere la sua reazione, continuò lungo la sua strada senza aggiungere una parola di più. Si mise a letto senza neanche spegnere la luce. Nonostante il mal di testa e la bocca impastata, si addormentò in meno di un minuto.
*
Jessie sentì un ramo spinoso che le graffiava il volto mentre correva attraverso il bosco buio. Era inverno e lei sapeva che anche scalza i suoi passi che battevano sulle foglie secche che ricoprivano la neve risuonavano con forza, e che lui l’avrebbe probabilmente sentita. Ma non aveva scelta. La sua unica speranza era di continuare a muoversi, e sperare che lui non la trovasse.
Ma lei non conosceva bene il bosco, mentre lui sì. Lei stava correndo alla cieca, completamente perduta e alla ricerca di un segnale familiare. Le sue gambette erano troppo corte. Sapeva che lui la stava raggiungendo. Sentiva i suoi passi pesanti e il suo respiro ancora più pesante. Non c’era nessun posto dove nascondersi.
CAPITOLO SEI
Jessie si mise a sedere di scatto sul letto, svegliandosi giusto in tempo per sentire il suo stesso grido. Le ci vollero un paio di secondi per orientarsi e rendersi conto che si trovava nel proprio letto a Westport Beach, con indosso i vestiti nei quali si era addormentata la notte precedente, non particolarmente sobria.
Aveva il corpo completamente ricoperto di sudore e il respiro accelerato. Le pareva di poter effettivamente sentire il sangue che le scorreva attraverso le vene. Si portò la mano alla guancia sinistra. La cicatrice causata dal ramo era ancora lì. Era sbiadita e la si poteva per lo più mascherare con il trucco, diversamente da quella più lunga che aveva all’altezza della clavicola. Ma poteva ancora sentire come sporgeva dal resto della pelle. E poteva percepire ancora adesso il netto bruciore.
Guardò