“Non dico che non ci parleremo mai più,” garantì Keira, offrendogli un timido sorriso. “Possiamo sempre essere amici.”
L’espressione turbata dell’uomo si addolcì leggermente. “Okay. Sì. Mi piacerebbe.”
“Bene,” rispose lei con un sospiro sollevato. Non riusciva a sopportare il pensiero che quell’uomo svanisse del tutto dalla sua vita, anche se capiva che a livello romantico dovevano allontanarsi.
Aprì le braccia per stringerlo a sé ancora una volta, e Milo accettò. Rimasero abbracciati per un lungo momento. Solo la voce all’altoparlante che ripeteva ai passeggeri di dirigersi verso il gate d’imbarco li costrinse a separarsi.
“Sarò meglio che vada,” disse Keira. Lo guardò profondamente negli occhi. “Addio, Milo.”
Lui la tenne per mano, indugiando, per prolungare il momento. “Lo so che è una cosa strana da dire… ma grazie. Credo di essere stato molto fortunato a incontrarti.”
Keira sorrise. “Lo stesso vale per me.”
“Addio, Keira.”
Lasciandogli andare la mano, la giovane donna si girò e si allontanò. Dopo aver raggiunto il gate e aver consegnato il biglietto e il passaporto all’impiegato, si guardò indietro un’ultima volta. Milo era ancora dove l’aveva lasciato. Lo salutò con la mano, sentendo una fitta di dolore nel petto. Lui le fece un cenno a sua volta.
“Ecco a lei, signorina Swanson,” disse l’uomo al bancone, restituendole i documenti.
“Grazie,” rispose, riprendendoli.
Non si guardò più indietro.
Keira si accomodò sulla sua poltrona nell’aereo. Anche se era triste per aver chiuso la storia con Milo, era anche piena di energia. Tutta l’esperienza in Svezia era stata una preparazione all’indipendenza che aveva appena trovato.
Studiò gli altri passeggeri sull’aereo. Sui sedili alla sua sinistra c’era una coppia che si stava baciando, e poco più avanti una famiglia con dei bambini che si dimenavano, mentre i genitori tentavano di tenerli seduti ai loro posti. Per la prima volta non ne fu invidiosa. Il suo senso di indipendenza la fece sentire libera e soddisfatta. Stava percorrendo un viaggio diverso da quelle persone, e non avrebbe voluto niente di diverso.
Rincuorata, prese il portatile dal bagaglio a mano e iniziò a lavorare sull’articolo. Usò un approccio diverso da quello che aveva tenuto nei lavori precedenti, descrivendo una libertà priva di legami.
D’ora in avanti, quando mi innamorerò, lo farò alla maniera scandinava.
CAPITOLO TRE
Il mattino seguente, Keira si svegliò con la schiena dolorante. Batté le palpebre e si guardò intorno, disorientata. Le servì un lungo momento per capire dove si trovava. Non da Milo, non nella stanza a casa di sua madre, ma nel suo nuovo appartamento. Sfortunatamente, l’unica cosa che possedeva in quel momento era un materasso. Non aveva nemmeno una rete; era per quello che aveva mal di schiena.
Si sollevò faticosamente dal letto. Gli unici vestiti nell’appartamento erano quelli che aveva avuto in valigia. Per fortuna Yolanta aveva insistito per lavare tutte le sue cose durante le vacanze di Natale, quindi almeno erano puliti. In mezzo al mucchio di gonne di lana e jeans comodi scelse un outfit più adatto al lavoro possibile e uscì nelle strade di New York.
Non appena si ritrovò sul marciapiede, la sensazione di essere tornata a casa la riempì di emozione. Persino l’odore dell’inquinamento la confortava, nonostante il totale contrasto con l’aria fresca e pulita di montagna che aveva respirato in Svezia.
Si diresse verso un furgoncino che vendeva caffè a lato della strada, unendosi a una fila di impiegati con lo sguardo spento e basso sui cellulari.
“Vorrei un espresso doppio,” disse al venditore raggiunta la cima. Poi si interruppe. Beveva forte caffè svedese da settimane. Forse era il momento di cambiare. “No, ho cambiato idea, potrei avere un latte macchiato al caramello?”
L’uomo le lanciò un’occhiata stanca e disinteressata, ma Keira gli sorrise.
“Sono appena tornata da una vacanza. Voglio risentire il sapore di casa.”
“Buon per lei,” rispose quello con voce secca e impassibile.
Mentre aspettava la sua colazione, alcune persone che erano rimaste intorno al furgoncino per aggiungere lo zucchero al caffè si allontanarono e Keira notò che lì vicino c’era un’edicola che non aveva mai visto. Tra i giornali e le riviste c’era anche l’ultimo numero del Viatorum. Proprio come Nina le aveva preannunciato, la copertina era stata cambiata e invece della sua foto c’era quella della modella che avrebbero dovuto usare fin dall’inizio. Fu sollevata di vedere che l’avevano ascoltata , ma provò lo stesso una fitta d’ansia all’idea che quel giorno avrebbe dovuto consegnare l’articolo sui paesi nordici. Non riusciva a prevedere come Elliot avrebbe reagito alla sua conclusione.
Non appena ebbe avuto la sua dose di caffeina, si diresse verso la metropolitana. Per fortuna il suo nuovo appartamento era in una posizione comoda rispetto all’ufficio e il viaggio non era lungo, quindi ritrovarsi pigiata tra la folla non la infastidì come quando le capitava di ritorno da casa di sua madre.
Uscì dall’altro capo della metro e iniziò la breve camminata fino al quartier generale del Viatorum. Nona appena se lo trovò davanti, le squillò il cellulare. Lo controllò e vide che era un messaggio di Bryn.
Stasera puoi venire a cena dalla mamma? Io e Felix abbiamo delle novità.
Rimase a bocca aperta e il pensiero le corse subito al matrimonio. Di certo sua sorella non avrebbe voluto mettere su casa con Felix tanto in fretta? Erano appena andati a vivere insieme!
Keira le rispose rapidamente, scrivendole che ci sarebbe stata. Mise via il telefono—e insieme a quello ogni ipotesi sulle novità di Bryn—ed entrò in ufficio.
Il quartier generale della rivista brulicava di attività. Da quando Lance aveva assunto nello staff un gran numero di nuovi dipendenti freschi di laurea—con un certo sgomento di Elliot—l’ufficio era diventato sempre più affollato. E dato che si trovava dentro un ex magazzino convertito in un open plan, ogni rumore riecheggiava moltiplicato per dieci.
“Ehi, Keira,” la chiamò qualcuno e lei si voltò, vendendo Meredith che le faceva un cenno di saluto.
La scrittrice non aveva dimenticato il subdolo tentativo della collega di rubarle il suo ultimo incarico, quindi le rispose con un gelido: “Buongiorno.”
Scrutò i volti davanti a sé, alla ricerca di persone familiari, e notò Nina. Ma prima che potesse raggiungere l’amica di lunga data, Elliot emerse dall’ufficio. Indossava un abito rosso acceso, e aveva la fronte corrucciata in un profondo cipiglio.
“Era ora!” gridò, avvicinandosi a Keira e prendendola per un gomito.
L’intero ufficio si voltò per guardarla mentre il capo la sospingeva nel suo ufficio, con le guance rosse quanto il suo vestito.
“Cosa era ora?” domandò lei con l’angolo della bocca, trascinata in mezzo al corridoio.
“Era ora che ti facessi vedere!” esclamò Elliot.
Arrivarono nel suo cubicolo e l’uomo chiuse di colpo la porta.
“Che cosa è successo alla politica della porta aperta?” scherzò Keira. Era una delle varie idee sdolcinate che Lance aveva promosso dopo aver acquistato la rivista.
“Fidati di me, sarai felice che l’abbia chiusa,” sbuffò lui.
“Sono nei guai?” chiese la scrittrice, incrociando le braccia. Non le era piaciuto essere trascinata attraverso l’ufficio in quella maniera, e di certo non apprezzava il tono assunto da Elliot.
Il capo si voltò verso Keira, incrociando le braccia allo stesso modo. “Ti avevo detto che la scadenza era definitiva. E invece continui