“Brutta storia la tua.” Esordì… “ma ora cosa fai? Mica potrà finire tutto così?”
“Non credo siano fatti tuoi. Ero uno sbirro e ora non lo sono più, quindi vedi di farti gli affari tuoi.”
“Non volevo mancarti di rispetto. Lo sai che ho sempre avuto grandissima stima di te e vedrai che tutto questo si sistemerà, abbi fiducia nello Stato, la verità viene sempre a galla.”
“La verità, seeeee…la verità, a chi diavolo gliene frega della verità? A nessuno! E anche se fosse? Tutta questa faccenda si risolverà tra un anno o più, ed io sino ad allora che dovrei fare, dormire sotto un ponte? Eh me lo spieghi tu come faccio a campare per un anno senza lavorare, dopo quindici anni che faccio lo sbirro e lo stipendio mi bastava solo per arrivare a fine mese?”
“Tu sei una persona intelligente e non credo che la polizia sia il tuo unico mondo, apri gli occhi, allarga i tuoi orizzonti e vedrai che riuscirai in tutto ciò che vorrai. Questo è il mondo, il tuo mondo, ci sono persone che dal nulla diventano qualcuno solo perché hanno la volontà e la caparbietà di credere in loro stessi e la forza di non buttarsi giù alla prima difficoltà. Prendi tutto questo come la rinascita dello spirito e della persona, un capitolo nuovo ed entusiasmante della tua vita, della tua nuova vita.”
“Belle parole le tue, ma senza nulla non si va da nessuna parte.”
“Anche su questo ti do ragione, ma ora che hai intenzione di fare, di rimanere qui per il resto della giornata? Non rispondere nemmeno, prendi su i tuoi stracci e vieni a casa mia, se ti accontenti di un materasso buttato per terra, sei il ben venuto.”
“In altre circostante avrei rifiutato o almeno tentato di farlo, però accetto volentieri, e appena posso levo le tende. Ma con chi vivi? Anzi non me ne frega un accidenti, fai strada, e visto che ci siamo, che si mangia per cena?”
“Quasi me ne pento di averti invitato.”
CAPITOLO DUE – La risalita –
Non so se un nuovo capitolo stava iniziando o mi celavo a scoprire la fine della mia storia, fatto sta che presi quell’aiuto di buon auspicio e m’incamminai seguendo il mio nuovo coinquilino.
“Eccoci, siamo arrivati.”
Dopo aver cambiato tre autobus e aver fatto quasi un miglio a piedi arrivammo in quella specie di palazzo. Da fuori era tutt’altro che accogliente e di sicuro l’affitto non doveva essere stato molto alto, considerato l’intonaco che si sgretolava.
“Non male questa zona, servita bene poi.” Dissi in modo ironico. “Ma giusto per curiosità, visto che mi devo guardare un po’ attorno, quanto paghi d’affitto?”
“Affitto? E chi lo paga l’affitto, è mio l’appartamento, ogni santo mese ho la rata del mutuo, è come una martellata…come dite voi? Sui “maroni” giusto? Ogni dieci del mese.”
“Beh, però, almeno è casa tua, un affare, no?”
“Vero? L’ho pensato pure io quando l’ho comprata.”
“Ma me lo fai vedere quest’appartamento o rimaniamo fuori a parlare?”
L’interno era decisamente conciato meglio dell’esterno. Dopo aver salito le scale sino al primo piano, ad accoglierci fuori dall’uscio c’era un banale tappetino con la scritta “Benvenuti”. Mi bastò quel semplice zerbino per riscaldarmi il cuore e farmi sentire in un luogo famigliare. Non appena avevo varcato quella porta, era stato come entrare in una finestra astro temporale. La sciattaggine e il degrado rimasero fuori. Le pareti erano in condizioni perfette e incipriate di colori vivi e solari. All’ingresso vi era un piccolo disimpiego seguito da un’ampia tavola in mogano ben intagliata, che di sicuro avrebbe lasciato senza parole chiunque l’avesse osservata per la prima volta, come il sottoscritto. Questa era contornata da otto sedie, degne di accessoriare tale bellezza; come una parure di gioielli decora il collo di una bella donna. Sulla destra e sulla sinistra vi erano due porte a vetri. La prima custodiva la toilette, mentre una piccola e ordinata cucina si scopriva aprendo la seconda. Continuando ad avanzare e lasciando alle spalle la seconda porta, un’apertura senza infisso lasciava intravvedere a qualsiasi invitato una camera degli ospiti, anche se a dire il vero sembrava un piccolo disimpegno per rimanere un po’ appartati. Continuando con la perlustrazione visiva, mentre mi accingevo ad accomodarmi in un piccolo e morbido divano, almeno all’apparenza, un’altra porta annunciava l’ingresso a due camere da letto, le quali, ipotizzavo dalla luce dello specchio che ne rifletteva, condividessero il bagno.
Tralasciando questi vani, che dal mio punto di vista non erano il punto forte della casa, lasciandomi la tavola alla mia destra, potevo accedere a un piccolo disimpiego e a un grande salone. Queste stanze non erano separate tra loro, sebbene di primo acchito si avvertiva il distacco tra gli ambienti. Tale sensazione era creata dal diverso colore delle pareti e da una leggera gessatura finemente decorata, dando all’ambiente un’aurea regale.
Nel primo ambiente, quello più piccolo, erano posizionati due divani a tre posti, l’uno di fronte all’altro, con al centro un piccolo tavolino. Quest’ultimo aveva il ripiano in vetro dal quale si poteva notare una riproduzione del corano a dimensioni reali. Era aperto a metà e completamente rifatto in argento. Era stupendo e incastonato in quel mobile nero risaltava in tutta la sua magnificenza. L’altra stanza, due volte più grande, anch’essa contornata da dei divani piatti. A dire il vero non sapevo come definirli, perché erano composti solamente dalla parte sottostante e al posto dei poggia schiena c’erano dei giganteschi e morbidosi cuscini. Anche qui in mezzo c’era un piccolo tavolino, ma a differenza dell’altra stanza qui c’erano dei quadri. Erano tutti