Dal finestrino aperto della macchina di un teenager fermo al semaforo, la musica di Eminem conquistava i miei nervi… “Not Afraid” aumentando la rabbia e l’adrenalina che mi scorreva nelle vene. Avevo cominciato a cantare e a caricarmi. Non avevo motivo per farlo ma mi veniva naturale. Non dovevo. Avevo bisogno di stare calmo perché potevo fare delle stupidaggini. Mi ero messo a fissare il ragazzo al semaforo senza giustificazione, forse perché guardandolo era come se ricevessi direttamente quell’energia. Apprezzavo la musica e anche la macchina, un’Audi S3 bianco perla, dal tettuccio nero apribile. Quella non era una macchina, era un gioiellino, sarebbe stato il mio primo acquisto quando la vita avrebbe cominciato un po’ a girare. Ero curioso di vedere se al volante c’era il solito figlio di papà. Feci due passi avanti e con mio grande stupore vidi Senna. Il mio caro e vecchio amico Senna, quale coincidenza. Se solo avessi avuto un’auto degna di essere chiamata auto, l’avrei potuto stuzzicare per farci un giretto spinto per le vie della città, anche se a veder bene non era solo. Accanto a lui c’era una ragazza della quale però non riuscivo a vederne i lineamenti per scoprire chi fosse e se la conoscevo. Sapevo che era sposato e non diedi troppo peso a quella presenza, anche se averla conosciuta m’avrebbe agevolato la conoscenza della banda e non poco. Dal vetro abbassato sbucava il suo braccio completamente tatuato. Teneva la mano posata sull’esterno della carrozzeria, e tra le dita risaltava l’incandescenza di una sigaretta, a contorno dei numerosi anelli. Vedevo che indossava un paio di Rayban a goccia, colorandolo della fragile sicurezza appartenente alle persone che si sentono invincibili, e la quale sembrava riuscisse a proteggerle dal male del mondo. Sorrideva, assecondando la sua compagna, e di tanto di tanto si affacciava dal finestrino per espellere il fumo della “paglia”. Ebbene avevo scoperto che era anche mancino, ma non credo che sarebbe stato un dettaglio importante. Ero affascinato dal suo tatuaggio e non riuscivo a toglierli gli occhi di dosso. Era sempre stato un mio sogno, ma aimè, a causa del lavoro, non avevo la possibilità di farlo. Ora però sarebbe stato tutto diverso. Non appena l’autunno avrebbe cominciato a ingiallire i paesaggi, le mie braccia avrebbero cominciato a prendere un po’ di quel colore.
Distolsi l’attenzione dai due piccioncini, che sentii allontanarsi al verde, dietro il rombo del motore e la scia di rap americano. Ripensai alla mia vecchia auto, rinchiusa nel garage del mio avvocato, dove nessuno l’avrebbe potuta trovare e nessuno sarebbe riuscito a sequestrarla. L’unico inconveniente era che non potevo utilizzarla, e a dire il vero, quell’Audi TT nera, mi mancava da morire. Mi mancava il rombo del suo motore, la lancetta della benzina che scendeva a vista d’occhio non appena si premeva sull’acceleratore, ma ancor di più mi mancava guidare accarezzato dal vento, senza che una banale e inutile cappotta ostacolasse il filtrare dei raggi solari. Chissà quando sarei riuscito a guidarla nuovamente? Tutta quella storia era assurda. Ogni giorno che passava, ero convinto che mi stessero facendo uno scherzo. Io, sovrintendente della polizia di stato, che per il suo lavoro avevo sacrificato tutta la sua vita, ora mi trovavo per strada come se quegli anni e quell’impegno non era mai esistito. Oramai non gli importava più nulla. Mi ero rassegnato al fatto, che se così doveva andare, sarebbe andata così. Come detto, era il fato a scegliere per noi, non il contrario.
Il pensiero di poter cambiare il mio destino si faceva sempre più forte e insistente, ma il fatto che mi ritrovassi a condividere la vita con le solite persone mi scoraggiava. Dovevo cominciare a sbilanciarmi, allacciare nuove conoscenze, cambiare città. Avevo provato già diverse volte a fare tutto questo, ma poi mi ritrovavo a essere al punto di partenza, un po’ per pigrizia e un po’ per paura, ma forse questo era il momento adatto, non avevo scelta. Dovevo dare una svolta drastica alla mia vita, oppure sarei rimasto un poveraccio che si accontentava di quello che gli passava sotto il naso giorno dopo giorno. Non riuscivo a capacitarmi di come non riuscissi a sfuggire al mio destino, alla linea guida della vita, alla strada maestra tracciata per il mio cammino. Avevo voglia di uscire dal sentiero battuto e camminare sui prati verdi e colorati, con tutte le loro insidie e problematiche. Avevo voglia di vedere boschi e deserti, paesaggi belli e brutti, insomma volevo sentirmi vivo perché, se non facevo così, non sarei mai stato felice e avrei continuato a sentire il mio animo intrappolato in quel sentiero, come se ci fossero stati dei fili dell’alta tensione a impedirmi di uscire. L’oppressione che sentivo forse era uno stimolo per farmi cambiare drasticamente, prendere e gettarmi fuori pista. Giorno dopo giorno mi ripetevo che la vita era la mia, ne avevo una soltanto e non riuscivo a trovare una ragione sensata per far ammalare il mio cuore e la mia anima, e tutto perché non facevo quello che sentivo. Me l’ero sempre chiesto, e sino a quel momento avevo cercato di vivere senza rimorsi, senza svegliarmi la mattina con il pensiero: “e se avessi fatto così…e se fossi andato in quella parte del mondo…se solo avessi incontrato le persone giuste…se fossi andato a chiederle come si chiamava…se solo avessi avuto il coraggio di farmi avanti fregandomene delle persone che mi stavano attorno, riuscendo così a vivere la mia vita da protagonista e non da spettatore”
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