Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10. Edward Gibbon. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Edward Gibbon
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Зарубежная классика
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e di datteri, non beveva che acqua, predicava vestito d'un abito forato in dodici luoghi; e un satrapo di Persia, che venne a fare omaggio al vincitore, lo trovò addormentato fra i mendichi su i gradini della moschea di Medina. L'economia è la fonte della liberalità, e l'aumento delle rendite permise ad Omar di fondare premii durevoli per li servigi passati e presenti. Senza curarsi del suo personale mantenimento, assegnò ad Abbas, zio del Profeta, un'entrata di venticinquemila dramme o pezze d'argento; fu la maggiore di tutte; se ne promisero cinquemila ogni anno a ciascheduno de' vecchi guerrieri ch'erano stati alla battaglia di Beder, e l'ultimo compagno di Maometto fu ricompensato con un trattamento annuo di tremila dramme. Mille ne decretò a' veterani che aveano combattuto contro i Greci e i Persiani nella prima battaglia, e regolò gli altri soldi in ragion decrescente sino a cinquanta pezze, secondo il merito e l'anzianità dei soldati. Sotto il regno di lui e del suo predecessore, i vincitori dell'oriente si manifestarono zelanti servi di Dio e della nazione: erano consacrati i danari pubblici alle spese della pace e della guerra. Saggiamente accoppiate, la giustizia e la generosità serbarono la disciplina de' Saraceni, e, per una sorte assai rara, collegarono la speditezza e l'energia alle massime d'eguaglianza e di frugalità d'un governo repubblicano. Il coraggio eroico d'Alì215, la saviezza specchiata di Moawiyah216, accesero l'emulazione ne' sudditi, e i saggi, che s'erano istruiti nelle discordie civili, furono più profittevolmente impiegati a propagare la fede e l'impero del Profeta. Ma ben tosto datisi all'inerzia e alle vanità della reggia di Damasco, i principi della casa d'Ommiyah parvero ad un tempo scemi de' talenti politici, e delle virtù esemplari217. Nondimeno si recavano di continuo al piè del loro trono le spoglie di nazioni ad essi sconosciute, e debbe attribuirsi l'incremento costante della potenza degli Arabi piuttosto al coraggio della nazione, che al merito de' suoi Capi. Certamente convien valutare per molto ne' trionfi loro la debolezza de' nemici. Era nato per avventura Maometto ne' giorni in cui estremo era il digradamento e la confusione fra i Persiani, i Romani, e i Barbari dell'Europa. L'impero di Traiano, o quello pure di Costantino o di Carlomagno, avrebbe respinto que' Saraceni seminudi, e il torrente del fanatismo si sarebbe disperso e dileguato nelle arene deserte dell'Arabia.

      Al tempo delle vittorie della repubblica Romana, avea sempre avuto cura il senato di unire in una sola guerra tutte le sue forze e i suoi artificii politici, e di abbattere totalmente il primo nemico prima di provocare un secondo. Fosse magnanimità o entusiasmo, sdegnarono i Califfi arabi queste massime timorose: con ugual vigore, e con pari fortuna invasero i demani de' successori d'Augusto, non che quelli de' successori d'Artaserse, e le due monarchie rivali divennero in un punto stesso la preda d'un nemico, che da tanto tempo solevano dispregiare. In tutti i dieci anni del regno d'Omar sottomisero i Saraceni trentaseimila città o castella: demolirono quattromila chiese o templi di miscredenti, ed alzarono mille e quattrocento moschee per l'esercizio del culto di Maometto. Un secolo dopo la sua fuga dalla Mecca, i suoi successori davano la legge dalle frontiere dell'India all'oceano Atlantico; 1. alla Persia, 2. alla Sorìa, 3. all'Egitto, 4. all'Affrica, 5. alla Spagna. Io m'atterrò a questa partizion generale nel racconto di tanti memorandi conquisti: narrerò brevemente quelli che si riferiscono alle contrade più remote, e meno ragguardevoli dell'oriente: sarò più prolisso per quelle che erano porzioni dell'impero Romano. Ma per ottenere qualche scusa all'imperfezione di questa parte della mia Opera, deggio a buon dritto lagnarmi della cecità, e della insufficienza delle guide, a cui sono stato ridotto. I Greci, tanto verbosi nella controversia, pochissima cura posero nel celebrare i trionfi de' lor nemici218. Il primo secolo dell'Islamismo fu epoca d'ignoranza, e allora quando sulla fine di quel secolo furono scritti i primi annali de' Musulmani, non si fece in gran parte che seguire la tradizione219. Fra le tante opere della letteratura Araba e della Persiana220, i nostri interpreti scelsero gli abbozzi imperfetti che riguardavano un periodo più moderno221. Gli Asiatici sono ignari dell'arte e dello spirito della Storia222; ignorano le leggi della critica: quelle tra le lor opere che ebbero maggior fama, manchevoli d'ogni filosofia e del menomo sentimento di libertà, ponno compararsi alle cronache pubblicate a que' giorni da' Monaci. La Biblioteca Orientale, di cui andiam debitori ad un Francese223, istruirebbe il più dotto Muftì dell'oriente, e forse gli Arabi non troverebbero in un solo de' loro storici un racconto delle glorie patrie più chiaro ed esteso di quello, che siamo per esporre.

      A. D. 632

      I. Nell'anno primo del regno del primo Califfo, Caled, suo Luogo-tenente, Spada di Dio, e flagello degl'infedeli, s'inoltrò sino alle sponde dell'Eufrate, e sommise le città d'Anbar e di Hira. Una tribù d'Arabi sedentari s'era collocata su la frontiera del deserto, all'occidente delle ruine di Babilonia, e in Hira risedeva una stirpe di re che abbracciato avevano il cristianesimo, e che da più di sei secoli regnavano all'ombra del trono della Persia224. Da Caled fu sconfitto e morto l'ultimo de' principi Mondari; il suo figlio prigioniero fu mandato a Medina; i suoi Nobili piegarono le ginocchia davanti al successor di Maometto: fu sedotto il popolo dall'esempio e dalle vittorie de' suoi concittadini, e per primo frutto di sue conquiste ricevette il Califfo un annuo tributo di settantamila monete di oro. Sbalorditi rimasero i vincitori, e i loro storici ancora, da questo primo lampo di futura grandezza. «Nell'anno stesso, scrive Elmacin, diede Caled molte grandi battaglie: fece immensa strage d'infedeli, e un'innumerevole quantità di spoglie preziosissime cadde in balìa de' vittoriosi Musulmani»225. Ma all'invitto Caled sorvenne ben presto l'impegno della guerra di Sorìa: capitani meno operosi e meno avveduti diressero l'invasione della frontiera di Persia. Respinti furono con gran perdita i Saraceni al passo dell'Eufrate: è bensì vero che punirono l'insolenza de' Magi, ma fu poi ridotto il rimanente del loro esercito a vagare qua e là nel deserto di Babilonia.

      A. D. 636

      Per lo sdegno e pel timore rimasero alquanto tempo sopite le intestine turbolenze de' Persiani. Fu deposta Arzema loro regina per l'unanime voto dei sacerdoti e de' nobili: era essa il sesto degli usurpatori surti e scomparsi nello spazio di tre o quattro anni, dopo la morte di Cosroe e la ritratta di Eraclio. Ne fu data la corona a Yezdegerd, nipote di Cosroe, e per la coincidenza d'un periodo astronomico226 è segnata in una guisa memorabile l'epoca della caduta totale della dinastia de' Sassanii, e della religione di Zoroastro227. Non contava il nuovo re che quindici anni, e dalla gioventù ed inesperienza sua fu persuaso a sottrarsi dal rischio d'una battaglia. Lo stendardo regio fu consegnato nelle mani di Rustam, generale del suo esercito, il quale da trentamila soldati che lo formavano, s'aumentò, dicesi, a centomila, sudditi, o alleati della Persia. I Musulmani, che dapprima eran dodicimila, pe' rinforzi ricevuti presentavano un corpo di trentamila combattenti; accampavano nelle pianure di Cadesia228, e quantunque avessero meno teste, aveano più soldati che l'esercito irregolare degl'infedeli. Farò qui una osservazione cui mi verrà il taglio di rinnovare frequentemente: l'assalto degli Arabi non era, come quello de' Greci e de' Romani, l'urto d'una linea ben compatta e stretta di fanteria: cavalieri e arcieri erano il maggior nerbo delle loro forze, e non raro addiveniva che una battaglia, spesso interrotta e spesso rinnovata con zuffe corpo a corpo, e con iscaramuccio di fuggiaschi, potevasi prolungare per più giorni senza che vi fosse alcuna decisione di vittoria: con ispeciali denominazioni si distinguono i vari periodi della battaglia di Cadesia. Il primo s'appella la giornata del soccorso, a cagione di mille Siri che giunsero in tempo a soccorrere gli Arabi: la giornata della scossa indica senza altro il trambusto d'uno degli eserciti, e forse di entrambi: il terzo, nel quale seguirono gli assalti di notte, ha ricevuto il bizzarro titolo di notte del ruggito, a motivo delle grida discordi de' guerrieri, paragonate a' suoni inarticolati de' più feroci animali. La mattina susseguente decise la sorte della Persia, e una bufèra, sopraggiunta opportunamente, cacciò nembi di polvere negli occhi de' miscredenti. Il fragore dell'armi pervenne sino alla tenda di Rustam, il quale, ben diverso da un antico eroe


<p>215</p>

V. intorno al suo regno Eutichio (p. 343), Elmacin (p. 51), Abulfaragio (p. 117), Abulfeda (p. 83), d'Herbelot (p. 89).

<p>216</p>

V. sul suo regno Eutichio (p. 344), Elmacin (p. 54), Abulfaragio (pag. 123), Abulfeda (pag. 101), d'Herbelot (p. 586).

<p>217</p>

V. i regni loro in Eutichio (t. II, p. 360-395), Elmacin (p. 59-108), Abulfaragio (Dynast. IX, p. 124-139), Abulfeda (p. 111-141), d'Herbelot (Bibl. orient., p. 691), e gli articoli particolari di quest'Opera che si riferiscono agli Ommiadi.

<p>218</p>

Appena troviamo negli storici Bizantini qualche monumento originale sul 7.º e 8.º secolo, trattane la Cronica di Teofane (Theopanis confessoris chronolog., gr. et lat., cum notis Jacobi Goar. Parigi 1655 in fol.) e il compendio di Niceforo (Nicephori patriarchae C. P. Breviarium historicum, graec. et lat. Parigi 1648 in fol.): vissero questi due scrittori nel principio del nono secolo (V. Hancke, De scriptor. byzant., p. 200-246). Fozio, lor contemporaneo, non ci dà maggiori notizie. Dopo aver lodato lo stile di Niceforo, soggiunge: Και ολως πολλους εσι τον προ αυτου αποκρυπτομενος τηδε της ισοριας τη συγγραφη, e assolutamente oscura in quel ristretto d'istoria molti che lo precedettero; solamente si lagna della sua troppa brevità (Phot. Bibl. Cod. 66, p. 100). Si ponno raccogliere alcune giunte nelle storie di Cedreno e di Zonara, che son del duodecimo secolo.

<p>219</p>

Tabari, o Al-Tabari, nativo del Taborestan, famoso Imano di Bagdad, e il Tito Livio degli Arabi, terminò la sua storia generale l'anno 302 dell'Egira (A. D. 914). Sollecitato da' suoi amici, ridusse la sua Opera di trentamila fogli a più discreta misura; ma non si conosce l'originale Arabo che per le versioni fattene in lingua Persiana e Turca. Dicesi che la storia de' Saraceni, di Ebu-Amir o Elmacin, sia un ristretto della grande storia di Tabari. (Ockley, Hist. of the Saracens, vol. II, Prefazione, pag. 39, e Lista degli autori, di d'Herbelot, p. 866, 870, 1014).

<p>220</p>

Oltre la lista degli autori Arabi data da Prideaux (Vita di Maometto, pag. 179, 189), Ockley (sul fine del secondo volume) e Petis de la Croix (Hist. de Gengis-Kan, p. 525-550), s'incontra nella Biblioteca orientale, articolo Tarikh, un catalogo di due o trecento storie o croniche dell'Oriente, delle quali solo tre o quattro sono anteriori a Tabari. Reiske (ne' suoi Prodidagmata ad Hagji chalifae librum memorialem ad calcem Abulfedae Tabulae Syriae, Leipzig, 1766) fa una viva dipintura della letteratura orientale, ma non ebbe effetto il suo disegno, nè la version francese annunciata da Petis de la Croix (Hist. de Timur-Bec, tom. I, Prefazione, pag. 45).

<p>221</p>

Indicherò opportunamente gli storici e i geografi speciali: ma nella narrazione generale ebbi per guida le seguenti opere: 1. Annales Eutychii, patriarchae Alexandrini, ab Edwardo Pocockio, Oxford, 1656, 2 vol. in 4. È questa una pomposa edizione d'un autore assai tristo. Pocock lo tradusse per appagare i pregiudizi presbiteriani di Selden, amico suo. 2. Historia Saracenica Georgii Elmacin, opera et studio Thomae Erpenii, in 4., Lugd. Batav., 1625. Vuolsi che Erpenio traducesse frettolosamente un manoscritto guasto, e la sua versione in fatti è piena zeppa di spropositi e di difetti di stile. 3. Historia compendiosa Dynastiarum a Gregorio Abulpharagio, interprete Edwardo Pocockio, in 4., Oxford, 1663. Essa è più utile alla storia letteraria che alla civile dell'oriente. 4. Abulfedae Annales Moslemici ad ann. hegyrae 406, a Jo. Jac. Reiske, in 4., Leipzig, 1754. La migliore è questa delle nostre cronache e per l'originale e per la versione, ma è molto inferiore alla fama d'Abulfeda. Sappiamo ch'egli scrisse a Hamah nel secolo quattordicesimo. I tre primi autori erano cristiani, e fiorirono nel decimo, duodecimo, e tredicesimo secolo. Nacquero i due primi in Egitto; l'un d'essi era patriarca de' Melchiti, e l'altro uno scrittore Giacobita.

<p>222</p>

Il Sig. di Guignes (Storia degli Unni, t. I, Prefaz. p. 19, 20) ha con esattezza e cognizion di causa fatto il carattere di due spezie di storici Arabi, del freddo analizzatore, e dell'oratore pomposo e tumido nello stile.

<p>223</p>

Biblioteca orientale, del Sig. d'Herbelot, in folio, Parigi, 1697. Si consulti sul merito di questo pregevole autore il suo amico Thevenot (Viaggi in Levante, part. 1, c. 1). La sua opera è un tessuto di varietà che debbono andare a genio di tutti i gusti; ma non ho mai saputo tollerare l'ordine alfabetico da lui seguìto; e lo trovo poi più gradevole nella storia della Persia che in quella degli Arabi. Il supplimento aggiuntovi, da poco tempo in qua, coll'aiuto degli scritti de' Sig. Visdelou e Galland (in folio, Aia, 1775) val meno d'assai. È un ammasso di novelle, di proverbi, di particolarità su le antichità cinesi.

<p>224</p>

Pocock spiega la cronologia della dinastia degli Almondari (Specimen, Hist. Arabum, p. 66-74), e d'Anville dà le notizie relative alla situazion geografica de' loro Stati (l'Eufrate e il Tigri, p. 125). Il dotto Inglese sapea l'arabo più del Muftì d'Aleppo (Ockley, vol. II, p. 34). A qualunque secolo, a qualsiasi paese del Mondo si trasporti il geografo Francese, egli si trova per tutto nella sua giurisdizione.

<p>225</p>

Fecit e Chaled plurima in hoc anno praelia, in quibus vicerunt Muslimi et INFIDELIUM immensa multitudine occisa spolia infinita et innumera sunt nacti (Hist. Saracen., p. 20). L'annalista cristiano si fa lecita bene spesso la parola infedeli, nazionale pe' Musulmani, la quale risparmia lunghe numerazioni; mi do a credere che non sarò di scandolo a veruno se frequentemente l'imito.

<p>226</p>

Un ciclo di centovent'anni, nella fine del quale un mese intercalare di trenta giorni equivaleva al nostro anno bisestile, e rintegrava l'anno solare. Nel volgere di millequattrocento quaranta anni, questa intercalazione applicavasi successivamente dal primo al duodecimo mese; ma Hyde e Freret discutono la gran quistione, se dodici, o solamente otto cicli, si compierono prima dell'Era di Yezdegerd, da tutti assegnata al 16 Giugno A. D. 632. Quanto è mai l'ardore degli Europei nel disaminare i punti più rimoti ed oscuri d'antichità! (Hyde, De religione Persarum, c. 14-18, p. 181-211; Freret, Mém. de l'Académie des inscriptions, t. XVI, p. 233-267).

<p>227</p>

L'Era di Yezdegerd del 16 Giugno 632, cade nel quinto giorno dopo la morte di Maometto, avvenuta il 7 Giugno A. D. 632; e il suo esaltamento al trono non può porsi più in là della fine dell'anno primo. Non potevano adunque i suoi predecessori aver avuto incontri di resistere all'armi del Califfo Omar; e queste date incontestabili rovesciano la cronologia sconsiderata d'Abulfaragio. V. Ockley, Hist. of the Saracens, vol. I, pag. 130.

<p>228</p>

Cadesia, dice il Geografo di Nubia (p. 121), è posta in margine solitudinis, sessantuna leghe distante da Bagdad, e due stazioni da Cufa. Otter (V. t. I, pag. 163) numera quindici leghe, e osserva che vi si trovano datteri e acqua.